All’inizio fu il verbo di Krzysztof Olaf Charamsa, il teologo polacco finito al centro dei riflettori della stampa mondiale per il suo coming out, a far varcare i confini di Spagna a una questione che per altri versi poteva rientrare nelle beghe della politica interna del paese.

Il nuovo vescovo di Barcellona, l’aragonese Juan José Omella
Tanto più poi se ciò accadeva a ridosso dell’apertura di un Sinodo che si annunciava di per sé difficile, visti i temi sul tappeto. Quel Charamsa, poco dopo finito a sua volta sull’altare sacrificale, che oltre a parlare del suo essere gay e del fidanzato catalano, si era spinto fino a criticare duramente la pronuncia della Conferenza episcopale spagnola. Accusata dai microfoni di Catalunya Radio di essersi schierata contro il referendum sull’indipendenza catalana, in piena violazione della stessa dottrina cristiana che, secondo il polacco, riconoscerebbe l’autodeterminazione dei popoli. Quindi “totalmente inammissibile”.
A lui il merito di aver posto al centro degli organi di stampa mondiali, dal punto di vista del religioso, un tema che di lì a poche settimane sarebbe esploso in ambito politico con il voto del Parlament de Cataluña e il successivo ricorso al Tribunal Constitucional del governo Rajoy. Mettendo a nudo uno scontro che è solo agli inizi e che è ben lungi dal poter essere risolto in tempi brevi.
Se i termini del confronto catalano si ripercuotono in primo luogo sulla vita politica interna, contribuendo ancor più a dividere una società percorsa da fughe autonomiste e in cui il voto del Parlament può esercitare un effetto domino in un paese che si accinge a votare a dicembre, essi non risparmiano la comunità cattolica iberica e paiono in qualche misura influenzare le scelte che anche in questi ultimi giorni sono state adottate da Papa Francesco.
È di pochi giorni fa la nomina a vescovo di Barcellona dell’aragonese Juan José Omella al posto del vecchio cardinale Martínez Sistach, accusato da Església Plural, la comunità di base che raccoglie soprattutto laici e laiche, di mancanza di qualsiasi progetto pastorale stimolante. Una nomina che ha sollevato più di qualche polemica e che ha coinvolto governo, Generalitat de Cataluña e differenti settori ecclesiastici.
E non tanto perché si rifacesse in qualche modo alla classica richiesta di “Volem bisbes catalans (Vogliamo vescovi catalani), quanto al fatto che al centro della querelle c’è stato il tema se il nuovo vescovo dovesse essere favorevole, contrario o del tutto neutrale davanti al tema dell’indipendenza catalana.
Una scelta che comunque è suonata come una doccia fredda per il governo autonomo della regione, dato che Omella non soltanto non è catalano, ma è pure assai lontano dal catalanismo radicale. Ma che ha rappresentato anche uno smacco nei confronti della Conferenza Episcopale Spagnola, l’Opus Dei e contro tutti i settori più conservatori del mondo cattolico iberico.
Che già si è cominciato a mobilitare nei giorni scorsi con il vescovo di Valencia, il cardinale Antonio Cañizares, il quale ha chiamato i fedeli a pregare per la Spagna, indirizzando loro una pastorale con la quale li convocava a una veglia in difesa dell’unità della nazione come “bene morale”.
Una mossa quella di Francesco che con Juan José Omella sembra premiare i cosiddetti preti “callejeros”, fornendo un’indiretta risposta a quanti, in Catalogna come nel resto di Spagna, volevano costringerlo a una scelta di “schieramento”.
Scelta cui Francesco ha dato dimostrazione di sapersi sottrarre, giocando in attacco, e riuscendo nel suo intento di mettere in primo piano le ragioni pastorali e quelle del rinnovamento dell’intera Chiesa, rispetto a ragioni che nulla hanno a che fare con i principi che ispirano il suo apostolato.
Con la scelta di premiare Omella, un prelato che proviene sicuramente da una diocesi minore, ma che non è un uomo privo di esperienza. Un uomo semplice, un ex missionario in Africa molto coinvolto nella vita delle organizzazioni di carità, un padre bianco con studi al seminario di Saragozza e Lovanio.
“Affrontiamo la nomina del vescovo Omella con speranza, si legge sul sito di Església Plural, confidando che dal primo momento manifesterà la volontà di servire la diocesi, di guidare un processo di dinamizzazione e rinnovamento ecclesiale in linea con l’azione di Papa Francesco”.
E che soprattutto “vigilerà sul rispetto della personalità della chiesa catalana e accompagnerà con decisione il paese nel processo per giungere alla piena sovranità e costruire una società più umana e giusta”.
Società più umana e giusta nel cui raggiungimento, per la comunità di base di Església Plural, rientrano a pieno titolo il ruolo dei laici e delle laiche nella vita della comunità ecclesiale, quello delle donne, i modelli di famiglia, e i diritti di gay e lesbiche. Tema quest’ultimo assolutamente fondamentale in Spagna.
Vedremo se l’orbita di profonda riforma intrapresa da Francesco e da coloro che gli stanno vicini saprà incrociare e colloquiare con quella che racchiude aneliti e speranze dei cattolici nazionalisti catalani.
Claudio Madricardo

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