Perché partorire a casa, quando in ospedale si è più sicure? È una domanda a cui la gran parte delle donne, almeno in Italia, risponde univocamente e sceglie l’ospedale. Il Lazio è solo l’ultima delle Regioni a rimborsare, in parte, le spese per il parto in casa: ci sono già Piemonte, Emilia Romagna, Marche, le province di Trento e Bolzano, che concedono contributi più elevati, oltre i mille euro. Gradualmente, però, anche in Italia viene promossa una cultura della maternità e della nascita rispettosa dei ritmi fisiologici del parto, dell’intimità e delle specifiche esigenze della donna, del neonato e della coppia genitoriale, secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Italia i parti in casa sono circa 1.500 ogni anno, pari allo 0,2 per cento.
Video a cura di Francesca Ascione
Parto in casa sì, parto in casa no. Il dibattito tra favorevoli e contrari è di lunghissima data. “I parti a casa ufficialmente censiti sono circa 1500 ogni anno e soprattutto al nord Italia, ma le stime parlano di numeri molto più alti”, afferma Anna Maria Gioacchini, ostetrica di lungo corso e presidente dell’associazione Nascere e crescere che ytali. intervista.
Come si fa a diventare ostetrica oggi e qual’era, invece, il percorso ai tuoi tempi?
Inizio da me. Facevo medicina ma a tempo perso perché ero presa dalla politica come molti in quegli anni. Esami pochi e molta attività politica. Io vengo dal collettivo di San Lorenzo e la mia maestra era la grande Simonetta Tosi. Il percorso per diventare ostetrica era o diventare infermiera e poi fare due anni di ostetricia oppure due anni di medicina e fare un esame integrativo di infermieristica. Nel 1986 sono diventata ostetrica. Adesso è cambiato tutto. Bisogna avere la laurea breve in ostetricia.
Una cosa che rimpiango è non aver insegnato nelle università. Un conto è la teoria, un conto la pratica. Ma la teoria è molto importante. Le due cose, come sempre, vanno di pari passo.
Però con la tua associazione fai molti corsi interessanti e istruttivi forse anche migliori di quelli universitari…
Il gruppo pre-parto, che porto avanti con la mia associazione, è un momento molto importante per la donna. Perché bisogna prendere consapevolezza del proprio corpo.
Il gruppo è un accompagnamento alla crescita, alla responsabilità, al fatto che si diventa madre. Si cerca di imparare cosa è meglio scegliere per sé. Ognuno sceglierà il luogo più congeniale dove partorire. Il parto fa parte della nostra sessualità. E, come la sessualità, ha bisogno di un luogo dove uno si sente sicuro.
In Italia c’è molta medicalizzazione e sono aumentati i parti cesarei rispetto al resto d’Europa. Avanza sempre di più una concezione del parto troppo medicalizzato che spesso conduce a cesarei non necessari – in Italia sono il quaranta per cento, il doppio di quanto raccomandato dallo stesso ministero della Salute – che spesso si accompagnano a una visione della nascita come un evento patologico, sempre rischioso, e comunque traumatico. Cosa ne pensi?
Decisi di fare l’ostetrica anche per ridurre la medicalizzazione. Nel tempo, le battaglie di persone come me hanno cambiato molto la situazione italiana. Tuttavia siamo ancora indietro.
In parte sono state recepite le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1985.
Ad ogni modo la medicalizzazione oggi consiste nel fare il cesareo perché si pensa sia più semplice per tutti. Invece si sottovaluta che è un intervento a tutti gli effetti. È una follia. A meno che non sia necessario. Ovviamente.
La domanda, come si suol dire, sorge spontanea. Dietro l’aumento dei parti cesarei ci sono interessi economici?
Sì, certo, e non solo. Sono sfacciata ma non mi importa perché sono cose che vanno dette. Il cesareo è comodo perché puoi programmare tutto. Dunque i medici (alcuni) possono programmare le loro ferie. Se io decido di assistere una persona, non posso partire perché sono sempre a disposizione.
E poi vogliamo parlare delle assicurazioni…? Lascio a voi la risposta. S’intuisce.
Il parto cesareo ha dei costi elevati per lo Stato.
La sanità è regionale e dunque c’è un rimborso regionale. Nel privato un parto cesareo può costare anche ventimila euro. E, comunque, ribadisco: teniamo presente il capitolo assicurazioni che, ovviamente, spesso speculano…
Dopo il parto, dunque nella fase più delicata per la donna, sono poche le persone che fanno un percorso che le sostenga. C’è poca informazione e welfare. La tua associazione, altresì, segue le donne prima, durante e dopo il parto, giusto?
Sì, è proprio così. Noi proponiamo un percorso che accompagni la donna nella diverse fasi. Sostenere le donne, affinché possano vivere la maternità e il parto da protagoniste, nel rispetto delle proprie scelte, della propria individualità, della propria cultura, dei propri desideri e delle proprie esigenze; garantire la continuità dell’assistenza nell’intero periodo che va dalla gravidanza, al parto, al puerperio, ai primi anni di vita del figlio; favorire la condivisione tra donne e tra le famiglie delle esperienze legate alla maternità.
Concludendo, come definiresti il “parto in casa”?
Un parto in casa consiste nel dare alla luce il proprio bambino/a immerse nel comfort della propria abitazione con un team qualificato che le assiste.
Partorire in casa è per molti, infatti, il modo più naturale per far nascere il proprio bebè e non prevede l’uso dell’epidurale.
Per partorire in casa non bisogna avere complicazioni pregresse. Insomma chi decide di dare alla luce il proprio bambino/a a casa, per non rischiare, non deve avere nessun problema particolare durante la gestazione. Io, ad esempio, seguo le linee guida olandesi. Da sempre.
La situazione italiana sta un po’ cambiando, ancora in modo blando, però qualcosa si muove. Ad esempio hanno preso piede anche i parti in acqua. Un po’ sono delle mode, un po’ sta cambiando la mentalità. Speriamo.
Il video e il disegno sono di Francesca Ascione http://www.francescaascione.it/

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!