Quanti visitano la città che un giorno tutti nel mondo vogliono visitare? Dietro le cifre interessi corposi. Intanto la possibilità di imporre una programmazione delle visite c’è.
“Cinque… dieci… venti… trenta… Trentasei… quarantatré…” . Mai come nel caso dei milioni di turisti che ogni anno visitano Venezia, quest’aria del Figaro mozartiano sembra esprimere meglio il grande rebus cittadino: ma quanti sono i visitatori che ogni anno mettono piede nella Serenissima? Non si sa. Ovvero, più che sapere con certezza, si sospetta, percepisce e discetta. Con sempre più crescente insofferenza e viscerali passioni, da una parte. Cui si contrappongono, ancor più spesso di quanto si possa sospettare, corposi, concreti e malcelati interessi. Di bottega.
Situazione che, se ne convenga, sta mille anni luce lontano da un parametro di misurazione oggettiva del fenomeno.
L’unica cosa di cui avrebbe senso disporre per affrontare un fenomeno turistico in continua aggressiva espansione. Per attuare infine politiche che fossero all’altezza delle necessità da parte di un governo cittadino desideroso effettivamente di governare.
Per non essere invece governato dagli eventi. Un segnale forse anche questo, come da molte parti si pensa, del sostanziale s-governo in cui le ultime amministrazioni che si sono succedute hanno lasciato la città. Incapaci di decidere e di scegliere. Nell’intento di non scontentare nessuno, per finire quindi per scontentare, com’era prevedibile, un po’ tutti, corporazioni economiche comprese. Studi, analisi e progetti; se n’è perso perfino il conto. Cui spesso nulla è seguito. E quando alla fine qualcosa è seguito, in seguito è stato abbandonato, o trasformato.
Il progetto Venice Connected
Come nel caso di Venice Connected, un progetto nato nel 2009, al tempo della giunta Cacciari. Come piattaforma di e-commerce cittadino con intenti di controllo dei flussi. Un costo di start up pari a 500mila euro, una spesa annua di 120mila per i servizi tecnologici di Venis (una partecipata del Comune) più le spese degli stipendi del personale comunale adibito. Per un fatturato complessivo di circa 3 milioni all’anno di prodotti venduti, una revenue per il Comune di 300mila euro, e una capacità di intercettare il turismo pari a una percentuale oscillante tra l’uno e il tre per cento.
Un risultato un po’ “strettino” a fronte dei milioni di turisti che percorrono calli e campi della città. Che si spiega forse con l’incomprensibile scelta di non investire un centesimo in attività di marketing, come già all’epoca del famoso Vaporetto dell’Arte, la cui fine era stata da più parti prevista per la totale assenza di ogni politica di promozione nei circuiti turistici che contano.
Già, forse non sbaglia chi sostiene che il maggior difetto dei veneziani è credere di vivere al centro del mondo e che tutto ruoti attorno al Sole della Serenissima. I veneziani, si sa, sono un po’ tutti tolemaici. Da quando hanno smesso di percorrere il mondo per incrementare i loro traffici, ripiegando sulla rendita. O di campare sugli allori e sui lasciti del passato, basando ogni loro ragionamento sul fatto che dei più dei sette miliardi di umani che abitano il pianeta Terra, non ce n’è uno che non vorrebbe venire almeno una volta a Venezia. E chi se ne frega se venuto una volta, non ci ritorna?
Milioni di turisti, ma sono un’élite nel mondo
Perché questo è anche uno dei mali del turismo a Venezia: non ritorna. E questo dovrebbe dirla lunga su come la risorsa turistica è sfruttata in città, su come viene quindi percepito, interiorizzato il fenomeno turistico. Che nonostante i suoi numeri da capogiro, ancora recentemente Serge Latouche ha definito un fenomeno che riguarda un’élite. Perché per certi aspetti a viaggiare, tenuto conto della popolazione mondiale, è ancora un’esigua minoranza. Di privilegiati, dice Latouche, e quindi come tale va trattata, spremuta, sottoposta a una tassa di scopo a favore del paese visitato. E ciò, questo il pensiero finale di Latouche, in particolar modo quando il luogo visitato è appunto Venezia.
Ma facciamo un passo indietro. Nel 2013 per Venice Connected giunge il momento di passare a miglior vita, assorbita nel nuovo prodotto Venezia Unica, in cui una qualsiasi idea di controllo dei flussi, pur presente nella sua antenata, viene del tutto abbandonato. A favore della cassa, sembrerebbe. Dati sui risultati economici di Venezia Unica sono disponibili solo per gli ultimi mesi del 2013. Troppo poco per azzardare un primo bilancio. Mentre ancora non disponibili sono i dati dell’anno scorso. Vedremo.
