Milan made in China, per risalire la china

RODOLFO RUOCCO
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Industria e calcio. Da sempre l’accoppiata vincente degli imprenditori italiani di successo è questa. La quadratura del cerchio arriva aggiungendo i giornali. Stampa e pallone sono due straordinari strumenti per garantire immagine, pubblicità e mercati per ogni tipo di prodotti industriali e finanziari.

Gli Agnelli con la Juventus e Berlusconi con il Milan hanno mietuto, tra qualche disavventura, ogni sorta di straordinari successi. Anzi, Silvio Berlusconi ha realizzato “una potenza di fuoco” maggiore sommando anche le televisioni ai giornali e al calcio.

Adesso però c’è una importante novità. Il Milan, uno dei gioielli dell’impero Berlusconi, si avvia a diventare un po’ asiatico dopo 29 anni di dominio assoluto del proprietario della Fininvest. Entro agosto la squadra rosso-nera sembra destinata a diventare per il 48% thailandese. Bee Taechaubol, un magnate di Bangkok con un cognome impronunciabile e perciò chiamato più semplicemente “Mr. Bee”, venerdì scorso si è impegnato in una trattativa in esclusiva di otto settimane per acquistare l’importante quota di minoranza.

Berlusconi resterà presidente del Milan con la maggioranza del 52% ed incasserà 470 milioni di euro. In questo modo arriveranno i capitali per costruire un nuovo stadio a Milano e rilanciare la squadra, ultimamente appannata dopo gli antichi trionfi.

Cosa ha in mente mister Bee? Dietro la Thailandia potrebbe spuntare la Cina. Il magnate dell’Estremo oriente compra e vende aziende e qualcosa anticipa: è in programma una Ipo (offerta pubblica iniziale) su una Borsa asiatica (probabilmente Hong Kong) alla quale è interessata anche la banca cinese Citic Securities. Mister Bee ha sottolineato: «Mi propongo come investitore unico con l’appoggio di banche importanti come la statale cinese Citic Securities».

L’obiettivo è valorizzare in Asia il marchio Milan, famoso in tutto il mondo. Il nome del club milanese è legato a tanti indimenticabili fuoriclasse del pallone. Gianni Rivera, l’antico geniale attaccante del Milan, è famoso quasi quanto John Kennedy, il presidente americano della “nuova frontiera”. Un comunicato congiunto Fininvest-Taechaubol ha precisato: «L’ipotesi di accordo ha come obiettivo la valorizzazione del brand Milan in particolare nei Paesi asiatici».

La Repubblica popolare cinese ormai primeggia in tutto tranne che nel calcio. Xi Jinping, altro grande presidente riformatore, vuole cancellare questa lacuna. In trent’anni Pechino è passata dalla povertà e dal sottosviluppo a conquistare la piazza di prima potenza economica del globo. L’artefice del “miracolo” fu Deng Xiaoping. Aprì la Cina comunista al libero mercato, mettendo da parte il dogma marxista della proprietà dello Stato dei beni e degli strumenti di produzione: il là lo diede nel 1978, due anni dopo la morte di Mao Tse Tung: “Arricchirsi è rivoluzionario”. Xi Jinping, nel Forum asiatico a Boao dello scorso marzo, ha alzato l’asticella delle ambizioni: «Il trend dei nostri tempi è l’avvento storico del secolo cinese, lo spostamento del baricentro del mondo verso Pechino».

Del piano fa parte anche il calcio. La massima cura è riservata allo sport mondiale di massa praticamente ignorato in Cina. L’agenzia di stampa cinese Xinhua ha rivelato i progetti calcistici del successore di Mao: «Il presidente Xi assicura che i cambiamenti saranno tangibili, perché questo è il disperato desiderio del popolo». C’è la volontà di voltare pagina: «Il football per anni è stato fonte di imbarazzo nazionale, per questo i vertici statali hanno varato un piano per promuovere la competenza calcistica».

L’impegno è serio, come quello di combattere la corruzione politica nei vertici del Partito comunista cinese. Scuole di calcio stanno diffondendosi e l’obiettivo è di avere calciatori e club famosi in tutto il mondo. Di qui le possibili mire su blasonati club occidentali, Milan in testa. Uno slogan degli studenti rivoluzionari italiani a cavallo del 1968 era: “La Cina è vicina!”. Una volta si parlava della rivoluzione, adesso del calcio.

Il Celeste impero è un enorme mercato di oltre un miliardo e trecento milioni di persone, con un potere d’acquisto immenso dopo il sofferto passaggio all’economia capitalista da quella pianificata. Berlusconi, abile presidente del Milan e di Forza Italia, due realtà in difficoltà, lo sa e cerca di risalire la china. Ma è molto affezionato alla squadra rosso-nera: «Ai miei figli ho sempre detto: potete vendere tutto tranne la villa di Arcore e il Milan». Per ora prevede di mantenere il ruolo di presidente e di socio di maggioranza.

 

Milan made in China, per risalire la china ultima modifica: 2015-06-09T23:07:56+02:00 da RODOLFO RUOCCO
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