Dopo gli attentati dei giorni scorsi a Parigi, e poi in Mali. La paura e la rabbia. La psicosi collettiva per nuovi attentati: non è quel che vogliono i terroristi? ytali. gira la domanda a Carole Beebe Tarantelli, psicoanalista, parlamentare per tre legislature. Rimase vedova di Ezio Tarantelli, economista, ucciso dalla Brigate Rosse nel 1985.

Carol Beebe Tarantelli
Come contrastare questa psicosi collettiva che cresce di giorno in giorno?
Mi è venuta in mente una cosa, ma non so è rilevante o no. A Roma, negli anni ’70, c’era una situazione di grande allarmismo e psicosi. La gente cominciava veramente a rimanere a casa. A chiudersi. E allora quel genio di Renato Nicolini, che in quegli anni era assessore alla Cultura al Comune di Roma, propose e organizzò l’Estate Romana e i romani tornarono a riempire le piazze e i luoghi d’incontro. In quegli anni, a partire dal 1977, l’Estate Romana divenne una celebre manifestazione culturale, era organizzata dal Comune di Roma in diversi luoghi monumentali della capitale. Ho un altro ricordo di quegli anni…
Gli anni di piombo, sarebbero poi stati definiti…
Gli autonomi, in quegli anni, credo nel 1977, si riunirono a Bologna per un convegno o qualcosa di simile. Ovviamente anche allora c’era la psicosi della violenza. Era sindaco di Bologna Renato Zangheri e, se non ricordo male, il Pci e comunque i militanti del partito vennero da tutta l’Emilia e si misero a passeggiare per le strade del centro per affermare che “questa è la nostra città”.
Quello che voglio dire è che allora ci fu una volontà politica a intervenire per riportare alla normalità la vita quotidiana. Al momento, oggi, non vedo questa volontà politica.
Dunque lei sostiene che oggi manchi la volontà politica, una risposta concreta alla politica del terrore …
Sì, manca. Allora la politica rispose e ci ha salvato. Oggi non vedo nulla di simile. Dobbiamo sperare che a livello di contatti politici – dico a livello mondiale – si stia diffondendo la consapevolezza che ci sia una minaccia concreta. E non bisogna crogiolarsi nei propri interessi economici specifici. Perché, come sappiamo, gli interessi sono molti. Ma bisogna unirsi, stare uniti e cercare di sconfiggere il terrorismo in tutte le sue forme.
Reputa che l’intervento di Hollande in Siria sia la cosa giusta da fare in questo momento?
A che cosa serve un bombardamento? Se si fanno bombardamenti mirati, ad esempio per colpire i convogli che trasportano il petrolio, può essere un modo per sconfiggere l’Isis. E allora posso capire l’intervento di Hollande. Perché se è vero che si possono distruggere questi convogli, allora colpiamo il cuore dell’Isis. Il primo dovere della politica è tutelare la sicurezza dei cittadini. Bisogna indebolire l’Isis con azioni mirate.
L’Europa deve trovare una linea politica comune con la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, l’Arabia Saudita etc altrimenti non sarà sconfitto l’Isis.
I governi degli Emirati, dell’Arabia Saudita e del Qatar, a parole, condannano i terroristi però sembra che finanzino anche le armi di Isis. Insomma c’è una serie di contraddizioni. Non crede?
Sì, è vero ci sono delle contraddizioni. Ma non bisogna ignorare la situazione, la politica deve rispondere. Se s’ignora la situazione, avremo sangue dappertutto. La prima funzione della politica, ripeto, è la sicurezza dei cittadini. Se non c’è un’unione politica degli europei con gli altri paesi, l’Isis non sarà fermato.
Gli attentatori di Parigi erano francesi a tutti gli effetti. Lei pensa che alla base di questa rabbia contro l’Occidente ci siano problemi di disagio sociale e di mancanza di integrazione nei nostri paesi?
È complicato. Anche prima c’erano le banlieue ma non questo tipo di terrorismo. La mia tesi, anche se è la situazione è molto complessa, è che quando c’è un gruppo che io chiamo “totalista” – non uso volutamente la parola “totalitario” – i giovani che hanno un’attrazione maggiore verso la violenza tagliano i ponti con la famiglia, gli amici e con il futuro perché attratti dal gruppo “totalista”. L’intervista al fratello del terrorista Salah Abdeslam fa pensare molto.
In psicoanalisi questi processi si chiamano “identificazioni” che in questo caso è l’identificazione con l’ideologia “totale”. E questo è alla base di tutti i terrorismi che ho studiato io. Tagliare i ponti con tutto per identificarsi con una cosa sola.
Dedicare la vita alla violenza e a uccidere. I terroristi lo dicono chiaramente “voi amate la vita, noi la morte”. Ovviamente se non ci sono molte prospettive per il futuro, questo processo è favorito ma non è così automatico che la mancata integrazione porti a questo. Direi che è molto più complesso e l’ideologia del “totale”, come dicevo, è la base di tutto.
Mi corregga, se sbaglio. La paura, psicologicamente, è un sentimento che, se finalizzato, può difenderci dal pericolo. Però se la paura non è elaborata intellettualmente, può anche paralizzarci e diventare psicosi. Lei come psicoanalista pensa che la paura che abbiamo in questi giorni è una normale conseguenza dei fatti che viviamo anche indirettamente oppure sono anche i media che contribuiscono a questa escalation che poi sfocia in una psicosi collettiva?
The only thing we have to fear is fear itself.“L’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”, diceva Franklin Delano Roosevelt. Ecco bisogna mettersi in quest’ottica. Se nella società prende il sopravvento la paura, facciamo il gioco loro. Loro vogliono seminare il terrore. Dopo la reazione immediata bisogna che subentrino dei ragionamenti politici, delle iniziative come quelle che raccontavo di Renato Nicolini. L’allarmismo fa il gioco loro. Bisogna proporre delle iniziative che uniscono, solo così riusciremo a sconfiggere la paura.

Luna Moltedo

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