Il primo luglio 1990 si realizzò in Germania la cosiddetta “unione monetaria” che estese il Marco tedesco (DM) al territorio orientale dell’ancora RDT, illudendo i cittadini all’est che presto il benessere occidentale si sarebbe diffuso anche da loro: “Bluehende Landschaften“, paesaggi in fiore, aveva annunciato il cancelliere Helmut Kohl, promettendo che nessun cittadino orientale sarebbe stato peggio di prima, anzi tutt’altro.
Ma l’organismo fiduciario Treuhand, fondato dall’ultimo governo orientale di Hans Modrow quattro mesi prima (1. 3.) con il compito di tutelare il “patrimonio del popolo” (Volkseigentum) della Repubblica Democratica Tedesca e di privatizzarlo in seguito distribuendolo tra i cittadini dell’est, cambiò di colpo la propria natura.
Con il “Trattato sull’unione economica e monetaria” tra le due Germanie, le banche occidentali ne presero la direzione facendone la holding più grande del mondo che riuscì a privatizzare in pochi anni l’intero patrimonio della Rdt, che avrebbe finito di esistere pochi mesi dopo, con l’annessione di fatto alla Bundesrepublik nel ottobre del 1990, detta “riunificazione tedesca”.
Si trattò della liquidazione di un’intera economia senza alcun controllo democratico: l’87 per cento delle imprese finì in mani tedesco-occidentali, il sette per cento all’estero e solo il sei per cento andò in mano a cittadini ex-Rdt. Con la seguente deindustrializzazione del territorio si persero milioni posti di lavoro all’est entro il 1994. Fu una distruzione di entità tale che non ebbe precedenti in tempi di pace a livello mondiale “ed è estremamente rara anche in tempi di guerra”, conclude Vladimiro Giacché nel suo istruttivo saggio Anschluss. L’annessione, l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (Milano, 2013).
Fino a oggi i Laender a est sono privi di autonomia economica, carichi di debito pubblico e sopravvivono solo grazie ai trasferimenti occidentali. La Frankfurter Allgemeine Zeitung, organo dell’establishment tedesco, giudica in data odierna (Holger Steltzner, 1.7.2015) che l’unificazione politica sarebbe riuscita, ma quella economica no. E “dimentica” che l’unificazione fu una straordinaria occasione di arricchimento privato per il capitale tedesco, anche a causa del programma congiunturale della ricostruzione di tutte le infrastrutture a est, mentre le perdite restano sempre al settore pubblico.
Quando dieci anni dopo la riunificazione tedesca si realizzò l’unione monetaria europea le conseguenze nefaste per i paesi ad economia meno produttiva erano prevedibili, proprio in mancanza di ogni adeguamento strutturale o solidale possibile invece in una federazione politica. Dopo il precipitare della “crisi del 2008” e i vari “programmi di aiuto” agli stati più deboli ebbe inizio una spirale nefasta che fece, per esempio, crollare anche il PIL greco, e fece aumentare il debito da 48 mld.di Euro ai quasi 330 di oggi. Interrompere quella spirale sembra dovuto!
Ma la Germania propose un modello Treuhand anche per la Grecia, e l’ingerenza attuale nella politica interna greca da parte dell’Eurozona intera mostra che non si vuole a nessun prezzo ammettere il fallimento della politica neoliberale dell’austerità per gran parte dei cittadini europei. E ancor meno si può ammettere che ci possa essere un’alternativa a quella politica. I leader politici della SPD, Sigmar Gabriel e Martin Schulz, lo hanno espresso a chiare parole, non vogliono lasciarsi condizionare da “comunisti sfacciati” ad Atene (e magari un domani anche altrove).
Giacché ha citato una costante nel governo tedesco (nel suo libro citato): “L’utilizzo al limite del cinismo di rapporti di forza favorevoli, la convinzione integralistica dell’assoluta superiorità del proprio punto di vista, e soprattutto la difesa accanita degli interessi delle proprie banche e delle proprie grandi imprese”. Ma il neolinguaggio orwelliano con cui i mass media tedeschi, e perlopiù anche quelli europei, inondano nel frattempo, e da almeno un quarto di secolo, le nostre menti e coscienze mette a dura prova la comprensione della cruda realtà.

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