I cent’anni di Spoon River, l’antologia che cambiò la percezione dell’America

MARIO GAZZERI
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Dopo cent’anni dalla sua uscita, il mito dell’Antologia di Spoon River è ancora vivo. Si tratta di uno dei libri di poesia più letti e che più ha toccato l’immaginario collettivo. Nel 1915 un avvocato dell’Illinois, Edgar Lee Masters, immaginò che a parlare fossero i morti sepolti in collina: un tempo abitanti di un piccolo paese, che raccontano sogni, illusioni, delusioni, ma anche rancori o ingiustizie subite.

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Where are Elmer, Herman, Bert, Tom and Charley/ The weak of will, the strong of arm, the clown, the boozer, the fighter? / All, all, are sleeping on the hill (Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley, / l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?/ Tutti, tutti dormono sulla collina).

L’incipit della prima poesia della raccolta Spoon River Anthology, di Edgar Lee Masters, è noto e forse racchiude in nuce la chiave dell’universale successo del libro che l’autore scrisse rivoluzionando la forma e il contenuto della lirica americana.

Le oltre duecento epigrafi, gli auto-epitaffi di altrettante persone sepolte nel piccolo cimitero dei  due villaggi di Lewinston e Springfield, sono la confessione singola e collettiva di una piccola comunità per sempre perduta nel ricordo dei propri errori e vizi, dei propri rancori e crimini, e mantengono intatta ancora oggi (esattamente un secolo dopo la pubblicazione del volume, nel 1915) la loro potenza plastica di denuncia sociale e di rivendicazione dei singoli sentimenti di incolpevoli, inconsapevoli vittime di un’esistenza che non sembra avere spiegazioni.

“Lo Spoon River di Masters fu il primo tra i paesi che ebbero il loro velo di decenza violentemente strappato”, come ebbe a scrivere Willard Thorp, storico della letteratura americana e per quarant’anni docente a Princeton, ricordando l’enorme impressione suscitata dall’Antologia che in Italia fu introdotta quasi clandestinamente da Cesare Pavese e Fernanda Pivano.

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La stessa forma poetica di Edgar Lee Masters opera una vera e propria cesura rispetto alla tradizione americana e non solo. La sua si potrebbe definire una prosa in forma poetica, un libro, il suo, “che è qualcosa di meno della poesia e qualcosa di più della prosa” come disse lo stesso Masters secondo quanto ricordava Pivano.

La forma perfetta per un cronista dell’anima, per un analista consapevole e soccorrevole, che guarda con malcelato, comprensivo affetto alle vite “sbagliate” dei defunti di Spoon River. Ma la poesia è una forma espressiva dello spirito e quindi universale e Spoon River, forse, non è che un microcosmo che riflette l’intero nostro mondo.

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Il medico, l’ottico, il farmacista, il violinista la morfinomane, il matto, il giudice, il blasfemo, personaggi senza tempo che abitano il palcoscenico di una commedia umana che si tinge dei colori universali della pietà, la pietà per i vivi che nascono già condannati, per gli uomini che sono polvere e che torneranno polvere.

C’e’ un registro nuovo, nella poetica di Edgar Lee Masters, che ritroveremo in molte delle più convincenti espressioni artistiche del novecento americano.

Come non rivedere  in alcuni quadri di Edward Hopper la riproposizione delle solitudini di Spoon River, quasi la foto spietata ma compassionevole dei vinti, dei non amati, dei falliti?

“Io mi stancai del lavoro e della miseria/ e vedendo come il vecchio Bill e gli altri si arricchissero/ derubai un viaggiatore….e ora noi che siamo falliti ciascuno a suo modo/riposiamo in pace fianco a fianco”, dice Hod Putt e Pauline Barrett sembra così concludere “si dovrebbe essere morti del tutto quando si è morti a metà/ mai burlare la vita, mai truffare l’amore”.

E fino ai nostri giorni, o quasi, l’eco dei defunti di Spoon River sembra rivivere nella disperazione della poesia di Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso e nelle strazianti ballate di Bob Dylan, come The lonesome death of Hattie Carroll.

Anche i racconti di Raymond Carver risentono a volte della sconsolata poetica  di Edgar Lee Masters. ‘Questo è il dolore della vita/ che si può esser felici solo in due/ e i nostri cuori rispondono a stelle/ che non vogliono saperne di noi’, dice Herbert Marshall dalla sua tomba di Spoon River, una considerazione che Carver sembrerebbe far sua nei racconti del suo Di cosa parliamo quando parliamo d’amore.

Masters era in realtà  un avvocato che esercitò con un certo successo a Chicago, ma che da sempre aveva coltivato il sogno di scrivere.

Fu autore di diverse biografie, alcune di grande successo come quelle su Mark Twain e Walt Whitman, altre invece che suscitarono un coro ostile da parte di critica e pubblico come la biografia di Abraham Lincoln.

All’autore venne contestata una durezza di giudizio su alcuni aspetti della personalità del presidente che aveva voluto l’abolizione della schiavitù. Ma la sua originale cifra poetica emerse e si consumò tutta, in soli due anni, nella redazione dell’Antologia di Spoon River dove il ruolo e la funzione del coro di un’antica tragedia greca sono affidati alla voce dei defunti nel minuscolo cimitero di un villaggio dell’Illinois.

Mario Gazzeri

Mario Gazzeri

I cent’anni di Spoon River, l’antologia che cambiò la percezione dell’America ultima modifica: 2015-11-09T12:34:42+01:00 da MARIO GAZZERI
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1 commento

Claudio Madricardo 9 Novembre 2015 a 16:42

Bellissimo, come sempre!!

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