Il decreto salva-banche voluto dal governo per chiudere il dossier relativo a quattro banche (Banca Marche, Carife, CariChieti, Popolare di Etruria) “bruciate”, ha toccato nervi scoperti ovunque; Veneto compreso, dopo i casi di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza.
La ragione è che così è emersa una questione, giuridicamente delicatissima e politicamente esplosiva, che interroga sui valori primi da tutelare nella risoluzione delle crisi degli intermediari creditizi; ovvero sul “chi” ci debba rimettere; quanto e per che ragione. Cosa che di fatto apre un conflitto d’interessi tra risparmiatori e contribuenti.
D’altronde, è forte la tentazione della politica, per motivi sia di pace sociale che elettorali, di ricorrere nei fallimenti bancari al denaro pubblico, nell’illusione che così, diluendo i costi, nessuno in realtà paghi. Invece, qualcuno c’è sempre: è il contribuente, significativamente individuato già nel 1876 dal sociologo Summer (lo ricorda Rosati su Il Foglio) come l’Uomo dimenticato.
Naturalmente, vi sono casi in cui è necessario ricorrervi; ed è quando, non bastando a chiudere la partita né i fondi propri delle banche in crisi (nella fattispecie azioni ed obbligazioni subordinate) né quelli dei fondi di risoluzione (in soldoni soldi di altre banche), è necessario andare, specie dinnanzi a mega dissesti con implicazioni sistemiche, al salvadanaio dell’Uomo dimenticato. Ma questo vale pure per i risparmiatori toccati dal decreto salva-banche del governo?
In sintesi. Soccorrere i risparmiatori coinvolti è un trasferimento di reddito a loro favore da parte dei contribuenti. È una scelta politica che andrebbe fatta evidenziandone le ragioni (non quelle elettorali che sono evidenti); in particolare dopo tante parole spese contro il “dare il denaro di tutti alle banche”. Tra l’altro, è questo il valore espresso dalla normativa europea (il cosiddetto bail in) in materia. Difatti, le nuove regole sulle crisi bancarie vogliono, nei limiti del possibile, tutelare l’Uomo invisibile (il contribuente) introducendo il principio che è bene che le aziende di credito nei guai si salvino prima di tutto, come accennato, col proprio capitale; poi ricorrendo ai propri creditori (obbligazionisti in primis), salvo tutelare la parte più debole dei depositanti, ovvero quelli con depositi inferiori ai centomila euro.
Se ancora tutto ciò fosse insufficiente a risolvere la crisi, toccherebbe ai fondi di risoluzione: che null’altro sarebbero che una sorta di “pronto soccorso” di altre banche (qui rischiano i loro azionisti), che interverrebbero anche per evitare rischi a catena (sistemici) che a fine giro potrebbero giungere a coinvolgerle. Infine, qualora tutto ciò risultasse insufficiente, toccherebbe al popolo sovrano nel ruolo di contribuente.
Questa, pertanto, la filosofia giuridica del bail in: togliere, a sua protezione, il contribuente dalla prima linea delle crisi finanziario/bancarie. La medesima filosofia ha seguito il governo Renzi applicandola al dossier di Banca Marche, Carife, CariChieti, Popolare di Etruria. Tuttavia, giocando d’anticipo sull’entrata in vigore del bail in (gennaio), ha evitato che a pagare fossero tutti gli obbligazionisti (salvo i sottoscrittori delle subordinate) e i depositanti maggiori.
Insomma, il governo ha evitato una “botta” ancora più pesante. La domanda ora è: bisogna tornare a porre le crisi bancarie a carico del bilancio dello Stato? Quindi, in ultima istanza, dell’Uomo invisibile? Meglio di no. Ad ogni modo, è una decisione politica carica di conseguenze: elettorali, perché a reagire, oltre ai risparmiatori delle banche colpite, potrebbero pure essere i contribuenti; ma anche internazionali, cioè con l’Unione europea. Si dirà: i tedeschi hanno soccorso le loro banche (però più con garanzie pubbliche, poi neppure azionate, che con cash); vero, ma l’Italia è stata silente, magari sperando di fare lo stesso; peccato che oggi sia più difficile. C’è però un argomento, diciamo di ordine pubblico economico, che potrebbe dare qualche spazio d’intervento: quello di garantire il permanere della fiducia tra risparmiatori e sistema bancario.
Purtroppo, è una strada scivolosissima per le sue conseguenze. Tuttavia, il premier ci si è impegnato; ed a suo favore milita qualche stranezza pregressa: ad esempio, il fatto che sia stato possibile collocare a tutti i risparmiatori le subordinate che, viceversa, dovrebbero essere riservate ad intermediari specializzati. Basteranno le manchevolezze passate per aprire un minimo paracadute per i risparmiatori? E, nel caso, l’Uomo invisibile sarebbe lieto di provvedervi solidale? La partita politica è tutta qui.
L’articolo appare su Il Mattino di Padova

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