Gli altri modelli di misurazione
Se Venice Connected rimane comunque l’esempio più ardito messo in campo dall’amministrazione cittadina in questi anni in fatto di politiche turistiche e controllo dei flussi, non corrisponderebbe al vero sostenere che altri modelli di misurazione non siano stati nel frattempo approntati e messi in opera. I dubbi che semmai sembrano attraversare una città sempre più disorientata nei confronti di un fenomeno turistico considerato incontrollato e incontrollabile, paiono vertere sulla reale credibilità e efficacia degli strumenti messi in campo. Vediamoli.
Il primo è il progetto che il Comune ha finanziato assieme alla Camera di Commercio nel 2012 con 40mila euro a Jan van der Borg, docente a Ca’ Foscari. L’unico modello di misurazione ufficiale, che per il 2014 ha registrato un flusso turistico pari a venti milioni di presenze. Come in seguito si sia giunti, sempre da parte del Comune, a parlare per l’anno scorso di ventisette milioni di presenze turistiche non è ben chiaro. Come neppure sono mai stati resi pubblici i criteri che hanno portato a questa nuova quantificazione che sembrerebbe smentire il modello di van der Borg.
Poi, sempre nel 2014, era il mese di aprile, si è giunti alla firma di un protocollo d’intenti tra le Università di Padova, Ca’ Foscari e Udine con due società (A4smart e 3Deverywhere) incaricate di affrontare il problema della misurazione in modo più sistematico e completo, sostanzialmente costruendo quello che può essere chiamato un modello di diffusione. In attesa di partecipare ai bandi H2020 della Comunità Europea. Si è così iniziato a contare in real time i flussi nelle strade e nelle piazze, attraverso analisi da telecamera intelligente. Per costruire un modello di previsione dei riempimenti nel breve periodo. Mentre per il medio e lungo periodo i dati rilevati storici, che al momento non ci sono, saranno affiancati da “ascolti” del rumore della rete e arricchiti da contatti stabili con i dati di ferrovie, porto aeroporto e autostrade.
L’azienda di trasporto e l’ateneo Ca’ Foscari
Anche ACTV non è rimasta con le mani in mano. L’azienda comunale di trasporto ha infatti incaricato l’Università di Venezia Ca’ Foscari (finanziando il progetto con circa 45mila euro) di sviluppare un modello di diffusione dei turisti in città partendo dalle sue linee di trasporto, mescolando IMOB (i clic del biglietto elettronico) con una rilevazione specifica. Ma i risultati del progetto, per quanto concluso, non sono ancora stati resi noti.
Insomma, mai come ora Venezia pare popolata di tanti Figaro, tutti desiderosi di misurare, dato che ormai il problema della misurazione e del controllo dei flussi turistici, in una città che nei picchi può vedersi arrivare addosso valanghe incontrollate di umani in cerca di selfie, o che alla prima pioggia estiva viene invasa dalle orde turistiche in vacanza sulle spiagge del litorale, è ormai il problema dei problemi. E senza una sua rapida soluzione, questa la convinzione più diffusa, si metterà a repentaglio la sopravvivenza stessa della città e della sua residuale popolazione. Saremmo, in altre parole, vicini al punto di non ritorno.
Non solo quanti, ma quali turisti
Ci si permetta una notiziola a margine. Per quest’anno il governo cinese rilascerà cinquanta milioni di visti turistici ai propri cittadini. Quanti di quei cinquanta milioni vorranno mettere piede fugacemente nella città di Marco Polo, che, con Matteo Ricci, rimane l’italiano più conosciuto nel Celeste Impero? C’è da osservare poi che forse sarebbe anche auspicabile non solo giungere a una quantificazione degli arrivi, ma anche a uno studio della tipologia dei turisti che giungono in città.
Perché pare sempre più chiaro che genericamente non di turismo si possa parlare, ma di varie tipologie di turismi. Che andrebbero singolarmente studiati e misurati, al fine di mettere in campo una giusta offerta e un’adeguata programmazione. Due campi, purtroppo, nei quali la città, nel complesso della sua offerta, non ha mai eccelso. E forse per i motivi che abbiamo più sopra cercato di spiegare. Ovvero per la sua propensione a vivere sulla sua rendita di posizione, dei proventi della miniera sulla quale è seduta.
