
Pubblichiamo il testo dell’intervento del presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda, nella sala di San Leonardo, Venezia, il 9 novembre scorso.
1. Questo appuntamento è stato voluto dal Circolo PD di Cannaregio e dalla sua segretaria Marina Rodinò che ringrazio molto per avermi invitato. La ringrazio anche per avermi fatto trovare la nebbia, che aumenta il fascino di Venezia! Dopo più di vent’anni è la prima volta che torno a Venezia per parlare della laguna. Temo d’aver perso confidenza con i problemi veneziani e mi scuso per imprecisioni e inesattezze. So che ci saranno domande, tenetene conto!
Tanto più che Venezia è materia molto più difficile e delicata di quel che tanti pensano.
Per me è una passione, ma so che va trattata con competenza tecnica, senza separare i problemi della salvaguardia fisica da quelli dell’occupazione e del lavoro, tenendo unite l’identità culturale e lo sviluppo economico e produttivo.
Naturalmente non sono qui per far politica. Ma una osservazione debbo farla.
Mi dicono che sono stato messo in contraddizione con Alessandra Moretti. Moretti sarebbe per il si, Zanda per il no. Suggerisco di non cercare sempre di dividerci. A Roma direbbero, non ci provate!
La mia concezione della politica è diversa. Credo nella funzione dei partiti e credo che i loro problemi, le loro difficoltà dovrebbero spingerci a occuparcene sempre di più. Non partecipo a correnti e nel mio partito lavoro per unire, e non per dividere. L’ho fatto con la riforma costituzionale, lo sto facendo con la stabilità, figuratevi se non lo faccio con la salvaguardia di Venezia!
Le decisioni su Venezia debbono venire in primo luogo dalla città, dalla Regione e dal governo.
Approfitto per salutare il Sindaco e augurargli buon lavoro. Ha un compito difficile. Venezia è complicata, come sanno le grandi personalità politiche che in passato l’hanno amministrata. Penso prima di tutto alla passione civica di amici come Gianni Pellicani, Massimo Cacciari, Mario Rigo. È interesse di tutti che il sindaco, anche se di uno schieramento diverso dal nostro, lavori bene.
Il titolo di questo incontro è “l’equilibrio della laguna ed il futuro di Venezia“.
Tradotto in termini concreti vuol dire che siamo qui per parlare di “grandi navi”, anzi, per essere più precisi, dell’impatto sulla laguna della navigazione delle “grandi navi”.
Come spesso è già successo, anche le “grandi navi” sono rapidamente passate dall’essere un problema locale veneziano a questione di interesse mondiale. Ormai gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulla soluzione che verrà adottata.
Non dobbiamo irritarci d’essere soggetti al giudizio dell’opinione pubblica mondiale.
Se siamo orgogliosi per il rilievo universale di Venezia, della sua storia, della sua cultura, dobbiamo saper accettare che chi ama Venezia tanto da attraversare il mondo per venire qui, ci chieda conto di come l’amministriamo e di come la proteggiamo.
Venezia è una meta turistica molto ambita e la questione “grandi navi” è nota.
Negli ultimi due/tre decenni le attività crocieristiche si sono molto sviluppate e le navi da crociera di ultima generazione stanno raggiungendo dimensioni imponenti, dai tre ai trecentocinquanta metri di lunghezza, sui quaranta metri di larghezza, fino a cinquanta metri d’altezza.
In origine i canali di navigazione della laguna avevano dimensioni proporzionate alle navi a remi della Repubblica. Oggi per garantire il passaggio e le manovre in assoluta sicurezza di navi di ben altra stazza servono altre misure. È comprensibile che questi maxiallargamenti dei canali pongano problemi all’idraulica lagunare.
La mostra di Berengo Gardin fa vedere con chiarezza l’impatto visivo di queste enormi navi nel bacino di San Marco e sul canale della Giudecca, quando rasentano Palazzo Ducale e l’isola di San Giorgio.
Si è molto discusso se questo passaggio, oltre a disturbare l’immagine di Venezia, potesse anche comportare un vero e proprio rischio fisico per la città.
