JOSÉ ANTONIO PÉREZ TAPIAS*
Si è sentita una sola parola di peso, potente, della socialdemocrazia europea nel corso della dura crisi che ha colpito la Grecia, che è anche crisi dell’Europa? Alle mie orecchie, almeno, non è giunta. E pregherei mi trasmettesse questa notizia chi venisse a sapere che una voce socialdemocratica dissonante abbia detto una parola significativa su tutto quello che è in gioco attorno alla crisi greca. Voglio dire, una parola che sia espressione di una posizione politica propria, che si differenzi dal discorso della destra. Fin tanto che non si provi che detta parola sia stata pronunciata, non rimane che concludere che la socialdemocrazia europea, ancora una volta, ha mancato all’appuntamento.
Ovviamente, tale conclusione implica che dichiarazioni come quelle del socialdemocratico Sigmar Gabriel, pronunciate per condannare la politica di Syriza senza marcare le distanze dalla Merkel, del cui governo fa parte, non dicono nulla di una posizione con un profilo di sinistra, per quanto timidamente abbozzato. Per non parlare poi delle parole del presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico Martin Schulz. Da parte sua nemmeno François Hollande, che cerca di fare in modo che gli ormeggi non si rompano, ha alzato la voce per dissentire dall’ortodossia neoliberale con i cui occhiali si è messa a fuoco la crisi greca.
Quanto poi ai discorsi con un impianto di sinistra, non molto si può dire delle opinioni di importanti dirigenti del PSOE. Questi sono andati dal commentare ironicamente come “insolito” che un governo chieda il “no” in un referendum che è stato esso stesso a convocare, come ha detto Pedro Sánchez. Fino alla squalifica del primo ministro Tsipras fatta da Jordi Sevilla, tacciato di agire “irresponsabilmente”.
Da stigmatizzare come irresponsabile sarebbe stata caso mai l’azione della Troika, che ha sottoposto la Grecia alla tortura di un piano di “austerità”, tanto ingiusto quanto inefficace a favorire la sua uscita dalla crisi, ma c’è stata questa sensibilità? Si è dovuto aspettare che Tsipras convocasse un referendum per richiedere l’appoggio dei cittadini in un negoziato durissimo per la ristrutturazione del debito, perché il FMI desse ragione al primo ministro greco quando dice che detta ristrutturazione è inevitabile e che anche una “riduzione del debito” è conveniente?
Nessuno poteva dire una parola sul gioco perverso che tale dichiarazione del FMI implicava, fatta non per dare ragione a Tsipras e al suo ex ministro Varoufakis, quanto per fare ancor più pressione sui cittadini greci affinché votassero “sì” provocando le dimissioni del primo ministro? Tuttavia la popolazione, con grande dignità, ha votato in maggioranza “no” ai piani della Troika. E mi sarebbe piaciuto che l’ex presidente Zapatero, che sa cosa significa subire pressioni, anziché criticare il governo greco per aver convocato il referendum, si fosse mostrato più comprensivo, visto che lui stesso avrebbe dovuto convocarne uno per la riforma dell’articolo 135 della Costituzione, di penoso ricordo.
Per fortuna le voci di sinistra si fanno sentire da molte parti, sia da particolari formazioni politiche (e per quanto minoritarie, pure dalle fila del PSOE) sia dai movimento dal mondo accademico. Economisti di fama, alcuni di chiara filiazione socialdemocratica, come Juan Torres o Vicenç Navarro, si sono espressi chiaramente non solo a favore della Grecia e alla fine contro le posizioni della Troika, confinanti con il ricatto al governo greco, ma perfino a favore del “no” nel referendum. Altre opinioni molto responsabili l’hanno fatto in termini simili, come nei casi di Krugman e Stiglitz, premi Nobel per l’Economia. A loro si sono aggiunte voci come quelle dell’apprezzato economista Piketty o quella del filosofo Jürgen Habermas.
La critica di Habermas alla politica delle autorità europee che ha fatto sì che i greci, con la complicità del FMI e la mano invisibile della Merkel, passassero il limite del sopportabile, è stata specialmente dura; massimamente rilevante anche per la sua condizione di cittadino tedesco. Il filosofo non si è risparmiato di porre al centro dei suoi dardi dialettici quello che ha chiamato “il governo dei banchieri”. La sua critica al modo in cui si sta affrontando la crisi greca si estende alle istituzioni europee che presentano un profilo che giunge a essere antidemocratico e chiaramente sottomesso al potere finanziario.
