Lo schiaffo di Bibi a Obama imbarazza e divide la comunità ebraica americana

GUIDO MOLTEDO
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L‘invito dei repubblicani a Netanyhau a parlare di Iran di fronte al Congresso riunito riduce la relazione speciale con Israele a una questione non più bipartisan
Benjamin Netanyahu

Nel giro di un paio di settimane, l’“assunto” fondamentale su cui poggia la relazione speciale tra America e Israele – innanzitutto dal punto di vista della comunità ebraica statunitense – ha ricevuto un bello scossone. L’assunto vuole che il sostegno a Israele sia una questione bipartisan nella politica americana, non di un partito, men che mai di un partito contro l’altro. Così è stato finora. Ma d’ora in poi? È grande il rischio che sia più così.
In Europa è successo. Col tempo, la sinistra che all’inizio e fino alla fine degli anni Sessanta appoggiava convintamente lo stato d’Israele, si è via via spostata su posizioni piuttosto filoarabe, lasciando che l’amicizia con lo stato ebraico e le ragioni israeliane finissero prevalentemente sotto l’influenza delle forze conservatrici.
I motivi del cambiamento in corso negli Usa – che potrebbe perfino rivelarsi irreversibile, dovesse Benjamin Netanyahu essere confermato primo ministro dalle prossime elezioni politiche israeliane – è infatti nell’invito rivolto al primo ministro d’Israele dallo speaker della camera, il repubblicano John Boehner, a parlare sul dossier Iran di fronte al Congresso il 3 marzo. Sulla relazione con Teheran, Obama si gioca una parte consistente della sua presidenza e del suo lascito. Per Bibi, al rovescio, intorno al “pericolo” iraniano ruota tutta la sua politica, non solo estera e di difesa.
L’invito è stato reso noto il 21 gennaio scorso, a insaputa della Casa Bianca e a insaputa dei gruppi parlamentari democratici.
Non un semplice sgarbo, ma una scelta precisa. Le conseguenze politiche dell’iniziativa sono note. Barack Obama la considera un affronto, e non riceverà Bibi durante il suo soggiorno a Washington. La ragione ufficiale addotta dalla Casa Bianca è l’inopportunità di un incontro nel pieno della campagna elettorale israeliana, a due settimane dal voto.
Da quel momento sia in America sia in Israele l’iniziativa Boehner-Netanyahu ha suscitato una bufera, e si sta rivelando per Bibi un boomerang.
Scrive Nathan Guttman su The Jewish Daily Forward: “Quando al deputato John Yarmuth, un democratico ebreo eletto nel Kentucky, è stato chiesto un parere sul recente intrico, si è riferito alla grande lobby American Israel Public Affairs Committee (Aipac) e ai grandi donatori come responsabili di aver spinto verso l’estrema destra le questioni riguardanti Israele. ‘Disgraziatamente, ha detto Yarmuth, in un’intervista radiofonica con Stephanie Miller, alcune delle richieste fatte al Congresso dall’Aipac e da alcuni sostenitori ebrei sono che ci si sottoponga a Israele più che agli Usa”.
L’architetto principale di questo bel capolavoro politico è il multimiliardario Sheldon Adelson, il re dei casino, nemico giurato di Obama, grande finanziatore della destra israeliana e di Bibi in primo luogo, ma anche ricercato e corteggiato donor della destra repubblicana più becera. Adelson è anche proprietario di Israel HaYom, il giornale free-press di grande tiratura che ha messo fuori gioco quotidiani importanti e oggi ha grande influenza. I big donor come Adelson sono oggi in grado di mettere in moto dinamiche politiche in grado di contrastare perfino le scelte strategiche della Casa Bianca. E la vicenda di Bibi a Washington deve far riflettere anche da questo punto di vista.