Nessuno è in grado di escludere il pericolo al cento per cento. Da parte mia, sulla base di fatti noti, ho sempre avuto seri timori.
Fatto sta che è stata assunta la saggia decisione che le “grandi navi” non debbano più attraversare il bacino di San Marco.
Adesso il problema non è più il “se” verranno estromesse, ma il “quando” e il “come”.
Magari evitiamo che il “quando” diventi un tempo infinito!
A questo punto, si è aperta la questione di quale sia la migliore soluzione per consentire alle “grandi navi” turistiche di arrivare a Venezia e, possibilmente, alla Marittima. Sono state prospettate diverse ipotesi che prevedono attracchi sia all’interno che all’esterno della laguna.
Non credo che voi pensiate che io sia venuto a distribuire pagelle alle diverse soluzioni.
Non posso e non voglio farlo.
Non posso perché non conosco i progetti esecutivi e non so neanche se ci sono.
Non voglio per rispetto di chi ha l’autorità per decidere: la città, la Regione, il Governo.
La mia attenzione va più ai progetti interni per la semplice ragione che ho molto interesse alla morfologia e all’idraulica lagunare.
Ma, nella fase che precede le decisioni, tutte le soluzioni, interne ed esterne, debbono essere messe sullo stesso piano.
Tutti i progetti dovranno essere redatti con il massimo rigore e i loro effetti dovranno essere sottoposti ad una valutazione di altissimo livello scientifico e di assoluta indipendenza.
Non si può decidere sulla base di idee progettuali sommarie e contrapposte, ma solo comparando progetti completi e esecutivi.
Venezia non potrebbe commettere errore più grave di quello di aprire un conflitto solo politico tra da un lato il porto, il turismo, l’occupazione e lo sviluppo economico, e dall’altro l’equilibrio dell’ecosistema e la sicurezza fisica della città.
Le battaglie di questo genere hanno sempre fatto male a Venezia.
Nessuno dei sostenitori dell’attracco alla Marittima (neanche i più interessati) può avere l’intenzione di manomettere gli equilibri della laguna. Come nessuno dei contrari (neanche i più accesi) può voler danneggiare il porto o ridurre i livelli occupazionali.
Mi stupirei se, messe da parte ideologie e fondamentalismi, non si riuscisse a trovare una soluzione che tenga insieme le due necessità. È una grande sfida. La risposta di Venezia deve essere alla sua altezza.
Abbiamo importanti istituzioni scientifiche, le Università di Venezia e di Padova, l’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti.
Disponiamo di dati, elementi certi, serie storiche, modelli fisici e matematici.
Usiamoli.
2. Dobbiamo innanzitutto far tesoro dell’esperienza.
Non possiamo permetterci di ripetere errori commessi nel passato quando si operava pressoché al buio, senza sapere e, quindi, senza poter capire.
Parte dei rischi, anche gravi, che corre Venezia non sono conseguenza solo degli eventi naturali cui è esposta, ma di errate decisioni dell’uomo, delle nostre imprudenze e dei nostri azzardi degli ultimi 80 anni.
Negli anni ’50 Marghera ha utilizzato acque di falda senza immaginare che ne sarebbe derivata la subsidenza di ben dodici centimetri della laguna e di Venezia. Pensate solo ai rischi, ai disagi, ai danni, ai costi che oggi paghiamo per quell’intervento!
Negli anni ’60, quando fu deciso il Canale dei petroli, non era possibile prevedere quale sconquasso quello scavo avrebbe provocato innescando fortissime correnti trasversali di marea, arrivando a spostare il partiacque e determinare la conseguente erosione (oggi ben documentata) di tutta la laguna centrale, circa trentadue chilometri quadrati dai quali pian piano sono scomparsi un reticolo di canali minori e importanti barene.
Negli anni ’20 del secolo scorso, effetti rilevanti ha avuto anche lo scavo del Canale Vittorio Emanuele, realizzato per rendere navigabile un tratto di laguna contiguo alla prima zona industriale. Anche allora lo scavo modificò idrodinamica e morfologia lagunare, provocando correnti trasversali, consistenti erosioni dei bassifondi e conseguente interramento dei canali naturali.
