MERCUZIO
Chi è il candidato favorito nelle primarie del Pd per la candidatura a sindaco di Venezia. Magistrato, già candidato a sindaco, senatore. Un profilo senza veli
«Io non sono candidato. Anzi, sono molto impegnato al senato su un tema importantissimo per il paese come è la costituzione. Insomma, la questione non si pone». Così rispondeva a Mitia Chiarin de La Nuova Venezia Felice Casson nell’agosto dell’anno scorso smentendo le voci, sempre più insistenti, di una sua candidatura a sindaco di Venezia. Salvo poi cambiare idea a distanza di qualche mese, scendere in campo, e permettere ad Andrea Scanzi di uscire su Il Fatto con un titolo, una capriola di cent’ottanta gradi, che fotografava il suo nuovo pensiero “Al senato incidiamo poco, me ne torno a Venezia”.
Che cosa sia successo dall’agosto del 2014 alla recente intervista a Il Fatto è un mistero. Delusione? La sensazione dell’approssimarsi di un’incipiente marginalità politica provocata dalle riforme del caterpillar Renzi? Le tribolate vicende della corrente civatiana, in cui si riconosce a livello nazionale, sempre sul punto di uscire da un Pd in via di trasformazione verso il Partito della Nazione? Non si sa. Che invero Felice Casson, al di là di quanto dichiarato, a una sua candidatura a sindaco di Venezia ci pensasse da moltissimo tempo è un dato di fatto.
http://video.gelocal.it/nuovavenezia/dossier/elezioni-comunali-2015/verso-le-primarie-la-video-intervista-a-felice-casson/39745/39841
Probabilmente nell’uomo qualche tentazione deve essere venuta addirittura negli ultimi mesi del 2013 quando a nome dei civatiani veneziani, di fronte alla sempre più rotonda insoddisfazione nei confronti dell’operato di Giorgio Orsoni, aveva chiesto che il sindaco in carica non venisse riconfermato automaticamente (come è prassi nel Pd per un amministratore al primo mandato) ma si sottoponesse nuovamente al rito delle primarie.
Con quell’uscita, gli va dato atto e merito, Casson per primo lanciava un siluro e metteva a nudo un malessere sempre più serpeggiante nei confronti della giunta Orsoni all’interno del Pd, seguito solo dal renziano Jacopo Molina. Nel mentre la maggioranza del partito, con prudenza e saggezza politica, aveva scelto di assegnare al segretario comunale Emanuele Rosteghin e a quello provinciale Marco Stradiotto il difficile compito di creare le condizioni per pensionare l’ormai insostenibile Orsoni, spianando la strada alla candidatura di Pierpaolo Baretta. Poi le cose sono andate come sono andate, e il fragile puzzle è andato in frantumi.
“Se fallirò a Venezia, continuerò le mie battaglie in senato”
“Sapevo che Casson ci puntava ancora a fare il sindaco di Venezia dopo averci provato anni fa.” Ha scritto a seguito dell’intervista a Il Fatto Gad Lerner. “M’infastidisce un po’ che dopo aver trascorso al senato un paio di legislature adoperi il vezzo di considerarsene tuttora un ‘esterno’, ma, si sa, la battuta demagogica è sempre in agguato… Quand’ecco che m’imbatto in un dettaglio imbarazzante – continua Lerner -. Quando Scanzi gli chiede se lascia il Parlamento perché lì per uno come lui si sono ristretti gli spazi politici, questa è la testuale risposta di Casson: Non scappo. Se fallirò a Venezia, continuerò le mie battaglie in senato”.
Già, forse solo una puntura di spillo da parte di un giornalista che con quell’intervento gli chiedeva di dimettersi da senatore e che comunque pare non amarlo particolarmente, dato che per le primarie si è apertamente schierato con Nicola Pellicani. Nulla in confronto della vera e propria bordata de il Giornale del 9 febbraio scorso, che usciva con un velenoso e ghiotto articolo intitolato “Casson il “paracadutista” non perde il vizietto della doppia poltrona” accompagnato da un sottotitolo al vetriolo: “Punta a fare il sindaco di Venezia senza rinunciare al senato. È in politica da dieci anni ma non ha mai lasciato la magistratura. L’ex Pm è oggi fuori ruolo, eppure continua a fare carriera: il Csm lo ha promosso giudice di cassazione”.
Non ha mai lasciato la magistratura
Un articolo che il diretto interessato non si è incaricato de facto di smentire. Già, perché Felice Casson, che pur twittava “la prima volta che ho pensato di dismettere la toga è stata dopo la sentenza del Petrolchimico. Stavo e sto bene con operai e ambientalisti”, quella magistratura non l’ha lasciata mai, contrariamente a quanto invece è accaduto a un altro Pm famoso, il Tonino Di Pietro da Montenero di Bisaccia.
