Se il trauma jihadista legittima i regimi golpisti e la criminalizzione della Primavera araba

RICCARDO CRISTIANO
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Mentre infuria il conflitto con l’Isis, lontano dai riflettori, i regimi golpisti tentano di far passare all’ombra del trauma jihadista un’operazione di criminalizzazione della Primavera araba e della sua richiesta di democrazia.

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Il vecchio adagio dice “aiutati che Dio ti aiuta”. E oggi il principale aiuto che gli arabi possono darsi è l’insurrezione popolare contro gli assassini dell’Isis. Da questo punto di vista è confortante la notizia che Rafi Abdul Karim Al-Fahdawi, capo della potente tribù degli Albufahd nell’Anbar, abbia dichiarato: “Le tribù dell’Anbar stanno costituendo la Lega dei Virtuosi” per combattere l’Isis.
Se questo è l’aiuto indispensabile dal fronte interno c’è poi quello che indica Gilles Kepel dal mondo islamico esterno, che il grande studioso vede ferito, forse traumatizzato dalle immagini della cremazione in vita del pilota giordano Muaz Kassabe, offeso dalla spettacolarizzazione mondiale a mezzo web del vilipendio della vita umana.

Intanto però permane un altro fronte, quello nel quale, lontano dai riflettori, i regimi golpisti tentano di far passare all’ombra del trauma jihadista un’operazione di criminalizzazione della Primavera araba e della sua richiesta di democrazia.

Gli alfieri di questa manovra di restaurazione totalitaria sono l’Arabia Saudita e l’Iran, nel campo filo-saudita il generale egiziano al Sisi e nel campo filo iraniano il figlio di suo padre, il presidente della Siria Bashar al-Assad, insieme alla Corea del Nord l’unico paese al mondo dove si è realizzata la trasmissione per via ereditaria della Presidenza della Repubblica.

A pagare il prezzo del tentativo di criminalizzare la Primavera sono ovviamente i suoi padri, cioè i giovani giornalisti, fautori della libertà di espressione e della fine delle leggi speciali imposte ai loro paesi dagli anni Settanta.

Uno dei più importanti attivisti e blogger egiziani, Alaa Abdel Fattah, è stato condannato recentemente a 15 anni di reclusione e a una pesante ammenda per aver partecipato a una “manifestazione non autorizzata” e per il reato di “sommossa”. Dopo due mesi di sciopero della fame è stato trasferito in ospedale.

Alaa Abdel Fattah, 33 anni, è stato una delle icone della rivolta che portò alla caduta di Hosni Mubarak: era stato arrestato a novembre in una retata ordinata dal governo al Sisi che ha preso il potere dopo la destituzione del presidente islamista Mohamed Morsi. La manifestazione a cui aveva partecipato, come sottolineano giornalisti indipendenti, era totalmente pacifica.

Contemporaneamente dalla Siria è arrivata la notizia che Mazen Darwish, giornalista siriano e instancabile difensore del diritto di espressione, dopo due anni di detenzione preventiva e arbitraria è stato trasferito nei giorni scorsi dal carcere di Damasco a quello di Hama, città simbolo della ferocia del regime sin dagli Ottanta, quando Assad padre in poche ore vi sterminò tra le diecimila e le trentamila persone, oggi sigillata e militarizzata dal regime dopo avervi operato un’autentica opera di pulizia etnico-confessionale.
Questo trasferimento rende evidente che il processo a Mazen Derwish, ovviamente accusato di terrorismo, non comincerà mai. I loro casi ricordano quello di Raif Badawi (foto), il blogger saudita condannato a mille frustate per quanto ha scritto su Free Saudi liberals.
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Insieme alla più recente condanna di centinaia di militanti di piazza Tahrir, i casi di di Raif Badawi, Alaa Abdel Fattah e di Mazen Darwish rendono evidente che i regimi totalitari e i terroristi sono due facce dello stesso problema e che il risveglio dell’opinione pubblica musulmana, scossa davanti alla “barbarie spacciata per vendicativa” dell’ISIS potrebbe aiutare le opinioni pubbliche occidentali ad avere un analogo risveglio e vedere quello che i regimi stanno perpetrando ai danni dei loro popoli. Un risveglio che riguarda dunque tante culture, a partire dalla cosiddetta “sinistra occidentale”, capace di tifare per i teocratici di Tehran e i suoi alleati tribali di Damasco in nome di un cieco “antagonismo”.

I giovani dell’onda verde invece chiedono di vedere le galere iraniane, Raif Badawi chiede di vedere il suo di paese, e Mazen Darwish oggi ci chiede di vedere l’orrore dell’ISIS e l’orrore di quattro anni di crimini contro l’umanità perpetrati dal regime siriano con bombardamenti indiscriminati, barili bomba, assedi che hanno impedito per centinaia di giorni l’accesso di viveri, acqua, elettricità, medicine a intere e inermi popolazioni civili, chiede di vedere la pulizia etnica perpetrata con la complicità dei miliziani di Hezbollah nell’intera valle dell’Oronte, chiede di vedere il famoso dossier con le foto di migliaia di detenuti prima torturati, poi seviziati e infine eliminati. Perché non si può curare un male affidandosi ad un altro.

Questa consapevolezza è stata gridata dai giovani della Primavera oggi criminalizzata, ma gli arabi sono chiamati

Se il trauma jihadista legittima i regimi golpisti e la criminalizzione della Primavera araba ultima modifica: 2015-02-06T17:06:21+01:00 da RICCARDO CRISTIANO
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