Non si tratta di mero deficit democratico quello presentato dall’Europa; è qualcosa di peggiore, che ben si può esprimere parafrasando alcune righe di Marx ed Engels nel Manifesto comunista: “Il potere della Commissione Europea è il consiglio di amministrazione della grande banca (tedesca)”. Di lì la frustrazione di un Habermas che, come europeista convinto, scommetteva fortemente non solo per il disegno istituzionale della UE, ma anche per la strutturazione di un demos europeo come cittadinanza che, oltre le frontiere, sostenesse il progetto dell’Unione.
E d’altro canto, lo stesso pensatore tedesco, che si è battuto per una ricomposizione del socialismo democratico dopo la “caduta” del muro di Berlino, che avrebbe permesso alla socialdemocrazia di lasciarsi alle spalle la sua sottomissione alla logica del sistema capitalistico al fine di recuperare il vigore riformista, ha constatato la deriva di una socialdemocrazia che non esce dall’orbita sopra la quale il neoliberismo l’ha messa a girare. Che la destra prenda le posizioni che ha davanti alla crisi della Grecia, in continuità con la disastrosa linea di condotta che si sta sviluppando da quando l’attuale crisi è entrata in Europa, non ci deve sorprendere, per quanto sia criticabile.
Quello che per la sinistra è esasperante è la timidezza della socialdemocrazia, la sua impotenza a ingaggiare battaglia con alternative solide e credibili, il suo perenne arrivare tardi agli appuntamenti storici, ammesso che ci arrivi… Se questo si è dimostrato davanti alla crisi della Grecia e alla molestia alla quale è stato sottoposto il suo governo, davanti ad altri momenti e problematiche la situazione è simile: a partire dal dibattito sull’immigrazione e i rifugiati, fino alla posizione di condiscendente subordinazione in quello che si riferisce al Trattato sul libero commercio (TTIP).
Il fondo della questione è costituito dai sedimenti accumulati dopo decenni di zoppicamento davanti al neoliberismo egemonico. Se prendiamo come riferimento quella Terza Via alla quale si rivolse Blair, è opportuno ricordare il bilancio che ne fece lo sfortunato Tony Judt, lo stesso che descrisse questo leader laburista postmoderno come “gnomo nel britannico giardino dell’oblio”, solo per distruggere la memoria delle lotte operaie. Lo storico inglese, con molta flemma, lasciò detto che “qualcosa andava male” nella socialdemocrazia. Oggi è molto quello che va male, con un modello sociale europeo che si vede minacciato e con una socialdemocrazia che sembra non solo sequestrata dal neoliberismo, ma anche affetta da una specie si sindrome di Stoccolma in rapporto a questo neoliberismo dal quale è stata rapita.
Da parte loro i fatti ci dicono che siamo davanti a una socialdemocrazia consegnata a quello che dovrebbe essere il suo avversario, in altre parole, una socialdemocrazia che si è arresa, incapace di superare la patologia politica nella quale si vede immersa. E il fatto è che continua a essere necessaria un’alternativa socialista. La battaglia della Grecia, dove il futuro dell’Europa ugualmente si chiarisce, così lo dimostra.
(traduzione di Claudio Madricardo)
*JOSÉ ANTONIO PÉREZ TAPIAS è membro del Comitato Federale del PSOE e professore decano di Filosofia all’Università di Granada. Pubblichiamo questo suo articolo per gentile concessione di Contexto un sito di informazione fondato da giornalisti provenienti da diversi grandi giornali europei. E’ diretto da Miguel Mora, per anni corrispondente da Lisbona, Roma e Parigi de El País. Fare giornalismo di approfondimento, seguendo un rigido codice etico, opponendosi ai tempi frenetici dell’informazione e senza soggiacere a interessi politici, editoriali e d’impresa è lo scopo di questa testata. Il controllo del mantenimento di questi indirizzi è compito del Consiglio editoriale, il cui presidente onorario è il linguista Noam Chomsky, formato da giornalisti, storici, docenti e intellettuali provenienti da diverse discipline. I finanziamenti provengono da un crowdfunding per il lancio dell’iniziativa e formule di abbonamento, non da vendita di spazi pubblicitari.

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