Trasformare Israele in una questione di parte è da sempre il maggiore timore tra i sostenitori dello stato ebraico, i quali ritengono che, a lungo andare, esso a bisogno del sostegno di entrambi i partiti al fine di restare il più stretto alleato degli Stati Uniti. “Gli eventi che circondano l’invito rivolto dai repubblicani a Netanyahu – scrive ancora Guttman – hanno sollevato preoccupazioni nella comunità ebraica che allinearsi a Israele, e specificamente adottare il suo punto di vista sulla minaccia posta da un Iran dotato di armi sia ora diventato un partita di football politica”.
“È una questione troppo importante perché sia politicizzata”, hadetto Abraham Foxman, direttore nazionale dell’Anti Defamation League, che ha preso posizione contro la visita di Netanyahu a Washington.
Si è visto proprio di recente al senato come si sia già polarizzato il dibattito sull’Iran e sulla proposta d’indurimento delle sanzioni, in contrasto con la linea distensiva adottata dalla Casa Bianca nei confronti di Teheran, che infatti ha minacciato di porre il veto al “bill” proposto dal repubblicano Mark Kirk e dal democratico Robert Menendez, i quali contavano di poter raggiungere una maggioranza qualificata di 67 senatori, tale da aggirare, appunto, il veto presidenziale. Poi l’intervento di Bibi al Congresso avrebbe “ratificato” il voto del Congresso.
Quel che è successo in seguito fotografa la divisione trasversale tra i parlamentari pro-Israele, con tre democratici ebrei Chuck Schumer, Richard Blumenthal e Ben Cardin a favore del “bill” e sette altri, tra cui Dianne Feinstein, attivamente in azione per bloccarlo. Poi La faccenda dell’invito a Bibi ha fatto il resto, con il sostegno dei democratici al “bill” che si è sfarinato. È seguita una lettera a Obama per chiarire che non ci sarà sostegno a “bill” anti-Iran prima del 24 marzo, data di scadenza per raggiungere un accordo diplomatico con Teheran. Solo in caso di fallimento del negoziato, si riparlerà di nuove sanzioni all’Iran.
La ricomposizione in casa democratica non significa che sull’altro versante non ci sia l’intenzione di inasprire il confronto con la Casa Bianca, anche “usando” l’arrivo di Bibi negli Usa. Come racconta ancora Nathan Guttman, l’Emergency Committee on Israel, un’organizzazione prevalentemente repubblicana fortemente critica con la Casa Bianca, terrà un ricevimento in onore del primo ministro israeliano subito dopo il suo intervento al Congresso “per rendere chiaro, ove ci fosse qualche dubbio, che qualsiasi cosa faccia o dica il presidente, gli americani attribuiscono valore alla nostra amicizia con il nostro alleato Israele”.
Benjamin Netanyahu sta dunque riuscendo a dividere il fronte che sostiene Israele e contemporaneamente a portare sulla stessa linea critica nei suoi confronti personaggi e organizzazioni normalmente tra loro molto distanti. J Street, una lobby della sinistra ebraica, raccoglie firme per un petizione rivolgta al Congresso in cui si chiede di rinviare l’intervento di Bibi. Nel frattempo, il noto opinionista di destra Chris Wallace definisce “pessima” la decisione del primo ministro. Intanto, sul versante israeliano l’ex-ambasciatore di Netanyahu a Washington, Michael B. Oren, parlava di “mossa politica cinica” che potrebbe “colpire i nostri tentativi di agire contro l’Iran” e gli chiedeva di cancellare il suo discorso al Congresso. Contemporaneamente, Amos Yadlin, un ex- dirigente dei servizi d’intelligence un tempo stretto collaboratore di Bibi, definiva la scelta di parlare al Congresso “irresponsabile”.
In un editoriale non firmato dal titolo “Bibi’s Bad Choice”, “La brutta scelta di Bibi”, The Jewish Daily Forward scrive che “allineandosi così strettamente con una leadership repubblicana altrimenti impopolare tra la gran parte degli ebrei americani, e sfodando apertamente un presidente tuttora popolare tra molti di loro, Netanyahu sta in effetti chiedendo agli ebrei di fare una scelta sgradevole”. C’è chi sceglierà il suo punto di vista sull’Iran sopra tutto il resto, molti altri rimarranno in conflitto. E “il conflitto genera ansia. E l’ansia su Israele spesso conduce i possibili sostenitori a scrollare le spalle e ad allontanarsi”.
Peraltro sul tema stesso dell’Iran, secondo un’indagine del condotta nel 2013 dal Pew Research Center, il 52 per cento degli ebrei americani approva la politica di Obama nei confronti dell’Iran, molto al di sopra del 41 per cento degli americani nel loro complesso.
Al tempo stesso, il Grand Old Party è all’opposto del modo di sentire di gran parte degli elettori ebrei americani, dall’immigrazione alla riforma sanitaria, dalla lotta al climate change all’innalzamento del salario minimo, dal matrimonio omosessuale al diritto d’aborto.
Comportandosi come un “republican senator from Israel” Bibi ha dunque intrapreso un percorso che l’allontana dalla comunità ebraica progresissista e al tempo stesso potrebbe compromettergli, per una serie di riverberi negativi, anche la sperata vittoria alle elezioni prossime in Israele, il 17 marzo.

Lo schiaffo di Bibi a Obama imbarazza e divide la comunità ebraica americana ultima modifica: 2015-01-30T00:46:29+01:00 da GUIDO MOLTEDO
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