JOSÉ LUIS MARÍN
Lo scorso 13 novembre 129 persone venivano assassinate in vari attacchi terroristici a Parigi. Qualche ora dopo, il sedicente Stato Islamico – o Daesh nella sua sigla araba – si attribuiva la paternità dell’attentato. “Che la Francia e quelli che stanno andando nella sua direzione sappiano che saranno in testa agli obiettivi dello Stato Islamico, e che le loro narici non smetteranno di annusare odore di morte fintantoché saranno a capo della campagna crociata”, si legge nel comunicato.
La propaganda dell’ISIS, nella cui trappola è caduto il presidente francese François Hollande vuole generare uno stato di allerta mediante l’idea di un Occidente in guerra e dove gli attentati si succedono. Ma i dati dimostrano, senza ombra di dubbio, che la violenza provocata da questo gruppo e da altre ramificazioni del jihadismo in Medio Oriente, Asia Centrale e Africa è incomparabilmente più elevata di quella sofferta dall’Europa o dal Nord America.
Secondo l’Indice Globale del Terrorismo 2015 pubblicato da The Institute for Economics and Peace (IEP), dall’anno 2000 il numero di vittime in attentati terroristici nei paesi occidentali ammontava a 3659, solo il due per cento del totale registrato. In più, il fondamentalismo islamico non è la principale causa di terrorismo in Occidente. Negli ultimi nove anni, l’ottanta per cento delle vittime in attentati di “lupi solitari” accaduti in questi paesi è dovuto a “ideologie di estrema destra, nazionaliste, sentimenti anti governativi e altre forme di predominio”.
Nelle dichiarazioni rilasciate dopo l’attentato, lo Stato Islamico si presentava come il difensore delle moltitudini musulmane in Medio Oriente, giustificando gli attentati di Parigi come la risposta ai bombardamenti che la Francia conduce da vari mesi contro obiettivi del gruppo terrorista in Siria e Iraq. L’ISIS si riferiva ad essi chiamandoli “attacchi ai musulmani del Califfato”.
Senza alcun dubbio, nel 2014 il 78 per cento dei decessi e il 57 per cento degli attacchi terroristi totali hanno interessato l’Afghanistan, l’Iraq, Nigeria, Pakistan e Siria, paesi nei quali opera lo stesso Daesh e altri gruppi jihadisti come Boko Haram o Al Qaeda. La guerra contro l’Occidente e lo scontro delle civiltà sembra pertanto una scusa per l’imposizione totalitaria di una ideologia a colpi di terrore, chiunque si abbia davanti.
Come dimostrano l’intolleranza e la mancanza di discriminazione del fanatismo, le differenti manifestazioni del fondamentalismo islamista si sono mostrate specialmente violente e letali nei confronti della popolazione civile. Un report del 2014 riguardante la protezione dei civili nel conflitto dell’Iraq presentata congiuntamente dall’UNAMI (Missione di aiuto delle Nazioni Unite per l’Iraq) e dall’OHCHR (Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani) denunciava la violenza sistematica e deliberata di cui soffre la popolazione civile irachena per mano dell’ISIS e di altri gruppi armati. Tra le vittime si contano comunità di religione musulmana come i turcomanni o i curdi. Altre, come gli yazidi e gli shabaki, le cui credenze hanno relazione con l’Islam, hanno a loro volta sofferto la repressione.
Guerra, terrorismo e rifugiati:
Dieci degli undici paesi con più di 500 vittime del terrorismo – nel 2013 erano solo cinque – sono anche quelli che ospitano maggiori numeri di rifugiati, come del resto si apprende nell’Indice Globale del Terrorismo 2015. Il recente dossier ci avverte anche che il 2014 è stato l’anno di maggiore violenza terroristica, con circa 32.000 morti in attentati, quasi il doppio del 2013. L’Iraq con 9.929 morti, l’Afghanistan con 9.233 e la Nigeria con 9.213 sono stati i paesi più colpiti dal radicalismo.
L’88 per cento degli attacchi terroristi degli ultimi venticinque anni hanno avuto luogo in paesi che vivono immersi in conflitti. La percentuale aumenta fino al 92 per cento se parliamo di paesi nei quali la violenza dello stato è una costante. Pertanto, la correlazione di fattori come conflitto, repressione, terrorismo e rifugiati appare significativa.
Attacchi suicidi:
Il progetto dell’Università di Chicago relativo alla sicurezza e al terrorismo (CPOST) raccoglie nel suo data base gli attacchi suicidi dal 1982. In totale la piattaforma ha registrato 4.620 attentati attribuiti a 99 gruppi terroristi. Il numero delle vittime per questo tipo di attacchi ammonta a 45,835 in più di 30 anni, essendo il Medio Oriente e l’Asia Centrale le regioni che più hanno patito violenza.
Dello Stato Islamico esistono registrazioni dal 2006 nelle sue tre varianti: Stato Islamico, Stato Islamico di Iraq, e Stato Islamico di Iraq e Siria. In totale ci sono registrati 424 attacchi suicidi con quasi 5.000 vittime, il 32 per cento delle quali civili. Iraq e Siria sono i principali teatri delle attività.
Di Al Qaeda esistono registri dal 1992 che riguardano quattro delle sue ramificazioni: Al-Qaeda Centrale, in Iraq, nella Penisola Arabica e nel Maghreb. In totale, l’organizzazione ha condotto 186 attacchi suicidi – includendo quelli dell’11 settembre – con un totale di 5.522 vittime. Su Al-Shabaab, guerriglia islamista che opera in Somalia, si raccolgono 64 attacchi suicidi dal 2007, con un totale di 726 vittime. Il gruppo fondamentalista nigeriano Boko Haram, per parte sua, ha registrato dal 2011 venti attacchi suicidi con 172 vittime.
(traduzione di @claudiomadricar)

JOSÉ LUIS MARÍN
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