Anzi ne vanta pubblicamente l’appartenenza sul suo profilo nel sito del senato, dove si apprende che è stato senatore nella XV e XVI legislatura, ricoprendo incarichi nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, nella Commissione Giustizia, nel Comitato per i procedimenti di accusa, e come segretario del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, quello, in pratica, che ha a che fare con i servizi. E dove si legge pure la sua dichiarazione dei redditi da cui si apprende che nel 2014 denunciava di aver guadagnato poco più di 150mila euro, una casa di proprietà a Venezia e un immobile di valore trascurabile a Chioggia. La città dove è nato quasi sessantadue anni fa da una famiglia di pescatori, studiando prima dai salesiani in provincia di Treviso e poi a Padova dove sì è laureato in legge vincendo poco dopo il concorso in magistratura.
Schivo, ma non altezzoso
Chi l’ha conosciuto allora, al tempo del concorso in magistratura, lo ricorda come un ragazzo schivo, timido, di poche parole. Caratteristica che ha conservato negli anni e che in qualche modo gli può aver nociuto, dato che spesso Casson può suscitare l’idea di essere altezzoso, mentre al contrario è persona che sa ascoltare, e che spesso, ancora alla sua età, ha conservato la capacità di arrossire, per timidezza. Della sua storia personale, si ricorda anche un matrimonio fallito con una collega Paola Ferretti, giudice del lavoro.
Un figlio, una lunga relazione con la giornalista del Tgr del Veneto Milvia Andriolli, che pareva finita, ma che ultimamente sembra essere tornata in auge. La passione per i viaggi, la predilezione per le camicie con il collo alla coreana quando può rinunciare alla cravatta. Per le soste il sabato mattina in Campo Bella Vienna a Rialto dove incontra gli amici per un’ombra e due chiacchiere, e per il ristorante “La Vecia Cavana” dove spesso lo si vede cenare accompagnando le grigliate di pesce al vino rosso. Un locale che, guarda caso, ha avuto tra i suoi fedeli frequentatori personaggi come Gianni Pellicani, Massimo Cacciari e tanti altri. E dove perfino Giorgio Orsoni ha organizzato due cene elettorali nel 2010.
Gladio e Cossiga
Sempre chi l’ha conosciuto professionalmente ne ricorda la serietà, l’equilibrio e l’impegno con cui ha sempre condito le sue inchieste. Indagini importanti, come quella sul Petrolchimico conclusasi con condanne, quella sull’incendio doloso del Teatro La Fenice, quella sulle morti causate dalle lavorazioni di CVM e PVC e dell’amianto. O le inchieste come quella sulla strage di Peteano, le deviazioni dei servizi segreti, sul terrorismo e l’eversione di estrema destra.
Memorabile l’episodio accaduto all’allora presidente Francesco Cossiga, in visita alla Regina Elisabetta, che venne a sapere che un giovane giudice veneziano chiedeva di ascoltare lui, il presidente della repubblica. Indagando sulla strage di Peteano, Felice era incappato in Gladio. Era l’autunno del 1990. “Casson di nome e di fatto”, fu la risposta un po’ snob di Cossiga, che rimandò al mittente l’invito a farsi sentire e a raccontare quel che sapeva sull’organizzazione clandestina Stay Behind, creata dalla Nato durante la guerra fredda.
È lo stesso Casson che a distanza, di tempo, in occasione della morte di Cossiga che nella tomba si è portato innumerevoli segreti di Stato, ricorda quell’episodio: “L’invito a parlare di Gladio era stato garbato, ma lui andò su tutte le furie, lo prese come un delitto di lesa maestà. Mi sorprese, perché uomini all’epoca dei fatti con ruoli istituzionali molto più strategici del suo accettarono di raccontare. E infatti alla fine Cossiga riconobbe che era legittimo che un giudice chiedesse di interrogare il capo dello stato: proprio come oggi”.
Un pensiero, quello di Casson in quell’intervista, rivolto alla recente vicenda di Giorgio Napolitano. Ma se allora Cossiga rispose con uno sberleffo alla richiesta del giovane magistrato veneziano, con la sua reazione ha anche forse decretato l’avvio della notorietà mediatica di Felice. Da allora in poi innumerevoli sono le interviste ai giornali, i passaggi nei talk show televisivi in cui il personaggio Casson ha agio di crescere, di farsi conoscere come magistrato scomodo che non guarda in faccia nessuno.
La notorietà mediatica
E intanto pubblica libri, sulle sue inchieste, contribuendo a disegnare la propria storytelling, come tanti altri pm della Penisola del resto. Ecco che allora escono “Servizi segreti e il segreto di Stato” (1992), “Lo Stato violato” (1994), e “La fabbrica dei veleni” (2007) sul processo di Porto Marghera, recentemente rimandato in ristampa dall’editore libraio Giovanni Pelizzato (suo sostenitore e, in caso di vittoria, suo prossimo assessore alla cultura) proprio per ricordare “urbi et orbi” l’impegno civile di Felice e anche, ciò non guasta, per finanziare la sua campagna elettorale coi proventi della vendita.
