La sobrietà del nuovo presidente non è solo nel suo DNA ma è soprattutto il retaggio di una scuola politica. Quella della vecchia Dc.
Il tumultuoso “ciclo” della notizia che ha accompagnato l’elezione di Sergio Mattarella si è esaurito, e dalla poesia delle lodi fuori misura si è già passati alla prosa della vita quotidiana tipica di un presidente della repubblica che tiene a svolgere il suo mandato entro il perimetro disegnato dalla costituzione.
La novità di un presidente che parla poco o niente costringe, non solo i quirinalisti, a rivedere il modo di osservare e raccontare quel che accade sul Colle più alto.
Eppure, il rischio della monotonia non c’è. Il Quirinale e chi ci abita sono ormai sorvegliati speciali. E – soprattutto dopo gli anni del movimentista Napolitano – ai media piace un’interlocuzione “frizzante” con il presidente della repubblica, e difficilmente si adegueranno all’idea di un capo dello stato misurato; e, se non sarà lui, se non sarà il suo entourage, ci penseranno loro a vivacizzare l’ambiente quirinalizio.
Infatti, già si vedono emergere atteggiamenti – se non ostili nei confronti di Mattarella – un po’ antipatizzanti, perfino in ambienti che hanno visto bene la sua elezione.
Anche quella che era considerata la sua virtù massima – la parsimonia, anche di gesti e parole – produce articoli polemici: non va bene che viaggi con l’Alitalia, non va bene che apra il Quirinale ai visitatori, perché in realtà gli effetti di questi atteggiamenti e di queste misure producono costi alti e pongono elevati problemi di sicurezza.
Il messaggio, non tanto subliminale, è che Mattarella non è poi così sobrio e parsimonioso come vuol far credere.
Già, com’è allora, in realtà, il nuovo capo dello stato?
Del personaggio si è moltissimo parlato. In un paio di settimane, prima e dopo la sua elezione, si è scritto e detto molto, molto di più di quanto si sia scritto e detto su di lui in tutto il resto della sua vita precedente e nelle quarantina d’anni della sua vita pubblica e politica.
Nel mare di parole spese su di lui, a proposito e a sproposito, si è anche scritto del suo passato democristiano, e c’è chi ha voluto distinguere il suo essere cattolico democratico, popolare, dal suo essere stato effettivamente militante ed esponente di primo piano per molti anni dello scudo crociato. Distinzioni un po’ capziose, il cui sottotesto è evidente: a sinistra piace non perché democristiano (un insulto) ma perché cattolico popolare (e cattocomunista), un complimento.
Nell’enorme massa di notizie, ricostruzioni, detti e non detto, lodi e denigrazioni del personaggio, sono andate perdute alcune connessioni interessanti, importanti per comporre il puzzle e far venir fuori davvero il personaggio, e che potranno dunque rivelarsi utili per capire chi è Mattarella e per seguire quello che sarà il suo percorso presidenziale.
La parola-chiave per cominciare a fare i nessi giusti ed entrare nel personaggio è proprio parsimonia. O sobrietà. E altri sinonimi o termini simili.
La parsimonia e la sobrietà di Mattarella sono tratti dell’uomo ma soprattutto le caratteristiche di una scuola e di una tradizione da cui proviene. Quelle democratico-cristiane.
Clientelari, collusi, corrotti, si diceva di tutto, da sinistra, dei democristiani, ma raramente si metteva in discussione il loro stile di vita. Che era, di norma, semplice e vicino a quello della gente comune. E lo era in modo autentico, non come oggi, per smaccati calcoli d’immagine.
Erano davvero così, i democristiani, specie la razza della sinistra diccì, che proprio per questo, anche nelle recenti ricostruzioni, i giornalisti si sono divertiti a schernire – i tipi alla Martinazzoli – perché sembravano tristi e mesti, l’opposto dell’allegria e della “modernità”.
Sì, in effetti erano l’opposto della Milano da bere che poi tanta fortuna avrebbe avuto nel costume politico italiano, e non solo per via del berlusconismo, fino a oggi, fino a una certa sinistra davvero irriconoscibile rispetto allo stile berlingueriano.
