Eutanasia di una banca centrale o realpolitik? È questo il dilemma che pone la decisione della Federal Reserve (FED, l’Autorità monetaria degli USA) di rinviare ancora una volta la correzione in senso restrittivo della propria politica monetaria.
La ratio della scelta l’ha esplicitata Janet Yellen, sua presidente, in conferenza stampa. Infatti, dalle sue parole è emerso il prevalere, nel decidere, della preoccupazione per le conseguenze negative globali di una crescita del costo del denaro made in USA; così riconoscendo che, viaggiando l’economia statunitense sul giusto binario, la posizione dei falchi – più severità per anticipare pressioni sui prezzi o, peggio, bolle speculative – avrebbe potuto avere la maggioranza nel Board della FED. Che, viceversa, ha fatto un’altra scelta, politicamente assai significativa ma non scontata: riconoscere di essere attualmente la Banca centrale, oltreché degli States, dell’economia globale; e di comportarsi conseguentemente. Infatti, difficilmente in questa veste, avrebbe potuto assumersi il rischio di una recessione planetaria (è l’incubo della Grande stagnazione teorizzata dal segretario al tesoro con Clinton Larry Summers, non a caso super colomba sui tassi); né di far saltare i conti, sarebbe uno tsunami, degli operatori dell’economia globale indebitati in dollari. Di qui la realpolitik della FED. Perché, allora, è possibile parlare di eutanasia della FED medesima?
La ragione è che pure i falchi hanno solide ragioni dalla loro; solo che le loro priorità e inquietudini sono di diverso segno. Ad esempio, per essi un’austerity monetaria preannunciata da mesi e mesi e sempre rinviata è destinata a minare la reputazione, cioè un asset politico/istituzionale vitale per ogni Autorità monetaria, della FED. Cui aggiungere che è la credibilità a consentire talvolta alle Banche centrali il ricorso ai soli annunci come importanti strumenti di governo della moneta: in fondo, il <> di Draghi, senza ulteriori azioni, bastò a salvare l’euro dal collasso.
Ma senza la risorsa “credibilità” tutto svanisce; e questa è come un castello di carte: basta toccarne una e tutto crolla. Poi, coerentemente a ciò, c’è la considerazione che se la FED rinuncia ad alzare i tassi per timore della reazione dei mercati, ciò vuol dire che la politica monetaria della Banca centrale è loro schiava: il che significherebbe lo svuotamento pieno della sovranità monetaria pubblica.
Naturalmente, si potrebbe obiettare che la prudenza della presidente Yellen sia determinata più che dal timore di avere scarso potere da quello di averne troppo; e che, dunque, l’agire per stabilizzare mercati a rischio “bolla” per eccesso di liquidità possa, viceversa, destabilizzarli. La maggioranza nel Board della FED ha ragionato così: dinnanzi al rischio di conseguenze impreviste (tsunami nei mercati) è meglio aspettare e rimandare. Ma se di ciò si facesse un principio, temono i falchi, i mercati stessi diverrebbero ingovernabili, ed è una preoccupazione difficile da sottovalutare.
Ciò posto, probabilmente la Yellen ha scelto l’opzione più saggia politicamente: perché è la più adatta a tenere almeno in galleggiamento l’economia/mondo. In fondo, se la situazione è eccezionale, più che con regole si deve governare adeguandosi al momento. Vero, ma così si rischia di eternizzare l’emergenza, limitandosi a sperare che il “treno globale” eviti il deragliamento. Contro, molti temono, che l’accondiscendenza monetaria, creando dipendenza nei mercati, li renda sempre meno trattabili da politiche meno accomodanti; e che ciò porti alla paralisi. D’altronde, lo scarso appeal che i provvedimenti della Yellen hanno incontrato presso i mercati può essere spiegato col fatto che, comunque, l’austerity monetaria è rimasta nell’aria; per di più con incertezza sul quando e sul “cosa” la farà scattare.
Esattamente ciò che paventano i falchi, in FED ma non solo. Forse, allora, il vero problema va oltre il sì o no all’austerity monetaria; ed è piuttosto quello di dare ai mercati l’idea che, oltre l’emergenza, le Autorità monetarie hanno una strategia e regole conseguenti. Diversamente, in nome dell’emergenza la politica monetaria sarà condannata all’eterno purgatorio dell’indecisione.
Resta invece positiva la decisione della Yellen di porre in soffitta, nel nome della responsabilità globale della FED, il cosiddetto “beggar my neighbour policy” (me ne infischio del vicino), spesso coltivato dai suoi predecessori. Perché c’è bisogno di collaborazione tra Autorità monetarie.

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