Una notorietà mediatica che nel 2005 lo spinse a mettersi in aspettativa dalla magistratura e accettare di farsi candidare sindaco dopo Paolo Costa, sostenuto da quello che allora ancora si chiamava partito dei Democratici di Sinistra. La cui nomenclatura, ora per lo più schierata su Nicola Pellicani, lo portava in giro come la Madonna Pellegrina, catapultandolo da un luogo all’altro dello scenario veneziano, dove il povero Casson, digiuno dell’arte della politica e soprattutto completamente privo di una reale conoscenza della città, riusciva solo a balbettare e appariva, se possibile, ancor più intimorito e dimesso.
Com’è andata a finire, poi, lo sappiamo tutti. Venne il capolavoro politico di Massimo Cacciari che scese in campo in uno scontro tutto interno al centro sinistra, che lo vide superare l’avversario, con il massiccio ricorso all’appoggio della destra, per soli duecento voti. E la fotografia che in consiglio comunale ne seguì fu un’ipertrofica Margherita e uno sparuto drappello di Ds, tra cui appunto lui, Felice Casson. Che consigliere comunale comunque rimase fino a scadenza naturale nel 2010, anche se già nel 2006 il partito trovò modo di ripagarlo in qualche forma e lo candidò al senato, dove ancora siede.
Consigliere comunale, chi l’ha visto?
Un’attività di consigliere comunale, quella di Casson, che potremmo definire abbastanza parca. Di lui si ricordano in cinque anni solo sette atti, di cui cinque mozioni (amianto, testamento biologico, tagli alla sicurezza etc.) e due interrogazioni (una sulle nuove barene artificiali in laguna nord, e l’altra sui materiali inquinanti nell’ambito dei lavori di costruzione di un sottopasso ad Asseggiano).
Un po’ pochino, invero, per uno che ora si candida a essere il prossimo sindaco di Venezia, e che pur ha dichiarato una sua competenza amministrativa maturata sui banchi di Cà Farsetti. Ma tant’è!! In fondo, quella che può apparire come un’attività che certo non passerà agli annali della città (quei banchi che hanno visto seduti personaggi come Bruno Visentini, Gianni Pellicani, Costante Degan, Gianni De Michelis e tanti tanti altri.
Altre storie, si dirà (altri tempi), non pare poter nuocere più di tanto a Casson che altre medaglie può appuntarsi al petto. E l’ha fatto fin dalla presentazione della sua candidatura a dicembre a Mestre, quando ha voluto contrastare la sua fama di eretico con una buona dose di autocompiacimento, ricordando agli astanti la derivazione dal verbo greco “αἱρέω”, scegliere. Perché lui così si presenta, come colui con il quale finalmente la politica, la scelta, avrà il sopravvento. E non sembrano disturbarlo più di tanto gli attacchi diretti portati alla sua persona, e nemmeno quelli rivolti ad alcuni suoi sostenitori.
Forte Marghera e Controvento
Uno su tutti quello scagliato da Maurizio Dianese de Il Gazzettino a Roberto Turetta, renziano, ex presidente del consiglio comunale, aspirante candidato alle regionali. Che in dono gli ha portato i voti di Marghera e l’appoggio di una parte della corrente che fa capo al presidente del consiglio, che in queste primarie si è spaccata, almeno in tre tronconi.
Sul tema scottante di Forte Marghera e sull’assegnazione alla Cooperativa Controvento dei locali adibiti a ristoranti per assegnazione diretta e senza ricorrere a un bando pubblico in cambio di un affitto annuo di 65mila euro, ha scritto Dianese nel suo articolo apparso il 2 marzo sul quotidiano lagunare: “Non è un mistero che Controvento – fatturato di due milioni di euro a colpi di birre, pizze e panini – stabilisce i prezzi (elevati) di tutto quel che si ingurgita dentro il Forte. Ma perché il Comune non ha fatto la gara? Perché Controvento è registrata come una onlus dal momento che dà lavoro a persone svantaggiate.
Peccato che bar e ristoranti siano attività a scopo di lucro. In realtà nessuno dice niente perché Controvento gode dell’appoggio di Roberto Turetta, ex presidente del consiglio comunale e attuale grande supporter di Felice Casson.” Nessuna replica da parte di Turetta, chiamato in causa. Silenzio olimpico pure dal senatore Felice Casson. Non proprio un bellissimo segno, comunque.

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1 commento
[…] La narrazione di Felice è quella che s’incrocia meglio con le attese dei veneziani e dei mestrini. Intanto, non è vero che sia freddo, come certi dicono di lui, e se lo era e non lo è più, è perché facendo politica ha imparato l’opposto di quel che in genere bisogna apprendere, cioè il controllo di sé. Oggi Casson è meno sorvegliato, è e sa essere empatico e simpatico, non è più il magistrato finito in politica, ma un politico che fa politica e sa fare politica, senza lasciarsi incastrare nei suoi giochi e nei suoi riti, nei suoi machiavellismi e nelle sue logiche tribali. […]