Il menu per Venezia di Luigi Brugnaro, politico non per caso

CLAUDIO MADRICARDO
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Una carbonara e un bicchiere di vino, il candidato del centrodestra a sindaco di Venezia parla a ruota libera di se stesso, dei suoi piani per la città e alla fine si commuove al pensiero del padre Ferruccio, poeta-operaio icona delle lotte a Porto Marghera.

luigi brugnaro Arriva solo in auto e parcheggia sul piazzale, maniche di camicia arrotolate e giacchetta di buon taglio sulla spalla, come fosse un ragazzo solo un po’ cresciuto, con aria a mezzo tra il timido e lo scanzonato. Raggiunge il gruppetto di persone che lo sta attendendo, un po’ dei suoi più stretti collaboratori e quelli di Reset Venezia, il think tank che qualcosa aveva intuito delle cose che si sono in seguito avverate in questa città. L’occasione è uno scambio d’idee, un desiderio di conoscersi, davanti a una carbonara e a un bicchiere di vino. Si presenta e stringe le mani a tutti, ma il ghiaccio fatica a sciogliersi. È ancora il tempo di studiarsi con gli sguardi, capire chi si ha di fronte, pensare a come dare avvio al discorso. Entriamo e ci avviamo al bancone del ristorante e il freddo lascia finalmente il posto a un leggero tepore. Miracolo del banconiere, che con un colpo di sciabola decapita la bottiglia di bollicine costringendoci a brindare.

La satira su di lui? “Divertito tantissimo”

“Ragazzi, è poco più di una settimana che sono in politica, e non avete idea di quanto schifo faccia”. Se ne esce così, con un’osservazione al contempo ingenua e spiazzante, Luigi Brugnaro, candidato alla poltrona di sindaco di Venezia. La sottile lastra di ghiaccio s’incrina, il sorriso di tutti scioglie la tensione che aleggiava palpabile. Pare inizialmente come volersi un po’ sottrarre al motivo dell’incontro, Luigi, quasi preferisse continuare a cazzeggiare con i nuovi amici davanti al bicchiere di vino, piuttosto che impegnarsi nei seri discorsi della politica. Ma il tempo è poco, qualcuno glielo ricorda, e finalmente ci sediamo a tavola.

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E già da subito osserva il nuovo ambiente in cui è stato proiettato, il tavolo fatto di pallet riciclati, i bicchieri ricavati dai fondi di bottiglia. Ne prende in mano uno e lo scruta, e allo chef che gli siede accanto regala consigli sull’arredamento del locale. “Metti in tavola bicchieri di Murano, questi non vanno bene. Te ne mando io di belli”. Poi gli viene in mente che qualcuno dei commensali l’ha fatto oggetto di satira, mettendo in rete un piccolo video di Lino Ventura in versione spacca mondo e, come sonoro, la sua voce che narra di come gli sia sempre piaciuto comandare. Ma anche godersi la vita. Fin da quando era al liceo scientifico, e faceva più casino di tutti, fino a farsi eleggere in consiglio d’istituto. Chiede chi sia l’autore della satira. Qualcuno fa la spia e glielo indica. E Luigi scopre che è il commensale che gli siede proprio accanto, che per un attimo sembra incassare la testa tra le spalle, forse in un inconscio ed estremo gesto di difesa. Che non sfugge a Brugnaro, che continua con lo scherzo. E vestendo per un attimo i panni del manesco Ventura, l’apostrofa “Hai paura che ti bastoni vero? E invece mi sono divertito tantissimo. Sei stato davvero bravo, complimenti.”

