“Villa Aldobrandini resta chiusa per consentire l’esecuzione di lavori di messa in sicurezza e restauri”. Così si legge su un cartello al cancello d’entrata, chiuso da un catenaccio arrugginito. Date di inizio e fine cantiere? Non c’è traccia sul cartello. Ed è già trascorso un paio d’anni.
Ottomila splendidi metri quadrati di verde e beni culturali che al momento si possono spiare solo dalle grate della cancellata su via Mazzarino, che corre lungo Palazzo Koch, sede centrale della Banca d’Italia. Racchiusa fra quattro muraglioni, la villa, a pochi passi dal Quirinale, è interdetta al pubblico da tempo.
Gli abitanti del Rione, i monticiani e, in generale, gli aficionados del parco, cosiddetto “pensile”, sanno che il giardino è sempre stato aperto dalle sette di mattina fino al tramonto. Si spera che quanto prima si possa tornare a godere il panorama tra le palme della Villa da dove si vede tutta la città eterna. Ma di riapertura non si parla proprio, e forse, data anche la sua ubicazione, sarebbe anche bello se il presidente Sergio Mattarella, che vive da quelle parti, facesse una passeggiata di neppure cinque minuti ed esprimesse tutto il suo stupore di fronte a quel che vedrà. Caso mai potrebbe anche incrociare il suo predecessore, il senatore a vita Giorgio Napolitano, che vive a pochi passi dalla Villa.
Nel cuore del Rione Monti a Roma, situata sul Collis Latiaris, ovvero l’estremità del colle del Quirinale in epoca romana, Villa Aldobrandini si trovava sul percorso della via detta “Alta Semita”, che dava il nome alla VI Regio augustea, affacciata sui Mercati traianei, di fronte allo snodo di largo Magnanapoli e via Nazionale.
Dal 1926 la villa è proprietà dello Stato e si presenta come un giardino pensile, racchiuso da muraglioni, a cui si accede da via Mazzarino, attraverso una ripida scalinata che s’inerpica tra ruderi antichi della fine del I secolo.
La villa comprendeva, secondo lo schema cinquecentesco, un edificio, un giardino segreto e un parco che si estendeva fino al palazzo del cardinale Scipione Borghese (poi palazzo Pallavicini Rospigliosi). Giulio Vitelli affidò i lavori di restauro e abbellimento della Villa all’architetto Carlo Lambardi che ampliò il portone di ingresso costruendovi sopra una loggia: si tratta del padiglione su largo Magnanapoli (angolo con via Panisperna), dal quale si arrivava al prospetto principale del palazzo attraverso una via coperta con cordonata oggi non più visibile.
Nel 1600 Clemente Vitelli, figlio di Giulio, vendette la Villa a papa Clemente VIII (1592-1605), e questi la donò l’anno successivo al nipote, il cardinale Pietro Aldobrandini.
Tornando alla storia del giardino non si può dimenticare che Giacomo Della Porta, architetto di fiducia del proprietario, dotò il palazzo di scale e logge e di una facciata continua sul giardino. Questo fu arricchito con alberi ad alto fusto, in parte ancora esistenti. I viali furono arredati con statue (oggi in copia), vasi, cippi, sedili, alcune fontane e una peschiera (oggi non più esistente). Tutti i lavori, per i quali il cardinale impiegò una grande quantità di denaro, vennero condotti, anche se non del tutto finiti, in un lasso di tempo molto breve tra il 1601 e il 1602.
Ai piani superiori del palazzo era ospitata una ricchissima collezione di opere d’arte lasciate in eredità al cardinale nel 1598 dalla duchessa di Urbino, Lucrezia d’Este, con cui lo stesso Aldobrandini aveva trattato la donazione di Ferrara alla Santa Sede.
Dopo la morte del cardinale, la Villa passò per via ereditaria alle famiglie Pamphilj e Borghese, che spostarono nelle Gallerie dei propri palazzi gran parte della collezione Aldobrandini.
La collezione era formata da alcuni pezzi particolarmente importanti. Vi erano quadri di Giovanni Bellini, Tiziano, Dosso Dossi e più in generale della scuola veneta e ferrarese, oltre a quella dei Carracci, di Raffaello e dell’ambiente romano. In sostanza, offriva un panorama di ampio profilo della produzione pittorica italiana cinquecentesca e degli inizi del Seicento.
Nel padiglione cinquecentesco era collocata la pittura di epoca romana raffigurante una scena nuziale, universalmente nota come “Nozze Aldobrandine”, venuta in luce nel 1601 “a Santo Giuliano”, nel Rione Esquilino e ora conservata nei Musei Vaticani.
Negli anni Trenta, infine, l’architetto Marcello Piacentini aggiunse a destra del portone che oggi rappresenta l’entrata principale del palazzo, su via Panisperna, un corpo neocinquecentesco.
Il palazzo e parte del giardino, oggi recintati e chiusi al pubblico, furono assegnati all’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato; il resto del parco, con i tre padiglioni, è passato al Comune di Roma che, su progetto di Cesare Valle, fece costruire nel 1938 una scalinata per il nuovo ingresso pubblico su via Mazzarino.

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