Quando per la prima volta si parlò di “cosa”, a sinistra, ci furono sussulti tellurici. Fu quando, al termine del comitato centrale, a Botteghe Oscure, dopo la svolta annunciata una settimana prima alla Bolognina, Occhetto disse: “Prima viene la cosa e poi il nome. E la cosa è la costruzione in Italia di una nuova forza politica”.
What’s in a name? Un nome non dovrebbe significare nulla, la rosa è una rosa e profuma non importa come la chiami. Eppure in politica non è così.
Nessuna nostalgia del Pci e nessun rimpianto per quel nome. Io, d’altra parte, fui convintamente favorevole alla svolta. Ma ricordo anche bene quei giorni surreali di terra di nessuno, di un partito alla ricerca di un nuovo nome e di un nuovo simbolo. Lo scioglimento del Pci stava dando vita alla disgregazione non di un partito ma di un “mondo”, e poco importa che lo stesso sarebbe successo in tutti i partiti della prima repubblica.
Da allora, dalla svolta in poi c’è stato un fiorire di nomi e di sigle, di partiti e gruppi, tutti nati con l’idea – o la pretesa, secondo gli avversari – di rappresentare la vera sinistra.
Lo stesso Pds, con la quercia che sovrastava vigile sulla falce e martello, ha poi cambiato nome, in Ds, i Ds a loro volta – con la fusione con la Margherita e qualche altra scheggia di centrosinistra – sono diventati il Pd. Da Rifondazione c’è stata una gemmazione continua di nuovi soggetti politici e, in parlamento, di gruppi parlamentari. Unioni e scissioni, e dalle scissioni nuove unioni, e da queste altre scissioni. Nel frattempo sotto l’Ulivo sono riusciti a coesistere per un po’ i diversi pezzi nati dallo scioglimento del Pci. Poi anche l’Ulivo è diventato un bel ricordo.
Inevitabilmente, in questa fisica sempre più accelerata delle particelle, il nome ha esaurito, nella sinistra italiana, la formidabile forza attrattiva e la funzione simbolica di coesione identitaria che ha avuto per decenni dopo la Resistenza. In altri paesi no. Inimmaginabile una sinistra tedesca senza la Spd o una Francia senza il Ps, che pure orami hanno meno iscritti del Pd. E lo stesso termine “partito” è uscito dal vocabolario e dal comune sentire, ed è stato perfino incredibilmente sostituito, seppure nel linguaggio informale, con la parola “ditta”, che starebbe bene in una riunione di confindustriali.
Mentre nel mercato si scervellano imprenditori, manager, comunicatori, per costruire un brand forte intorno a un nome e, se ne hanno uno già consolidato, se lo tengono bene stretto e lo irrobustiscono, concedendosi al massimo qualche ritocco grafico, nella sinistra continuano a baloccarsi con estrema disinvoltura nel lancio di sigle nuove e diverse, in modo più umorale che ponderato. È evidente che i media, a lor volta, si divertano un mondo a sfregiare qualsiasi processo in corso, serio o non serio che sia, definendolo “cosa”, “cosa rossa”, e d’altra parte tutto questo si addice a processi, anche quelli seri, nei quali a farla da protagonisti sono esponenti di lungo corso che hanno militato in diverse formazioni politiche e che non smettono di mettere il proprio ego sopra tutto il resto.
Andare avanti, in queste critiche, può portare al qualunquismo, si può obiettare. E che male ci sarebbe? Il qualunquismo non è una cosa, è un fenomeno serio, più serio di una sinistra che riduce se stessa a cosa e un partito se stesso a ditta, non è mica obbligatorio esserne coinvolti, tanto meno parlarne con reverenza. Il male è che, adesso, sembra esserci davvero l’opportunità, nel contesto storico presente, perché dopo la lunga e complicata transizione dall’Ottantanove in poi una sinistra organizzata nazionalmente possa finalmente trovare un approdo, da dove riprendere slancio e ragione di esistere.
