Il 16 e 17 settembre sono due giorni importanti per il dollaro; di conseguenza, lo sono per l’economia mondiale. Mercoledì si riunirà il Federal Open Market Committee (FOMC), l’organo della Federal Reserve (FED, l’Autorità monetaria degli USA) che regola la politica monetaria degli USA; il giorno dopo sapremo da Janet Yellen, la presidente della FED, se la da tempo annunciata, e temuta dai mercati, “frenata monetaria” avrà luogo.
Se la Yellen guardasse solo a casa propria, la “stretta” sarebbe probabile: perché l’economia degli States gira relativamente bene e potrebbe essere opportuno (almeno nella visione tipica dei banchieri centrali) evitare che si surriscaldi tenendola entro i binari della stabilità monetaria e finanziaria. Tuttavia, la FED deve anche tenere conto che il dollaro è un po’ come un elefante che si muove in una cristalleria (l’economia globale); a riprova, il solo fatto che da un anno si annunci l’austerity monetaria made in USA ha già prodotto degli effetti (negativi per alcuni paesi) sia in finanza (fuga verso Occidente) che sui prezzi (caduta) delle materie prime. E che, conseguentemente, quello che essa fa riguarda tutti. Per questo ha ragione l’analista Fubini (Corriere della Sera) a parlare per la FED di sovranità monetaria limitata: molte, infatti, le variabili internazionali che la presidente Yellen deve considerare; di qui la sua prudenza. Tant’è che la decisione potrebbe essere pure rimandata.
Naturalmente, se il governo del dollaro è a sovranità monetaria limitata, tanto più lo sono quelli delle altre monete: per questo è paradigmatico osservare le vicende della Banca centrale della moneta che, per l’architettura politica e militare che la sostiene, è la più forte del pianeta. Il tema, di pertinenza all’analisi politica oltreché economica, riguarda la sua indipendenza dal potere condizionante dei mercati globali. Alta, se il “non possiamo certo occuparci noi della volatilità delle economie emergenti” del presidente della FED di St. Louis (Limes) divenisse il punto di vista ufficiale; perché, in tal caso conterebbe solo la situazione interna agli States, nell’indifferenza delle ricadute globali delle provvedimenti presi.
Viceversa, più propriamente si potrebbe parlare di sovranità monetaria limitata se la FED accettasse di parametrare il proprio comportamento evitando di scuotere i mercati. In tal caso, che potrebbe tradursi giovedì in non-decisioni, sarebbe la stessa Yellen a limitare la propria sovranità monetaria; ma non per ragioni economiche, quanto politiche: ovvero, di garantire la stabilita finanziaria, quindi reale, dell’economia-mondo.
In questa seconda ipotesi, però, la FED rischia di trovarsi in una situazione paradossale: quella di un “Sovrano monetario” che, salvato il capitalismo dalla Grande crisi dichiarando lo stato d’emergenza (moneta “facile” e, conseguentemente, tassi in picchiata), sia dannato a restare intrappolato da quest’ultima perché, al primo cenno di uscirvi, i sudditi (i mercati), in astinenza da facile liquidità, diverrebbero ingovernabili. È una posizione difficile, questa della FED; specie dinnanzi agli interessi politici, anche divergenti, di Congresso e Casa Bianca.
Sicuramente la FED desidera tornare alla normalità pre-crisi nella conduzione della politica monetaria. Difatti, è di fronte a un dilemma: fare austerity monetaria per riaffermarsi Signora del dollaro a fini interni (tra l’altro un incremento dei tassi sui T bond USA riporterebbe oltreoceano molti dollari); oppure, anteporre alle interne le esigenze (vengono dalla Cina, dall’India, dal Brasile come da ovunque) di ordine pubblico economico globale anche al prezzo di apparire un Sovrano monetario dimezzato perché schiavo dei mercati.
In gioco è la credibilità (il principale capitale politico di una Banca centrale) della FED; vedremo in quale tavolo, l’interno o l’internazionale, giocherà questa partita. Insomma, la stretta monetaria, se sarà, sarà figlia dei dati sulla ripresa degli USA e della necessità (secondo il mainstream vigente) di tenerla sui binari di una crescita accettabile dei prezzi; al contempo, i suoi effetti più pesanti saranno fuori dagli States.
Conseguentemente, la decisione della FED dipenderà anche da ciò che essa pensa di sé stessa: ossia se essa si consideri solo la Banca centrale degli USA; oppure se ritenga di essere l’Autorità monetaria del capitalismo globale: il che significherebbe dover garantire la stabilità dei suoi mercati anche al prezzo di limitare la propria sovranità monetaria (indifferenza al vicino) nazionale. Tra poche ore sapremo cosa la Yellen deciderà tra saggezza economica e geoeconomia monetaria globale.

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