Comunque, ne va dato atto, questo bisogno di misurare pare assolutamente sensato, e costituisce il primo passo per giungere a conoscere il fenomeno nel suo complesso. Quindi, come già dicevamo, di agire. Ma non basta, se a esso non verrà affiancata presto una proposta concreta di azione. Anche nella campagna elettorale in corso per il rinnovo del sindaco, il tema non è mancato, almeno nel centrosinistra, perché quanto alla parte avversa pare ancora non emergere quasi nulla. E non poteva essere ovviamente altrimenti, in una situazione in cui da anni si chiedono provvedimenti efficaci, compreso il probabilmente impercorribile numero chiuso.
Le proposte nella campagna elettorale per il sindaco
Da tutte le parti, a sinistra, si è espressa la consapevolezza della necessità di dare una risposta al dilagare incontrollato del turismo. Per lo più, chi più chi meno, esprimendo una preferenza per il sistema delle card, unito alla necessità di imporre un modello di prenotazione, se non obbligatoria, almeno consigliata, se chi mette piede in città non vuole essere letteralmente spennato.
Con ciò esprimendo un’implicita critica ai risultati del city pass cittadino, Venezia Unica. Di un modello forte di city pass che possa al contempo portare risorse in termini finanziari alla città e regolare i flussi, si è fatto interprete con convinzione Enrico Zanetti, sottosegretario del governo Renzi e leader di Scelta Civica. Non a caso veneziano, e alleato alle comunali con il centrodestra. Sempre su un sistema di card, questa volta non come perno ma come sorta di corollario al suo progetto, si è fatto promotore il veneziano Marco Scurati.
Numero chiuso? A San Marco
Con un’intuizione suggestiva che, se trovasse giusti strumenti per essere realizzata, potrebbe effettivamente introdurre un significativo cambio di passo alla vexata quaestio del turismo. In breve, Scurati parte dalla considerazione che tutti coloro che visitano Venezia, a una capatina a Piazza San Marco non rinunciano. Da qui l’idea di chiudere con dei varchi elettronici l’area della piazza costringendo i visitatori a prenotare la loro visita a San Marco tramite un portale internet. Ammettendo giornalmente un numero di visitatori “foresti” pari e non superiore alla popolazione residente. E costringendoli quindi, tramite il portale, a pagare l’accesso alla Piazza (denaro fresco per le disastrate casse comunali) oltre a acquistare una serie di altri servizi, come trasporti e via dicendo.
Nessuno ha in mente di impedire a chicchessia di venire a Venezia, ma senza prenotazione a chiunque sarebbe proibito mettere piede in piazza. Il che potrebbe essere sufficiente motivo per il turista di decidere di spostare la propria visita alla città, e quindi alla sua piazza, in giorni in cui questa possa essere visitata e non off limits per i motivi suesposti.
Il progetto di Scurati ha trovato comunque un certo seguito tra i gruppi di cittadini che si raccolgono in venessia.com, nelle categorie economiche e pur anche nell’associazione degli albergatori locali, e ha destato un forte dibattito in città, coinvolgendo anche le forze politiche. Tanto da far sperare che, per la situazione ormai insostenibile sul piano turistico, il deficit di bilancio e l’improcrastinabile necessità di reperire risorse, qualcosa in questo senso potrà essere finalmente fatto dall’amministrazione che uscirà dalle elezioni del 31 maggio. In modo che, per tornare al Figaro mozartiano, a cantare “Ora sì ch’io son contenta, Sembra fatto inver per me” non sia solo la Susanna di Da Ponte indossati i panni della Locandiera di Carlo Goldoni. Ma, una volta tanto, l’intera comunità cittadina.

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3 commenti
Buona,interessante la diagnosi e il racconto di idee varie.Ma qualcuno,raggruppando le varie associazioni,soprattutto culturali – che sembrano estranee alla vita quotidiana dei veneziani -proporre un SERIO programma di risanamento DAL turismo ?Programma unitario e non affidato al pensiero di pur seri,ma individualistici personaggi .
ciò corrisponderebbe a un necessario processo di “impoverimento” della città. Su cui potrei essere pure personalmente d’accordo. Ma di difficile percorribilità. Al turismo temo non si possa sfuggire, e non solo a Venezia. Se solo riuscissimo a farlo diventare sostenibile e in equilibrio con la città, forse ci potremmo avvicinare alla soluzione del problema. Purché, è questo il dubbio che mi rimane, alla fine prevalga la volontà d’agire, e non il laissez faire a favore di uno sfruttamento selvaggio che fino ad ora ha prevalso.
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