Non c’era solo la sinistra Dc -anzi le diverse sinistre democristiane – che facevano i loro incontri di corrente sulle Dolomiti e in centri termali, o che si riunivano in conventi e in ristoranti non proprio glamour. Idem dorotei, Forze Nuove e andreottiani. Filippo Ceccarelli ha costruito parte della sua fortuna con gustosi ritratti antropologici di quegli incontri e dei personaggi che li popolavano.
Poteva colpire il gusto “trappista” di questi incontri, o il gusto pacchiano, invece, di certe riunioni dorotee, nel sud, specie della cosiddetta corrente del Golfo di Gava e di Scotti, ma non si ricorda una sola cronaca che mettesse in rilievo l’ostentazione e lo spreco delle assemblee dei socialisti. Il massimo dello scherno consisteva nel ritrarre mentre ingurgitavano una forchettata di spaghetti. I forchettoni. E in effetti in tanti casi la modestia esteriore non significava affatto che riflettesse una vita politica di limpida onestà, anzi. Ma non per questo la sobrietà esteriore era una maschera. Per molti diccì, il potere non andava ostentato.
Si poteva mettere alla berlina Remo Gaspari che trascorreva l’estate in uno stabilimento balneare di Vasto Marina, il suo buffo cappellino bianco da marinaio, il costume ascellare, e che incontrava sotto l’ombrellone i suoi elettori. Il giornalista radical chic poteva anche deridere il ras doroteo abruzzese e farne una macchietta, ma non capiva che proprio questa sua autenticità lo rendeva verace, come la sua parlata accentata e diretta, ne faceva un politico forte e rispettato.
Se Ciriaco De Mita finì malamente la sua lunga leadership, non fu solo per il cumulo di due incarichi – segretario della Dc e presidente del consiglio – inaccettabile nel sinedrio dei capicorrente della Dc, in combutta con Bettino, ma anche per il suo proporsi come un leader post-democristiano, a suo modo moderno e ansioso di piacere alle forze laiche e ai poteri forti, il gruppo la Repubblica in testa. Anche col suo stile di vita, con i suoi vestiti sartoriali. E fecero leva, i suoi nemici, sull’attico a via del Tritone, la villa a Nusco, le sue frequentazioni. Un’ingenua ostentazione di potere che un Andreotti non avrebbe mai esibito, anche se non trovava disdicevoli le consuetudini del suo Paolo Cirino Pomicino, che sarebbero però, anche nel suo caso, finite tra gli emblemi dell’andreottismo da rottamare, e più in generale del potere democristiano in decadenza. E infatti è allora che lo sgretolamento dello scudo crociato si fa evidente e incontenibile. Materia da film: “Il divo”.
Ma la forza del costume sobrio e quasi dimesso dei capi democristiani era proprio nella sua autenticità. Erano davvero così. E questo era ed è ancora evidente nella figura di Sergio Mattarella.
Come era d’altra parte evidente in Enrico Berlinguer e nei dirigenti di allora del Pci (in questo, e non solo, sinistra diccì e Pci, e rispettivi dirigenti, si somigliavano). E più recentemente in Romano Prodi, autenticamente democristiano nel suo semplice rigore di ciclista e vacanziere in famiglia.
In molti, forse anche inconsciamente, hanno ritrovato in Mattarella quel tratto, autentico e naturale, che tutti ricordano del segretario del Pci e che anche per questo viene tanto rimpianto. E che hanno rivisto in Prodi, l’icona di tutto ciò che è l’opposto di Berlusconi e del berlusconismo.
È di Mattarella, questo tratto, dunque uno dei suoi punti di forza. Così com’è – fatte le debite distinzioni – in papa Francesco, al quale giustamente è stato anche associato.
Sarebbe miope, fuorviante e controproducente, da parte dello staff della comunicazione del Quirinale, “costruire” un’immagine sobria e parsimoniosa del nuovo presidente, con iniziative e idee un po’ improvvisate, quando il personaggio ha una sua reale autentica sobrietà e misura. Che andranno semplicemente assecondate e valorizzate per quello che sono, perché “funzionino” come messaggio politico.

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