“Et maintenant, que vais- je faire – De tout ce temps que sera ma vie?”.
È – ricordate? – una vecchia canzone di Gilbert Bécaud che oggi si trova ancora in prima linea perché gli azeri prossimi a Erdoğan continuano a minacciare i suoi compatrioti mentre i curdi stanno da anni percorrendo un calvario analogo a quello che gli armeni affrontarono un secolo fa. Gli errori di Versailles – la “cattiva pace”, i confini assurdi tracciati in una sola notte per spartire tra i vincitori le terre del sultano vinto senza curarsi dei popoli assoggettati, le nuove entità istituzionali create dal nulla senza neppure porsi il problema di come avrebbero fatto a diventare delle patrie, delle nazioni, i popoli che avevano sognato di esser rispettati finalmente come cittadini e che ora si trovavano meno che sudditi…- si sono ormai riversati sul nostro presente e premono implacabili.

La Conferenza di Versailles 1919
Versailles non è stata soltanto l’implacabile incubatrice della seconda guerra mondiale in Europa, bensì anche la responsabile del disordine vicino-orientale: con un imperialismo che prima aveva rinnegato se stesso e quindi di era ambiguamente riprodotto, promettendo alle genti arabe unità e indipendenza e assoggettandole quindi a una ripartizione territoriale arbitraria mentre le costringeva a diventar suddite di stati concepiti a tavolino senza riguardo né per la storia, né per la geografia, né per la religione, né per le tradizioni; con una cinica volontà di dominio e di sfruttamento che si era gettata senza riguardo sulla nuova risorsa, il petrolio, ad essa sacrificando ogni altra priorità; con una leggerezza colpevole che ai nuovi padroni del territorio ex ottomano aveva impedito di vedere sia il nuovo problema costituito dall’arrivo in forze dei coloni sionisti, sia l’incipiente esplosione dello scontro fra tradizioni religiose ed etniche frustrate da una parte, prospettive della modernizzazione e dell’occidentalizzazione dall’altra.
In seguito, le cose non erano migliorate. L’Occidente già turbato dalla “guerra fredda” non aveva saputo se non far di tutto per ostacolare e cercar di distruggere– alla fine riuscendovi, anche con l’aiuto d’Israele – il socialismo arabo, senza badare alle sue potenzialità in termini di progresso, di sviluppo, di quella che con termine inadeguato ci ostiniamo a definire “laicizzazione” ma che rappresentava comunque un non trascurabile sforzo di modernizzazione-occidentalizzazione. Eppure i governi europei prima, quello statunitense più tardi, avevano preferito non correre il rischio della genesi di nuovi sentimenti di solidarietà identitaria nazionale: e avevano in un modo o nell’altro favorito semmai il nascere di movimenti che si annunziavano come “tradizionali” e magari perfino atavici mentre al contrario erano modernissimi: primo fra tutti il fondamentalismo, che si presentava con i tratti reazionario-utopistici del ristabilimento dell’umma, l’unità primordiale di tutti i fedeli nel Corano ai tempi del Profeta, ma che in realtà altro non era se non una distorsione ideologica dell’Islam avulso dai suoi contenuti religiosi e anche etici e trattato come un’ideologia di lotta all’Occidente per la riconquista di una perduta supremazia.

“E su di te abbiamo fatto scendere il Libro con la Verità, a conferma della Scrittura che era scesa in precedenza e lo abbiamo preservato da ogni alterazione. Giudica tra loro secondo quello che Dio ha fatto scendere, non conformarti alle loro passioni allontanandoti dalla verità che ti è giunta…”
Così, e attraverso una complessa e per molti versi contraddittoria evoluzione – e un progressivo peggioramento in termini di violenza e di barbarie -, dallo sciita Khomeini fondatore della repubblica islamica dell’Iran si è passati agli odierni movimenti di al-Qaeda e dell’IS, sunniti e propagatori di una bieca ideologia di fitna (guerra civile) attraverso la quale i sunniti vicino-orientali dovrebbero rimediare agli errori degli ultimi tre lustri tramite i quali, tra l’altro, gli americani hanno consegnato l’Iraq a un governo filosciita e quindi filoiraniano. Ma la guerra civile musulmana sta ormai tracimendo anche da noi e coinvolgendoci, qualunque sia la nostra volontà.