Anche per questo si può aprire uno spiraglio di attesa nella riunione che si tiene al Quirino, a Roma, nella mattinata di sabato, domani. Sulla carta non c’è ragione di eccitarsi. I media la definiscono, di nuovo, la cosa rossa. Se è così meglio starsene a casa (gli interessati dicono che non è così, ma solo perché non s’immagini che possa nascere una nuova formazione politica di natura antagonista al Pd?).
Non è detto che debba essere così e non costa niente sperare.
Certo, potrebbe rivelarsi poco più che l’ennesimo appuntamento tra professionisti della politica, diversi dei quali non hanno mai guadagnato un voto vero in proprio, né localmente né a livello nazionale, professionisti in cerca di un nuovo “contenitore” (già, anche questo termine si usa ed è stato usato). Quest’aspetto, nei resoconti, finirà fatalmente per prevalere.
Perché allora sperare che ci sia qualcosa di positivo, all’altezza delle attese meno contingenti?
Sel è l’unica formazione di sinistra che ha una certa consistenza, datale dal fatto che, pur tra uscite e abbandoni e scarsi arrivi, dura da tempo, ha un’immagine di partito nazionale – che, secondo gli avversari, è solo più immagine che sostanza – ed è collocata in una zona dove può svolgere il punto e il ruolo di raccordo della sinistra diffusa fuori del Pd. Rifondazione comunista può perfino essere meglio strutturata della costola che da essa si è staccata, ma ormai in troppe parti del paese è al lumicino.
Sel, dunque, è un nome riconoscibile e spendibile. Se Nichi Vendola e Nicola Fratoianni, invece di dividersi sull’unità larga o stretta con altri pezzi della sinistra, questi sì quelli no, o sulla collocazione al fianco o all’opposizione del Pd, dedicassero tutte le loro energie al lavoro di riconnessione positiva delle innumerevoli energie che hanno abbandonato elettoralmente la sinistra e adesso di apprestano a mollare anche il centrosinistra, ecco questa sarebbe una svolta interessante.
Non parliamo, però, per piacere, di ricominciare daccapo. Anche questo un mantra di una sinistra intrappolata nel mito di Sisifo, di una sinistra che ha sbagliato tutto, o che è stata sconfitta e ricomincia da zero, è insopportabile. Non siamo a zero. E non hanno vinto loro. Non ha vinto nessuno.
C’è un mondo nuovo e complicato intorno a noi che anche noi abbiamo contribuito a costruire, nel bene e anche nel male. Con questo dobbiamo fare i conti, non con i nostri fantasmi. C’è già tanto che è stato fatto di sinistra e a sinistra in questi anni nei quali la sinistra, nelle istituzioni, non è apparsa in forma smagliante e ne ha prese di botte, ma tante nuove pratiche della politica e della militanza sono state sperimentate e agite a livello locale, molto positive e interessanti, molte connesse con le nuove forme comunicative dell’informazione e della condivisione.
La riflessione e il dibattito vanno condotte su questo terreno spostandolo decisamente da quello dell’ennesimo scontro di posizionamento tattico in vista delle prossime elezioni, con l’impressione dell’ennesima lotta per posti in lista, avendo il Pd come punto di riferimento e come metro, sia da chi vi s’oppone sia da chi ne cerca la sponda. Sì, sul terreno delle idee nuove e della valutazione delle idee già sperimentate in questi anni e dei tanti cantieri aperti si può raccogliere un interesse vero in giro per l’Italia e trovare gente di ogni età disposta a rimboccarsi le maniche.

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1 commento
[…] personalità che hanno lasciato il Pd. Penso di capirlo perché – come il mio grande amico Guido Moltedo che ha scritto un bellissimo articolo sulla vicenda – in questi decenni di “ricominciamenti” ne ho visti tanti. E so che la sensazione […]