Nel ‘900 questi interventi erano abituali non solo a Venezia, ma in tutta Italia ed anche nel resto del mondo industrializzato.
Quando a Venezia si emungeva l’acqua dalle falde e si scavava il canale dei petroli, a Mantova, Cremona, Moncalieri, Falconara, Livorno, Macchiareddu, Sarroch, Ravenna si impiantavano raffinerie, a Taranto e a Bagnoli nascevano grandi centri siderurgici, a Milano, Ferrara, Mantova, Assisi, Porto Empedocle, Brindisi importanti impianti chimici.
Niente di tutto questo oggi sarebbe consentito.
Lo ricordo non per rimettere in discussione quelle scelte, sulle quali ha poggiato gran parte del miracolo economico del dopoguerra, che hanno favorito tanta occupazione, che hanno fatto dell’Italia la settima potenza industriale del mondo.
Lo ricordo per segnalare quanto siano stati veloci i cambiamenti e che l’Italia del 2015 non può permettersi di sottovalutare rischi oggi ben conosciuti.
Noi abbiamo gli strumenti scientifici necessari per prevedere con precisione le conseguenze delle nostre azioni, sappiamo che lo scavo anche di un solo canale artificiale può modificare per sempre, almeno nella porzione di laguna interessata, l’equilibrio naturale di velme e barene e, conseguentemente, incrementare la velocità e la portata delle maree.
In sostanza, può provocare una degenerazione della laguna e renderla sempre più simile a una baia di mare.
Rispetto alle soluzioni “interne” (per quelle esterne ci sono altri caveat) queste considerazioni possono aiutarci a mettere a fuoco il nostro problema.
Che è questo. Come fare a difendere e promuovere l’attività del porto di Venezia e del “sistema” turistico veneziano senza determinarne pericolosi effetti negativi sulla morfologia lagunare e sull’andamento delle correnti interne.
C’è un solo modo. Bisogna che ogni ipotesi di intervento non solo venga affrontata con grande rigore progettuale, ma ne vengano anche calcolate con la maggior preveggenza possibile tutte le conseguenze a medio e lungo termine.
Dobbiamo decidere in fretta. Ma anche bene!
Attenzione. La storia italiana delle opere pubbliche insegna che istruttorie affrettate, progetti incompleti, allungano i tempi e fanno lievitare i costi!
3.Credo di essere stato chiamato da Marina Rodinò per tre ragioni. Innanzi tutto perché ho lavorato a Venezia per dieci anni, dal 1985 al 1995 e ho seguito i lavori del Consorzio Venezia Nuova, garantendone la più assoluta legalità, sino all’approvazione del progetto di massima.
Ricordo di aver personalmente voluto che il progetto venisse certificato con la massima indipendenza dal MIT. Non me ne sono pentito.
La seconda ragione riguarda il mio lavoro in Senato.
Assieme a molti colleghi, primo tra tutti Felice Casson, ho promosso una mozione sottoscritta da molti senatori di diversi gruppi e, successivamente, un ordine del giorno che ha impegnato il governo ad assicurare che tutte le soluzioni presentate sul transito delle “grandi navi” nella laguna venissero preliminarmente e contemporaneamente comparate in sede di valutazione ambientale, attraverso un processo trasparente e partecipato.
Il Parlamento ha prescritto condizioni progettuali molto chiare: compatibilità di impatto ambientale, rapidità di esecuzione, gradualità e reversibilità, impatto sull’economia di settore nella fase transitoria e continuità dell’offerta crocieristica, entità delle risorse da impegnare, sostenibilità economica e ambientale di lungo periodo, rispetto delle normative vigenti.
Tutto questo sempre tenendo conto della necessità di garantire i livelli occupazionali.
Ricordo che l’ordine del giorno è stato approvato all’unanimità.
Erano presenti in Aula 223 senatori e 222 hanno detto si. I senatori democratici erano il gruppo più consistente, ma c’erano anche tutti gli altri, da Forza Italia e SEL, da M5S alla Lega.