“Tutto si può dire di me tranne che sono arrogante”

Finalmente primavera, del ghiaccio solo un pallido lontano ricordo. “Tutto si può dire di me – prosegue Luigi – tranne che sono arrogante”, e così pare voler fissare i paletti, la cifra dell’interpretazione di se stesso e del suo operare. Dando l’avvio a una cavalcata oratoria, in cui le parole faranno fatica a star dietro ai pensieri, in una continua rincorsa. Spezzata solo da qualche rara domanda cui mai si sottrae, unica interruzione concessa alla sua piena narrante. Già, Luigi Brugnaro, classe 1961, figlio di una maestra elementare e di Ferruccio. Il poeta operaio della beat generation, tradotto in varie lingue, e che mai ha rinnegato di aver fatto parte del consiglio di fabbrica della Montefibre-Montedison. Che anzi dell’inquinamento, delle morti sul lavoro, del processo, delle lotte operaie ha fatto tendini carne e sangue del suo epos. “Del resto mia cara, di che si stupisce? Anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Così scriveva nel ‘66 Paolo Pietrangeli, componendo “Contessa”. Scrivendo la colonna sonora delle lotte operaie e studentesche che di lì a poco avrebbero dilagato per l’Italia e per Porto Marghera. Che avrebbero portato a una breve stagione di speranze, costellata da tanti errori e da troppi lutti. Per gli anni di piombo che ne ebbero a seguire, in una tremenda scia di sangue che pareva non aver mai fine.

“Ha ancora senso parlare di destra e sinistra?”

Così, pure Luigi si laurea, in architettura. Ma i tempi sono cambiati e gli orizzonti diversi. Ed è tutta una vita di corsa, di cui non rinnega le radici, anzi le rielabora, contribuendo da par suo a cogliere il senso dei tempi. “Che senso ha parlare ancora di vecchi schemi, di destra e sinistra? Sono cose che non esistono più”. Ma quasi a rivendicare di aver contribuito a fare qualcosa “di sinistra”, come a voler rispondere con un ventennio di ritardo all’invito che Nanni Moretti rivolgeva a D’Alema, ricorda il pacchetto Treu che nel ’97 ha riconosciuto il lavoro interinale. Una legge, sottolinea, votata anche da Rifondazione Comunista allora. E Massimo D’Antona e Marco Biagi, con cui ha collaborato, morti ammazzati dai brigatisti. E, seppur di sfuggita e con molto ritegno, fa cenno al fatto di essere stato, pure lui, nel mirino dei terroristi. Ma di essere ancora vivo, con cinque figli. Di cui l’ultimo, Ettore, nato appena lo scorso gennaio. Non tocca quasi cibo, Brugnaro, spilucca solo, tutto preso dal suo ragionare che non ammette pause. Il tempo è poco e lo sa. Tra un po’ dovrà correre da un’altra parte, ma non vuole che si resti con un’idea vaga di lui, e quindi non si risparmia. E viene ai suoi progetti se diventa sindaco.

Con Brunetta dal Cavaliere

“Mi chiudo in una stanza con una quarantina di persone, di quelle che sanno, che hanno responsabilità. E non ne usciamo finché non ho capito. “E sprizza idee e progetti, alcuni dimostrano una solida competenza, che gli deriva dalla sua abitudine a lavorare su budget e bilanci. Altri sono forse un po’ zoppicanti e abbisognano di riflessione, di approfondimento. Su tutti spicca comunque la voglia di girare pagina, di non dipendere più da Roma per i soldi, di fare tesoro delle proprie risorse, di risanare di sana pianta una situazione che pare disperata. In ciò spingendosi, con coraggio, perfino ad aprire alle proposte più hard in fatto di controllo dei flussi turistici al momento disponibili. Rendendosi conto che così, in fatto di turismo, Venezia non può più andare avanti. Che bisogna alzare il livello, che altrimenti si muore. E parla con interesse della proposta di chiudere la Piazza, su cui quasi tutti gli altri candidati, o hanno aperto timidamente, o glissano. Parla delle spinte del mondo cattolico ai massimi livelli a che si candidasse, insistenti. Del suo incontro con Renzi, di cui parla con entusiasmo dicendo che ha una marcia in più, un giusto cinismo e la voglia di rivoltare il Paese come un calzino. Dei suoi avversari nella corsa a sindaco, che “rispetto tutti, ma sono diversi. Fanno i politici”. Della sua visita a Berlusconi, prima di scendere in campo, cui ha strappato due promesse, per la felicità di Brunetta presente al colloquio: che Venezia sia sempre presente nei palinsesti del Biscione, e che l’ex cavaliere prenda casa a Venezia.

