Se, come afferma Matteo Orfini, è “vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica”, dovrebbe essere considerato altrettanto vergognoso – se non di più, trattandosi di un’importante istituzione culturale – che egli sia presidente del Centro Studi Americani (CSA).
Già, la figura-chiave dei fatti di violenza all’interno della scuola Diaz di Genova, la notte del 21 luglio 2001, fatti che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito “torture”, guida da tre anni il CSA, punto di incontro delle culture americana e italiana, con sede nel cuore di Roma, a Palazzo Antici Mattei, in via Caetani, disgraziatamente nota per essere la strada dove fu ritrovato il corpo di Aldo Moro. “Studiosi, rappresentanti della politica e dell’economia dei due paesi, ma anche altri specialisti provenienti da tutto il mondo si sono incontrati nelle prestigiose sale del Centro Studi, nel Palazzo Antici Mattei, offrendo ai tanti italiani e americani interessati spunti di riflessione e occasioni per approfondire gli aspetti caratterizzanti la cultura nord-americana”, si legge sul sito.
Che cosa c’entri con un’istituzione del genere un personaggio che ha trascorso il grosso della sua vita nella polizia e nei servizi non è chiaro, ed è una bella domanda che, fin dalla sua nomina, si sono posti americanisti, studiosi e frequentatori del CSA, un luogo stupendo al piano nobile del Palazzo Antici Mattei, uno degli esempi più prestigiosi della Roma seicentesca, costruito da Carlo Maderno tra il 1598 e il 1618, le sale affrescate da pittori toscani e fiamminghi del primo ‘600, tra cui il Domenichino, Pietro da Cortona, il Pomarancio e Albani e che vanta una delle più importanti biblioteche d’Europa, la più ricca con i suoi volumi del Seicento e Settecento.
De Gennaro arriva alla guida del CSA nel 2013, poco dopo essere stato nominato presidente di Finmeccanica, su designazione di Enrico Letta. È l’anno in cui esce di scena l’ambasciatore statunitense a Roma David Thorne e gli subentra John Phillips. Thorne, che conosce bene il nostro paese, avrebbe dato il suo ok alla nomina, parere consultivo ma decisivo? Chi lo conosce risponde con un NO rotondo.
È Giuliano Amato, lasciando la presidenza del CSA (conservando però la presidenza onoraria), che cerca, egli stesso, il suo successore, e pensa a De Gennaro perché – dice a un membro del consiglio di gestione – “è un buon organizzatore e sa trovare i fondi”.
Per un’istituzione che si basa sui finanziamenti di sostenitori e donatori, è quello, per Amato, il requisito fondamentale non la pertinenza del suo curriculum, nel quale peraltro splende la medaglia della Diaz. Non va per il sottile, questa volta, Amato. E tutto avviene, come si è detto, mentre in via Veneto c’è l’avvicendamento degli ambasciatori.
Che cosa si dice del CSA, della sua attività in questi tre anni? Mentre nell’America di Obama succede di tutto, è un periodo incredibilmente interessante, il Centro s’italianizza, ospitando diversi eventi, molti invitati che niente hanno a che fare con l’America e con l’incrocio culturale italiano-americano, e diversi eventi dedicati alla “sicurezza” e alla Nato (tra i sostenitori c’è ovviamente Finmeccanica). Nel complesso, prevale un clima non proprio simpatizzante nei confronti del presidente Barack Obama.
Adesso è da vedere se la presa di posizione di Orfini, che segue, come si è detto la sentenza europea, avrà un rimbalzo nel consiglio del CSA e a via Veneto. Nel consiglio, dove siedono due sole donne su quattordici membri, un paio di americanisti, il grosso è composto da membri di cda di aziende sostenitrici, difficile immaginare che la questione possa essere sollevata. Né a farlo potrebbe essere il direttore del CSA, Giuseppe Procaccini, il capo di gabinetto del Viminale che si dimise in seguito al coinvolgimento nel caso del rimpatrio della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov.
Il povero Harry Nelson Gay, il giovane studioso di Harvard che diede vita al CSA alla fine dell’Ottocento, si rivolterebbe nella tomba, alla sola idea che la sua creatura sia diventata questa cosa qui.
Tuttavia dentro il consiglio ci sono membri come l’avvocato Peter Alegi, l’unico americano del board, leader “storico” dei Democrats Abroad in Italia, e i due americanisti, Bianca Tedeschini Lalli e Massimo Teodori (Teodori peraltro di cultura radicale), la giornalista Maria Latella, che possono quanto meno manifestare il loro disagio con il presidente onorario Giuliano Amato e con l’ambasciatore Phillips.

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1 commento
Io non sono per i trentenni a tutti i costi,ma possibile che dappertutto girino sempre le stesse persone ?Cinquantenni decenti non esistono ?