La terza ragione per la quale sono stato chiamato è che ho sollecitato l’attenzione dei ministri competenti sulla necessità di valutare con la necessaria attenzione ogni ipotesi di scavo di nuovi canali.
Ho considerato questo mio sollecito un atto dovuto, una conseguenza naturale della mozione e dell’ordine del giorno.
4. Su questo punto voglio essere chiaro.
Tener conto la volontà unanime del Parlamento non è discrezionale.
Non farlo costituirebbe uno strappo istituzionale molto serio. Non lo consiglio. Sempre sul piano istituzionale è anche importante che sia considerata con attenzione la decisione con cui il TAR veneto ha accolto i ricorsi avversi allo scavo del canale Contorta-Sant’Angelo.
Faccio un inciso.
A me non fa piacere quando i TAR o i giudici ordinari determinano con le loro decisioni scelte che spettano ad autorità democraticamente elette.
Eppure, in una corretta divisione dei poteri, sono atti necessari.
La decisione del TAR veneto contiene preziose indicazioni sulle norme di legge e sui regolamenti che disciplinano gli interventi in laguna.
Nel merito, non essendo possibile esprimere una seria opinione sui progetti di attracco delle “grandi navi” alla Marittima, noto soltanto che tutti prevedono lo scavo di nuovi canali navigabili o l’adeguamento di tratte già operative ovvero la realizzazione di nuove opere a completamento di canali esistenti.
Siamo quindi arrivati al punto.
Quale è il limite che dobbiamo porci per gli interventi sulla laguna? Quale è la linea che non possiamo valicare senza mettere a rischio l’ecosistema lagunare e, quindi, la stessa sopravvivenza i Venezia?
Il legame tra Venezia e la sua laguna non è solo ideale e paesaggistico. Le indicazioni e le prescrizioni delle leggi di salvaguardia segnalate dal TAR non sono posizioni meramente culturali prive di forza cogente.
Tra le due realtà, laguna e città storica, c’è uno strettissimo legame fisico che mette in relazione l’esistenza dell’una con la sopravvivenza dell’altra.
Venezia, collocata in mezzo all’acqua, non sarebbe mai potuta durare tanti secoli senza la difesa di quel delicato equilibrio idraulico e ambientale, di quel misto di acqua e terra che è il tessuto lagunare.
Cosa voglio dire? Che se Venezia non fosse circondata dal cerchio protettivo della sua laguna non sarebbe sopravvissuta alla forza del mare e al logoramento di una marea e di un moto ondoso liberi di battere sui suoi palazzi senza più il freno di un tessuto lagunare integro.
Una “laguna” piatta non sarebbe più in grado di difendere Venezia.
Se la Repubblica di Venezia non avesse garantito, con ogni mezzo la protezione fisica della città attraverso l’integrità della laguna, noi non avremmo Venezia.
Le stesse dominazioni napoleonica e austriaca, nell’imporre a Venezia il loro marchio, non hanno mai osato intervenire sugli equilibri della laguna, temendo le conseguenze di modifiche strutturali o anche soltanto di alterazioni morfologiche.
Quindi, ancora oggi la questione che ci si pone è quella del modo con cui dobbiamo trattare la laguna, sapendo che è un corpo fisico in parte naturale e in parte lavorato dall’uomo talvolta con l’intento di proteggerla, talvolta danneggiandola.
Siamo d’accordo su questo punto?
Siamo d’accordo che se Venezia non fosse circondata dalla laguna, ma fosse al centro di una baia non potrebbe sopravvivere? Oppure pensiamo che gli interventi sulla laguna non abbiano effetti sulla città, pensiamo che l’erosione della laguna sia non solo un vulnus paesaggistico che non cambia nulla per Venezia?
Dobbiamo rispondere con franchezza a queste domande.
Se concordiamo sulla fragilità e sulla delicatezza dell’equilibrio lagunare e sulla sua diretta relazione con l’esistenza di Venezia, concorderemo necessariamente anche sulle soluzioni da dare alla navigazione interna.
