Il dissesto di alcune banche, piccole ma capaci di produrre gravi danni alle persone che in esse hanno avuto fiducia, sta per essere sovrastato dalla lotta politica contro il Governo e il ministro Maria Elena Boschi della quale le opposizioni chiedono le dimissioni con una mozione di sfiducia individuale.
La lettura della vicenda – per quanto riguarda la posizione del ministro Maria Elena Boschi – raramente segue linee di ragionevolezza, quanto meno nei talk show televisivi. Tanto che le posizioni si dividono tra garantisti e giustizialisti, sul tema se in questo caso le colpe dei padri possano ricadere sulla figlia.
Le colpe del signor Pier Luigi Boschi, padre del ministro, non sono state ancora compiutamente dimostrate.
Quel che si sa, è che agli inizi del 2015 gli amministratori della banca sono stati colpiti da sanzioni amministrative pecuniarie per violazione delle regole inerenti alla governance interna, ai controlli e alla trasparenza, compreso Pier Luigi Boschi per 144 mila euro. Dopo di che la banca in difficoltà è stata commissariata.
Ma non si tratta di questo. È evidente che le responsabilità sia amministrative che penali sono personali, e che Maria Elena Boschi non ha nessuna colpa di quanto eventualmente imputabile al padre (va detto che del comportamento di Pier Luigi Boschi come amministratore non sappiamo nulla, e che la sanzione della Banca d’Italia non ci dà informazioni sul suo contributo individuale, positivo o negativo).
Né vi è alcuna ragione di opportunità, etica o politica, che sconsigli il proseguimento della sua attività di ministro.
Il punto è un altro. Il governo ha adottato provvedimenti nei confronti di quattro banche, una della quali è la Banca dell’Etruria, alla quale uno dei suoi ministri è interessato, sia come azionista, sia per i suoi rapporti familiari. In questi casi – di potenziale conflitto di interessi – scatta l’obbligo legale di astensione, che è un principio del nostro ordinamento, e l’obbligo etico di non influire in alcun modo sulle decisioni da assumere. Dalle notizie di stampa l’astensione sarebbe effettivamente avvenuta e nulla consente di pensare che vi siano state pressioni illecite sul governo.
Dunque la richiesta di dimissioni di Maria Elena Boschi da ministro non ha alcun fondamento, né di diritto, né di mera opportunità politica.
Ma la questione non finisce qui. Poiché il conflitto di interessi potenzialmente sussiste, la regola da rispettare in questi casi è quella dell’assoluta trasparenza: la dimostrazione che il trattamento fatto alla Banca dell’Etruria è lo stesso delle altre tre banche, che nessun regime di favore vi è stato. Se si guarda al decreto legge 183 il trattamento fatto alle quattro banche è uguale per tutte. Ma non mancano insinuazioni in senso contrario.
Per questa ragione non basta reagire sdegnati. Occorre mettere a disposizione tutte le informazioni necessarie a fugare ogni dubbio.
È invece demenziale accusare il governo (anche questo si è sentito nei talk show), di aver adottato il decreto legge 183, con il quale si provvede alla “sistemazione” per quanto possibile della crisi delle quattro banche, prima del 1 gennaio 2016. Da quella data scattano nuove regole che “puniscono” più pesantemente i clienti di quelle banche. Bene ha fatto il governo a provvedere prima.

Adriana Vigneri

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