Tutti appaiono sconcertati dalle esternazioni del nostro nuovo Sindaco, soprattutto dall’ultima, sull’ipotizzabile vendita di opere d’arte appartenenti alle pubbliche collezioni comunali (specie ricordando che un suo predecessore viceversa impegnò forti somme – tra le polemiche – per comperarne, di quadri).
Nella fattispecie insigni e ben note personalità della critica hanno espresso il loro parere nel merito e nel metodo: generalmente negativo, salvo Vittorio Sgarbi che, come sempre fuori del coro, trova la soluzione tutto sommato accettabile, specie in relazione allo Chagall che definisce «ampiamente sopravvalutato».
Personalmente, da semplice persona che ha passato la vita a restaurare le opere della Pittura di tutti i secoli, sono particolarmente d’accordo su quest’ultima affermazione: basti pensare all’esagerata concessione cha fu fatta a Chagall di rifare il soffitto della sala teatrale al Palais Garnier (l’Opera di Parigi) con ciò offendendo barbaramente l’unità stilistica decorativa dell’intero Teatro, caparbiamente voluta dall’architetto Garnier che aveva preteso di progettare perfino le maniglie delle porte…
Però non divaghiamo su questioni che riguardano i francesi. Invece sugli annunci del Sindaco il punto importante è un altro: perché fare affermazioni che possono essere facilmente fraintese o contestate?
Riassumo le più eclatanti, relative ai due dipinti:
– in fondo è solo «modernariato»; definizione teoricamente corretta, ma usualmente riservata ad arredamento e oggettistica del dopoguerra; comunque non a dipinti d’autore, e perciò in questo contesto oggettivamente inopportuna.
– non pensiamo di vendere opere «di pregio», o collegate alla nostra storia; difficile che qualche Storico dell’Arte non definisca “di pregio” l’opera di Klimt, e per il fatto stesso che fu acquistata in occasione della sua prima esposizione alla Biennale, essa fa appunto parte della storia di Venezia.
Ma pensiamo anche alla famosa questione della “cassazione” dei libri per la scuola, che riempì le cronache mesi fa; decisamente una spropositata differenza tra il “danno” d’immagine, col Sindaco ovunque accusato di oscurantismo, e il “danno” morale di pochi libri compresi in una lunga lista di possibili scelte.
Le spontanee considerazioni della gente comune sono: «possibile che il Sindaco di una città così importante dal punto di vista culturale, faccia affermazioni “da Bar Sport” senza pensare che ogni sillaba può venire giudicata (spesso superficialmente) in ogni parte del mondo? Non ha qualcuno che lo consigli? E il primo commento è ricordare il vecchio adagio Prima de parlar, tasi…
Mio nonno però mi diceva: non giudicare stupido chi ha raggiunto un successo, perché comunque ne ha capito più di te!
Io non conosco personalmente il signor Brugnaro, e quindi fatico a convenire sull’idea di ottusità che scaturisce da tutte queste esternazioni. Già, perché non si diventa né imprenditore, né Sindaco di una grande città così per caso; bisogna combattere, e vincere, aspre battaglie anche mediatiche e piene di astute sottigliezze. Difficile pensare che il giorno dopo uno si svegli candido e sprovveduto da lasciarsi andare a espressioni che il giorno prima gli avrebbero fatto inesorabilmente perdere le elezioni…
Anche il ministro Franceschini ha subodorato una tattica sottotraccia, in queste ultime affermazioni, cioè quella di ottenere più risorse paventando svendite forsennate, ma io mi spingerei a immaginare una strategia molto più sottile, da parte di un Sindaco che ami veramente la propria città acquisita.
Da veneziano residente a San Marco conosco bene l’impatto che hanno sulla città i venti milioni di turisti che la visitano ogni anno.
Sono troppi.
Non in senso assoluto, ma relativo ai cinquantamila abitanti che tentano di viverci; 250 turisti per residente, ogni giorno dell’anno: chiederei a ciascuno di loro come vivrebbe la sua quotidianità ospitando costantemente “nel suo giardino” più di duecento estranei.
Venezia si sta consumando, sia in senso materiale che umano.
Quindi bisognerebbe diminuire gli arrivi. Però non si possono mettere sbarre (non è etico) né biglietti (apriti cielo!) e nemmeno si può dire in pubblico “cercate di non venire, non ne vale la pena…”, per non soccombere di fronte alle categorie economiche cittadine veramente forti (quelle che prendono le decisioni e portano voti) e perché sarebbe invece un ulteriore stimolo alla curiosità degli stranieri.
Ecco quindi la strategia di squalificare sottilmente Venezia, per indurre un senso di repulsione tra quanti vorrebbero visitarla: “se il Sindaco, espressione della cittadinanza, si comporta rozzamente, figuriamoci gli altri abitanti! Meglio andare da un’altra parte…”
Giusto andare per piccoli passi, senza scoprirsi, prima un accenno di omofobia, poi la noncuranza verso la cultura; forse è prematuro, ma si potrebbe già proporre delle “suite vista San Giorgio” a Palazzo Ducale, o un ottovolante in Piazza.
Però ora mi rendo conto che il “target” è sbagliato: in questo modo si disamorerebbe solo la componente turistica che ha un alto quoziente culturale, ossia un’esigua minoranza degli arrivi; la maggior parte dei nostri “ospiti” vede più volentieri le vetrine che le architetture, e si farebbe volentieri un giro in giostra a Piazza San Marco.
Meglio quindi concentrarsi sulla ben consolidata strategia di comunicazione subliminale da anni operata in modo massiccio, ossia che il turista a Venezia è sonoramente “rapinato” in ogni occasione: questo sì aiuta a tenere lontane le persone…
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Di prossima pubblicazione gli interventi di Pieralvise Zorzi, Luca Pes e Chiara Casarin

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4 commenti
Prendo un piccolo estratto e provo a rifare i calcoli:
“…venti milioni di turisti che la visitano ogni anno.
Sono troppi.
Non in senso assoluto, ma relativo ai cinquantamila abitanti che tentano di viverci; 250 turisti per residente, ogni giorno dell’anno”
20.000.000 / 365= 54.800 (turisti al giorno)
Sono quindi 1 turista per residente, ogni giorno dell’anno
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