Poveglia e la Reyer

Forse un po’ d’antan la sua visione di riscatto della città se si affida anche e ancora alla periclitante fortuna dell’ottuagenario Signore di Arcore e alle sue televisioni. Della necessità di espandere territorialmente il punto franco di Venezia al fine di portare le aziende dell’immateriale che contano a livello mondiale, consentendogli di pagare le tasse altrove. Com’è successo in Irlanda, come potrebbe essere a Marghera. Parla dei suoi potenziali conflitti d’interesse, dei Pili, di Poveglia. “Dove volevo fare un ospedale che curasse i disturbi alimentari che avrebbe dato lavoro a duecento persone. La bulimia e anoressia sono malattie tremende”. E nel pronunciare queste parole si scambia uno sguardo d’intesa con un collaboratore che forse potrebbe mettere a nudo un aspetto inedito, forse troppo intimo, di Brugnaro. “Spendo solo i mie soldi nella campagna elettorale. Come li spendo per la Reyer; Anche se non ho mai praticato il basket e nessuno dei miei figli lo fa. Lo faccio solo perché i ragazzi possano giocare”.

Bravo a vendere e a vendersi

Che sia da credergli? Di certo lui è il primo a crederci, anche se ammette di essere particolarmente bravo a vendere, e quindi a vendersi. E se recita, di certo, meriterebbe l’Oscar. Del resto, come gli si può dar torto? Se ha potuto mettere le mani in pasta in molte partite in città, l’ha fatto perché la politica glielo ha concesso. Perché la politica forse si è dimostrata debole e non ha messo i giusti paletti e contrappesi (Misericordia? Pili? Poveglia?). O ha scelto sempre più, nel corso degli anni, di ristringere la sua sfera di azione, delegando al privato. “Quando il diritto privato ha il completo sopravvento sul diritto pubblico e lo Stato arretra di fronte agli interessi dei privati, la decadenza dei sistemi politici minaccia le stesse basi della civiltà”. Chissà cosa ne pensa Luigi Brugnaro di questa frase di Guido Rossi, che tra le altre cose ha pure fatto l’avvocato d’affari, oltre che esser stato senatore della Repubblica per la Sinistra Indipendente. Chissà quali riflessioni gli potrebbero suscitare in caso fosse eletto sindaco, e quali comportamenti. Non tanto nei confronti dei suoi propri interessi, per lo più congelati in caso di elezione, ma verso quelli di tanti altri che come lui operano come imprenditori, in convergenze parallele con la pubblica amministrazione.

Ferruccio Brugnaro

Ferruccio Brugnaro

Si alza da tavola finalmente Brugnaro perché il tempo è tiranno, senza aver quasi toccato cibo. E si vede che un po’ gli dispiace di andarsene, di lasciare una platea che forse, sì, gli deve sembrare di aver incantato, ma ancora non del tutto conquistato. Rimane pur sempre il tempo di un’ultima domanda, mentre già s’infila la giacca, e gli chiedo del suo rapporto con la poesia. Rimane improvvisamente immobile, come fosse stato colpito da un inaspettato e proditorio proiettile. Le parole, che pur cerca di pronunciare, gli si rompono in gola, mentre gli occhi s’inondano di lacrime.

C’è una casa a Portomarghera
sotto le ciminiere
che un uomo
e un ragazzo
dipingono e ridipingono
continuamente.
Una volta lo fanno verde intenso
una volta verde chiaro
una volta verde
luminoso
che si vede anche
di notte
da molto lontano.

Così Ferruccio in “Verde e ancora verde”. Che abbia rivisto, Luigi, nella lontananza dei ricordi e per un breve istante quell’uomo e quel ragazzo?

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Il menu per Venezia di Luigi Brugnaro, politico non per caso ultima modifica: 2015-04-10T17:10:58+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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1 commento

Maria Luisa Semi 10 Aprile 2015 a 18:31

Inviato da iPad. Questo paesano possibile sindaco di Venezia ? Evidentemente avrà fatto il liceo e l’Universita in corsi serali.

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