Luigi D’Alpaos ricorda che “lo scavo dentro la laguna di un nuovo canale navigabile dovrebbe essere supportato da indagini conoscitive che indaghino sui suoi effetti sul regime generale dei livelli e delle correnti di marea all’interno della stessa laguna”.
In altre parole, D’Alpaos dice che lo scavo di canali artificiali modifica l’assetto morfologico e, conseguentemente, interferisce, in misura maggiore o minore a seconda delle caratteristiche dello scavo, con l’idrodinamica lagunare e determina erosioni e interramenti.
D’Alpaos ha ragione.
Non lo dico io, lo dicono decenni e decenni di studi, lo conferma l’esperienza storica e lo studio degli errori commessi nel passato.
Non sto ad illustrare a voi che ben conoscete questi problemi quanto abbiano influito sulle condizioni della laguna l’estromissione dei fiumi, gli imbonimenti, la costruzione dei moli foranei, l’escavo ex novo di numerosi, ampi e profondi canali navigabili.
Quindi, nelle attuali condizioni una sola indicazione è possibile.
Uniformarsi alla direttiva unanime del Senato, studiare il campo, progettare con rigore, esplorare tutte le soluzioni possibili e compararle tra loro, avere lo sguardo lungo, ricordarsi che Venezia ha mille anni di storia e che dobbiamo garantirgliene per il futuro altrettanti.
Aggiungo un codicillo.
Il rigore progettuale è un vincolo non solo per i progetti “interni”. A maggior ragione vale per quelli fuori laguna, che hanno un non minore impatto ambientale e urbanistico.
5. Concludo. Se dovessimo riassumere in una sola parola la natura di Venezia, i suoi problemi, la sua magnificenza, le sue difficoltà, è probabile che non saremmo capaci di trovare una parola migliore di “complessità”. Complessità è diventata parola molto attuale. Spiega la condizione di un mondo chiamato a convivere con un’infinità di interdipendenze e interconnessioni.
Significa, in concreto, che può bastare la spregiudicatezza di un pugno di giovani speculatori alla borsa di Tokio per far crollare i mercati di tutto il mondo. Che un attentato su un aereo può fare a pezzi parti rilevanti dell’aviazione civile mondiale. Che bastano le manovre di un paese produttore per far saltare significativamente in su o in giù il prezzo del petrolio.
Complessità significa che non riuscire a prevenire guerre e tensioni in Medio Oriente e in Nord Africa produce milioni e milioni di rifugiati in tutto il continente europeo.
In questo senso Venezia convive con un livello assoluto, massimo di complessità sin da quando è nata, perché sin da allora dev’essere stato evidente agli stessi fondatori quanto fosse difficile e faticoso combinare insieme gli interessi della città con gli equilibri della laguna.
A Venezia tutto si tiene, tutto si interconnette in un reticolo infinito di interdipendenze. Non solo città e laguna ma anche navigazione ed ecosistema, turismo e occupazione, acque alte e qualità della vita, interventi di modernizzazione e sicurezza strutturale della città, sviluppo economico e cultura, demografia e prospettive per il futuro.
Governare Venezia, come e anche di più di altre città storiche e delicate come Roma e Firenze, non è solo una sfida politica, ma anche di visione e di lungimiranza.
Negli anni ’80 Venezia ospitò un convegno di grande qualità sull’«Idea di Venezia». Forse è arrivato il tempo giusto per riproporre il tema, riprendere l’iniziativa. Venezia non può fare a meno di una visione larga, di lungo termine. Ha bisogno di riflettere sul suo futuro.
Sulle Grandi navi e il loro rapporto con la laguna e con Venezia, ho già detto.
Davanti a questi problemi di problemi suggerisco un atteggiamento che negli ultimi tempi ho sentito più volte ripetere a Mario Tronti: “pensare estremo, ma agire accorto”.
Grazie.
Sul tema abbiamo pubblicato:
Grandi navi, lezione di politica a San Leonardo di Adriana Vigneri
No grandi navi e l’intervento di Zanda a Venezia di Silvio Testa

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Grazie!