I sindaci di Roma e Milano sono sempre di più in bilico. Le due giunte di centrosinistra traballano proprio mentre a Milano è in corso l’Esposizione universale sul cibo e a Roma mancano cinque mesi all’avvio del Giubileo della Misericordia, voluto da papa Francesco: due grandi occasioni internazionali di riscatto e di rilancio per le due metropoli.
È una pericolosissima miscela. Contrasti politici, veleni, arresti e avvisi di garanzia per corruzione e tangenti su appalti da tempo non fanno più dormire sonni tranquilli i sindaci. Ignazio Marino e a Giuliano Pisapia, i sindaci della capitale e del capoluogo lombardo, sono bombardati da una pioggia di brutte notizie.
Le ultime due “tegole” cadute sulla testa di Marino e di Pisapia sono le dimissioni, quasi in contemporanea, dei rispettivi vice sindaci: Luigi Nieri a Roma e Ada Lucia De Cesaris a Milano. Nella capitale è subito scattata la mobilitazione per cercare di trovare un altro numero due di Marino e scongiurare le elezioni comunali anticipate: Nichi Vendola, presidente di Sel ed ex governatore della Puglia, è catapultato nella corsa contro la sua volontà. A Milano Pisapia, invece, ha lanciato un appello alla sua ex vice: «Spero ci ripensi». Ma l’appello a restare è caduto nel vuoto, almeno per ora. Nei prossimi giorni potrebbe essere sciolto il rebus delle due sostituzioni, tuttavia l’esito può riservare sorprese imprevedibili.
Roma e Milano sono lo specchio di una crisi più generale della Seconda Repubblica, leaderistica e maggioritaria, nata vent’anni fa dopo il crollo della Prima sotto i colpi di Tangentopoli. Anzi le due metropoli, più esattamente, fanno emergere la crisi del “modello dei sindaci”, l’elemento più innovativo e dinamico della Seconda Repubblica, prima caratterizzata da Romano Prodi, Silvio Berlusconi ed Umberto Bossi e ora da Matteo Renzi, Beppe Grillo e Matteo Salvini. La stagione dei sindaci eletti direttamente dai cittadini, al primo turno o al ballottaggio, aprì nel 1993 la Seconda Repubblica carica di speranze di rinnovamento. Valentino Castellani a Torino, Francesco Rutelli a Roma, Antonio Bassolino a Napoli, Leoluca Orlando a Palermo ed Enzo Bianco a Catania erano i giovani sindaci di centrosinistra simbolo di una nuova classe politica, apprezzata dagli elettori per competenza ed onestà.
È un’epoca lontana, qualche nome è stato dimenticato con le dovute eccezioni: Orlando e Bianco, dopo vent’anni e altre esperienze politiche nazionali, sono ancora in sella come sindaci di Palermo e di Catania.
Da lì, dal tornado dei sindaci di vent’anni fa, è arrivato il ciclone del cambiamento anche della classe politica nazionale dell’Italia. Matteo Renzi, il più giovane presidente del Consiglio della storia della Repubblica italiana, è stato sindaco di Firenze dal 2009 all’inizio del 2014, quando lasciò Palazzo Vecchio per andare a Palazzo Chigi a Roma.
Tuttavia la crisi riguarda anche le regioni e i governatori. Oggi è entrata nell’occhio del ciclone la regione Sicilia e il presidente Rosario Crocetta. Tutto è partito da una telefonata intercettata di Matteo Tutino, medico personale di Crocetta. Secondo l’Espresso il medico, arrestato nei giorni scorsi, avrebbe pronunciato una frase shock qualche mese fa: Lucia Borsellino «va fatta fuori. Come suo padre». Il riferimento è a Paolo Borsellino, il magistrato ucciso dalla mafia a Palermo nel 1992. Crocetta ha negato di aver mai sentito questa terribile considerazione di Tutino, comunque si è autosospeso dall’incarico di governatore. Lucia Borsellino qualche giorno fa si è dimessa da assessore alla Sanità della regione Sicilia.
La classe dirigente locale, forse anche di più di quella nazionale, ha perduto credibilità. Ora “il serbatoio” dei sindaci è andato “in rosso”, non sembra più un’alternativa valida alla classe dirigente nazionale. La crisi di Roma e Milano suona l’allarme per tutta la Seconda Repubblica, da tempo in affanno e in cerca di una strada nuova per dare una risposta ai gravi problemi economici, sociali ed istituzionali del paese.
Anzi, in alcuni casi, il degrado politico ed etico a livello locale, soprattutto dei gruppi dirigenti delle regioni, è molto più grave di quello nazionale (gli scandali sull’appropriazione e lo sperpero dei fondi pubblici, soprattutto nel Lazio durante la giunta Polverini, per mesi hanno dominato le prime pagine dei giornali). Le difficoltà nelle quali navigano Roma e Milano «segnalano, oltre al disagio dei due governi locali, anche l’estinzione di un serbatoio di classe dirigente cui poter attingere», ha osservato Pino Pisicchio. Le speranze del cambiamento sono andate deluse per il presidente del Gruppo Misto della Camera: «Sembra davvero lontana la stagione dei sindaci che si proponevano come alternativa ad un ceto politico nazionale bloccato».
L’Italia ha dovuto sempre fare i conti con un sistema politico difficile a livello nazionale e locale. Nicola Amore, grande sindaco liberale di Napoli alla fine del 1800, disse con tono ironico a un giornalista del Times: «Governare Napoli non è difficile, è inutile».
Certo se salta “il serbatoio di riserva” dei sindaci insieme a quello quasi “a secco” dei partiti il problema si fa serio. C’è un’incertezza di soggetti, di sedi e di selezione di classe politica. È la scommessa di rinnovamento della democrazia italiana.
LA NOTA POLITICA di Rodolfo Ruocco

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
1 commento
[…] ROBERTO DI GIOVAN PAOLO Le vicende di Marino, in parte di Pisapia,e ovviamente quella di Crocetta, alludono – comunque si concludano e quantunque la loro irrilevanza penale – alla fine di un’epoca. E non so se la politica si stia ponendo il problema. Bene ha fatto Rodolfo Ruocco a sollevare il problema su ytali. […]