Domenica scora agenti nella Place de la République minuti prima che scoppino i disordini
Domenica 29 novembre scorso, a Parigi, un gruppo di scalmanati facinorosi (o di persone cui si voleva mettere il bavaglio con la scusa del lutto di due settimane prima?) ha occupato Place de la Republique e ha profanato l’Altare laico e democratico eretto con candele e bottiglie ai piedi della statua di Marianne per rendere omaggio ai caduti del Bataclan e a tutti gli altri di quel giorno orribile. I manifestanti hanno profanato quell’altare usando candele e bottiglie come proiettili contro la polizia che impediva loro contro i tecnici e i rappresentanti dei padroni del Mondo, quelli che con la destra finanziano le ricerche per impedire che i ghiacci si sciolgano e che le emissioni di gas industriali aggravino l’effetto-serra mentre con la sinistra ben più fortemente provvedono di capitali le imprese che determinano entrambi quei fenomeni.
Ma quel che le folle parigine non hanno capito, e che con loro si può dire tutto il mondo occidentale ha frainteso, è che gli attentati di Parigi sono strettamente connessi con il disastro ecologico che incombe sul mondo. Come ben ha compreso papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, è la miseria e la disperazione che finiscono con l’offrire ai fanatici la forza d’urto per la guerriglia. I jihadisti sono da una parte musulmani sunniti convinti che l’Occidente li abbia sempre ingannati e sfruttati (né si può dire che, in ciò, abbiano poi tutti i torti…), mentre dall’altra sono foreign fighters illusi prima, delusi e nauseati poi dai falsi miti edonistici e consumistici della Modernità. La cosa più tragica è che tanto i primi quanto i secondi non ci odiano tanto per quel che siamo o crediamo o vorremmo essere – i portatori della libertà, del progresso, dello sviluppo – quanto perché siamo stati semmai ben altro, i supporti di un articolato sistema d’ingiustizia e di violenze che non hanno esitato, quando ciò sembrava convenire loro, a ricorrere alle armi (e lo abbiamo visto, dall’Afghanistan all’Iraq) per garantire a colpi di aerei e di droni la propria supremazia e il potere di governi complici dei nostri disegni.
Oggi, le forze che hanno provocato nel Vicino Oriente una fase di nuova dinamicità rappresentano l’effetto congiunto della volontà di destabilizzare tale area al fine di rimodellarne i confini come farebbe comodo ad alcune potenze arabe sunnite impegnate nella loro fitna contro gli sciiti tanto arabi quanto iraniani: una fitna che non dispiace al presidente turco Erdoğan in quanto finisce con il colpire anche i suoi avversari, la Siria ancora lealista e i curdi.

Recep Tayyip Erdoğan a una cerimonia delle forze armate turche
D’altronde il soggetto che appare centrale in tale dinamica, il califfo al-Baghdadi capo dell’IS, tenta di proporsi anche come ispiratore di un’ondata di atti di terrorismo tanto in Europa quanto in Africa che mirerebbero a spianare il terreno per una rinascita dell’Umma unitaria sunnita tanto contro i “crociati” occidentali” quanto contro gli “eretici” sciiti. Quel che il califfo vuole è provocare reazioni inconsulte e massacri d’innocenti al fine di apparire davvero lui il solo difensore delle masse islamiche in via di proletarizzazione. Un disegno folle, che solo l’imbecillità occidentale potrebbe favorire. E, a giudicare dalle reazioni francesi prima, dell’ONU più tardi, siamo sulla buona strada. Prima l’inconsulto bombardamento di Raqqa, più che una rappresaglia una vera e propria vendetta voluta da Hollande per fini interni, al chiaro scopo di risollevare in parte la sua popolarità ormai in irreversibile declino; quindi gli incidenti russo-turchi e lo stallo determinato dall’incertezza a proposito della pur indispensabile campagna di forze di terra contro un nemico che vincere dal cielo è impossibile in quanto troppo costoso e suscettibile di provocare troppi morti la famiglie dei quali passerebbero ovviamente dalla parte del califfo perché, lo diceva già Tertulliano, il sangue dei martiri è seme di nuovi convertiti.

L’auto-proclamatosi Califfo Abu Bakr al-Baghdadi predica durante il Ramadan nella moschea al Nouri a Mosul
Come reagire? La risposta, in fondo, non è difficile. Anzitutto, conoscere meglio il califfo identificando le fonti effettive del suo potere: chi lo sostiene, chi lo arma, chi lo minaccia (ma già questo sarebbe in realtà un guaio: probabilmente, sconvolgerebbe nel profondo la sedicante coalizione anticaliffale) . Qundi batterlo non massacrando dal cielo degli innocenti bensì mettendolo alle strette con un’azione di forze terrestri nerbo del quale siano le forze musulmane sunnite, per dimostrare ai proletari appartenenti a quella confessione ch’egli non è affatto il loro paladino (ma attenzione, perché sauditi, catarioti, kuwaitiani e con vari “distinguo” anche i turchi si renderanno indisponibili: sono tutti alleati dell’Occidente e complici obiettivi del califfo). Quindi, vincere il terrorismo che agisce da noi senza isterismi e inefficaci misure speciali, bensì con l’intelligence, l’infiltrazione e la politica culturale volta a dimostrare ai musulmani che qui risiedono che noi non siamo affatto nemici dell’Islam.
Infine, avviare gradualmente ma energicamente tutte quelle misure che fino a oggi altro non hanno fatto, su scala mondiale, se non favorire la concentrazione della ricchezza e allargare il divario fra i troppo ricchi e i troppo poveri che la globalizzazione (con i suoi media) ha posto sotto gli occhi e dinanzi alla coscienza di tutti. Sembra semplice, eppure appare anche impossibile viste le profondissime contraddizioni esistenti tra quanti dovrebbero essere i nemici dell’IS. Il guaio è che, se non lo vinciamo, ci troviamo l’Islam sunnita progressivamente schierato contro di noi; e se lo vinciamo, al suo posto nascerà presto un altro soggetto antioccidentale. A meno che non riusciamo a vincere il fanatismo, e la miseria nel quale esso si radica, con misure che siano anche economiche e sociali. Restituendo ricchezze ai popoli ai quali le abbiamo fino ad ora drenate, imponendo una cultura di rispetto e di comprensione, combattendo per una pace che non sia più solo assenza di guerre (e finora non siamo riusciti a raggiungere neppure tale scopo), ma anzitutto assenza d’ingiustizia. È qui che fino ad oggi abbiamo fallito. È questa l’unica, ma definitiva, nostra sconfitta

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