Essere della generazione degli anni Sessanta, e Hillary Rodham Clinton lo è, significa considerare On the Road Again la colonna sonora della propria biografia.
Anche le generazioni che poi sono seguite adorano On the Road Again, il blues-rock boogie dei Canned Heat, 1967, chi non è rapito dalla voce in falsetto del leggendario chitarrista Alan “Blind Owl” Wilson, dall’armonica dell’“orso” Bob Hite e, beninteso, dall’indimenticabile Adolfo “Fito” de la Parra alla batteria. Ma per le generazioni post-60 e post-70, On the road again è “solo” un bel pezzo di musica, non è il viaggio senza meta alla scoperta di un mondo nuovo, forse utopico ma migliore di quello reale, non è Easy Rider, non è un culto, non è l’inno liberatorio di un’epoca.
Per quelli dell’età di Hillary è tutto questo
Andare on the road again corrisponde perfettamente all’immaginario dentro cui Hillary vuol farsi incorniciare per ricominciare daccapo la sua avventura presidenziale. Non le lunghe motorcade, i convogli di auto nere con il seguito di consiglieri, portaborse, amici, agenti e guardaspalle, lo spettacolo del potere che tanto infastidisce gli elettori e alimenta l’antipolitica e che, nel caso dei Clinton, ha finora generato e consolidato l’immagine di una leader distante dalla gente comune, dai suoi problemi.
Hillary rispolvera la cultura on the road che però non è solo quella degli anni Sessanta e Settanta(liberatoria, come fu vissuta in quei due decenni) ma è anche lo stile di vita di gran parte degli americani, oggi come ieri, che trascorrono gran parte del loro tempo in auto, alle pompe di benzina, nei drive in, un mondo e una vita che girano intorno all’automobile.
E così ecco la probabile futura presidente degli Stati Uniti su un furgoncino, ribattezzato Scooby Doo van, che. domenica, appena diffuso l’annuncio della sua candidatura, parte da Chappaqua, nello stato di New York, dove risiede, e va verso Monticello, nell’Iowa, mille miglia di viaggio, dove è previsto il suo arrivo domani, martedì. e parteciperà a una serie di eventi.
Un viaggio quasi incognito, due auto di scorta, lo stretto indispensabile, con lei solo Nick Merrill e Huma Abedin, due fedeli consiglieri che l’accompagnano, niente clamore, solo qualche tweet, come quello diffuso ieri da un distributore in Pennsylvania, l’incontro con una famiglia, una foto naturale e un breve messaggio.
Ci pensava da tempo a un viaggio così, Hillary, ne aveva parlato con i suoi consiglieri, avevano discusso della sua fattibilità. Un modo per “riconnettersi” con l’America che la considera una signora ricca e inconsapevole dei suoi privilegi, distante dalla middle class.
On the road again.
Certo, si è soppesato il rischio che, lungo la strada, quando si saprà dei suoi spostamenti in auto, si possano creare problemi di sicurezza e di ordine, ma intanto il viaggio è iniziato, come voleva lei, nel modo più semplice possibile. Poi si vedrà.
Prima tappa l’Iowa, lo stato dove cominciano le primarie, uno stato senza grandi agglomerati urbani, prevalentemente rurale, dove Hillary fece l’amara scoperta che un candidato africano americano dal “nome buffo”, in uno stato più bianco della panna, l’avrebbe potuta sconfiggere, avrebbe potuto annientare il mito della sua invincibilità. Pessimo inizio. E sappiamo che andò proprio così, come i clintonisti capirono anche se fecero finta di non capire.
Ed ecco adesso il bagno di umiltà, il ricominciare la corsa dando il senso che questa volta vorrà e dovrà sudarsela, la vittoria, anche se nel suo campo non si vede neppure all’orizzonte un nuovo Obama.
Naturalmente, il desiderio di un viaggio in incognito evaporerà in poche ore, quando i media di tutto il mondo inizieranno – hanno già iniziato – l’inseguimento dello Scooby Doo Van nelle highways dell’Ohio, dell’Indiana e dell’Illinois, con gli elicotteri che volteggeranno intorno al piccolo convoglio clintoniano. Ma intanto la trovata ha funzionato.
On the road again.

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