Sono 120 le opere esposte all’interno della mostra “La forza delle rovine” che si snoda attraverso tutte le sale del Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps integrando, inoltre, le opere della collezione permanente che contribuiscono alla ricchezza della narrazione. La mostra inaugura anche nuovi spazi che resteranno a disposizione del museo nell’ottica di un ampliamento del percorso espositivo.
Nella “narrazione” della mostra si intrecciano le collezioni di scultura antica del museo e materiali classici come incisioni, pitture e acquerelli con le opere contemporanee, testimonianze moderne come fotografie, brani musicali e cinematografici. Il fil rouge è un’indagine sui significati dell’idea stessa di rovine: luoghi della memoria ma anche tracce di guerre o disastri naturali.
Curata dall’ideatore Marcello Barbanera e dalla direttrice di Palazzo Altemps, Alessandra Capodiferro, la mostra, divisa in nove sezioni, si apre sulle catastrofi, naturali e artificiali, con il quadro in cui Guttuso dipinge la presa di Palermo o la copertina del New Yorker sull’11 settembre.
Promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma, con Electa, la mostra nasce da un’idea di Marcello Barbanera, che insegna archeologia classica all’Università “La Sapienza” di Roma.
Durante la visita della mostra si percepisce un dialogo tra sculture, pitture, incisioni, acquerelli, antichi volumi, e testimonianze moderne come fotografie, brani musicali e cinematografici. Catastrofi: rovine moderne e contemporanee. Sono le catastrofi, naturali e artificiali: guerre, disastri nucleari e ambientali, terremoti.
“La forza delle rovine” è una meditazione sull’incompletezza, sull’esigenza di conservare la memoria, sull’incapacità dell’uomo contemporaneo di far vivere insieme il passato e il progresso della modernità, ma è anche testimonianza di una fascinazione per le vestigia antiche che resta inalterata nei secoli.
Il Museo di Palazzo Altemps e la sua collezione permanente sono parte integrante di questa riflessione: le sale museali, comprese quelle recentemente restaurate e oggi aperte al pubblico, ospitano più di cento opere di stile, tecniche, cronologie e carattere di gran lunga diversi dai capolavori presenti stabilmente nel museo, creando spesso suggestivi giochi di rimando.
Così nella “sala di Polifemo” lo splendido torso ciclopico introduce il tema del frammento e dell’immagine del corpo maschile. Uno degli esperimenti della mostra è proprio quello di far convivere la collezione permanente con quella temporanea e, in questo modo, il museo diventa parte integrante del linguaggio artistico dell’esposizione.
La mostra, per certi versi, fa pensare al piccolo e prezioso libro dell’antropologo Marc Augé sulle rovine e il senso del tempo. Augé esordisce prendendo spunto da un’illustre citazione di Sigmund Freud il quale, giunto per la prima volta ad Atene, sull’Acropoli pensa: “Dunque tutto questo esiste veramente, proprio come l’abbiamo imparato a scuola?”. E da qui parte una riflessione sul senso del tempo davanti alle rovine di un’antica civiltà, meglio, di un sito archeologico.
La “Forza delle rovine” è una riflessione sul rapporto tra archeologia e modernità e anche solo per questo vale la pena vederla. Oltre al fatto che Palazzo Altemps merita sempre una visita.

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