Politici maschilisti, non si salva proprio nessuno

MARIA LUISA SEMI
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Ho letto, allibita – ma non avrei dovuto esserlo – una notevole pubblicazione di Filippo Maria Battaglia: “Stai zitta e va in cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo”. Un libro agile, talvolta amaramente divertente, soprattutto documentatissimo.

Poche, intelligentemente, le riflessioni dell’autore; molti, moltissimi i precisi riferimenti storici.
Partendo dalla Liberazione a oggi, notiamo che, se talvolta la forma è cambiata, la sostanza del maschilismo in politica regge tuttora.
Non si salva nessuno: comunisti, democristiani, persone che in altri argomenti sempre si dimostrarono illuminate – compreso ad esempio il grande sindaco di Firenze Giorgio La Pira –, hanno sempre fatto intuire – e lo fanno tuttora – un senso di estraneità, se non di aperto disprezzo nei confronti delle donne.

Se già il voto venne visto come una concessione, se l’accesso alla magistratura venne concesso nel 1963, se il matrimonio riparatore venne considerato un reato, se… le donne comunque rimasero uno strano soggetto che non solo non avevano (e non hanno tuttora) pari dignità degli uomini, ma sempre vennero considerate estranee.

Si può talvolta sorridere. Come quando nel 1962, per celebrare il ventesimo compleanno della DC venne composto un manifesto riproducente una bella ragazza bionda con lo slogan “la Dc ha 20 anni”. Facile, ma incisivo il commento di Umberto Eco: “dunque è ora di fotterla”. E ancora, sempre Umberto Eco: “essere una donna è una professione, come essere idraulico”.

Non si salva veramente nessuno.

Fa piacere e quasi stupisce invece la frase che Sandro Pertini pronunciò nel 1978, allo scrutinio per l’elezione del presidente della repubblica, quando in una scheda risultò scritto il nome di una donna, suscitando sorrisi e battute. Disse Pertini “C’è poco da ridere, anche una donna può diventare presidente, lo sapete?”

A parte comunque le critiche, gli sberleffi, le frasi insultanti sulle capacità delle donne, si notava e si nota decisamente, anche oggi, l’attenzione al loro aspetto, al loro modo di vestire, di muoversi. A ben guardare, il campo maschile non brilla dal punto di vista estetico; non faccio nomi, ma trovare un bell’uomo non è facile.

Qualcuno, sì, ma magari viene definito “piacione”.
Alle donne invece si presta la massima attenzione, sia sul fisico, sia sul modo in cui il fisico stesso viene curato.
Le volgari considerazioni sulla figura di Nilde Iotti, sull’aspetto di Teresa Noce e… via dicendo. Se poi una donna veste bene, si cura, si mette un filo di rossetto, ahi… il rischio è quello di vedersi considerata una “poco di buono”, una che con le sue grazie cercherà di far carriera.

Generalizzare è sempre male, ma qui si parla di storia.
Ma le donne, proprio le donne che pensano di se stesse? Spesso, troppo spesso sono le proprie nemiche. Piccolo ricordo personale: ai tempi, mi sono sentita dire che il mio lavoro professionale costituiva una scusa per non occuparmi delle mie figlie. Questo detto da una donna.
Anche perché, se a parole si celebrano le grandi che governano la Germania, il FMI, ora la Birmania, sotto sotto si pensa che quelle se lo sono potute permettere, trascurando famiglia e soprattutto figli. Sempre senza generalizzare, lo steccato che divide casalinghe e donne che hanno una attività al di fuori delle mura domestiche, c’è sempre. Le “lavoratrici” troppo spesso considerano le casalinghe nullafacenti, mentre le stesse, se veramente casalinghe, sono da ammirare e stimare. Le casalinghe, forse per una forma di invidia per l”autonomia della lavoratrici, ritengono le stesse soggetti che inevitabilmente non si occupano del cosiddetto “dovere primario”, cioè la casa, i figli soprattutto e il povero marito o compagno che sia.

La riforma del diritto di famiglia, datato 1975, e oggi da rivedere un poco, istituì, sì la comunione dei beni, il diritto a residenze separate, il diritto di abitazione al coniuge superstite, ma stabilì pure che la donna aggiungesse al proprio il cognome del marito. Norma questa poco applicata, anche prima, in quanto, sia nell’acquisto di un immobile che in un ricovero all’ospedale,la donna veniva citata soltanto col cognome proprio.

Ma ritorniamo all’interessante libro di Battaglia. Possiamo partire da Mazzini, Benedetto Croce, Togliatti e arrivare al 2005 – discussione sul “porcellum”- quando alcuni deputati sostennero, discutendo di quote rosa, che “se lo si fa per le donne, lo si deve fare anche per le altre categorie”

Battaglia tenta anche un minuscolo ottimismo, ricordando come nei governi Letta e Renzi si registrano percentuali di presenze femminili più alte che nei precedenti, ma facendo pure notare la renitenza per le donne ai posti di vertice. L’ottimismo, secondo l’autore potrebbe essere dato dall’interesse alla partecipazione politica delle donne più giovani. Sarà vero?

Politici maschilisti, non si salva proprio nessuno ultima modifica: 2015-11-10T21:56:50+01:00 da MARIA LUISA SEMI
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