Ci avete fatto caso? Ogni tanto, sempre più spesso, compaiono sui quotidiani intere paginate pubblicitarie di “associazioni” di consulenza medico-legale che suggeriscono, a chi si ritiene vittima di un errore sanitario, di ricorrere ad avvocati e medici associati “per avere giustizia” e naturalmente ottenere un risarcimento “da malasanità”.
Zero anticipi, nessuna parcella e se perdi la causa pensa a tutto “l’associazione”, ma se la vinci paghi una percentuale a chi ti ha procurato l’indennizzo.
Di più e di peggio: vanno molto anche certe onlus, costituite in memoria di vittime di errori sanitari che sostengono di poter tutelare chi ha subito qualsiasi danno medico, in ospedale, in case di cura e ambulatori privati.
Alcune di queste organizzazioni distribuiscono pieghevoli con dettagliate spiegazioni persino nelle strutture ospedaliere: un galoppino passa in corsia o nelle stanze e lascia il volantino senza che un medico o un infermiere o un paziente se ne accorgano, se non dopo che il clandestino è sparito.
Di questa storia, e del cinismo che lo nutre, si è più volte discusso in Parlamento attraverso interrogazioni e interpellanze che ponevano alcune questioni molto delicate. La prima: il messaggio non consente di distinguere la complicanza dall’errore. La seconda: si suggestionano persone vulnerabili (lese esse stesse, o colpite da morti di congiunti) spingendole ad azioni giudiziarie anche quando non vi è per esse un fondamento.
La terza e più essenziale questione: si infonde un senso di sfiducia nel Servizio sanitario nazionale, non perché la sanità pubblica non sia esente da difetti ma perché la malasanità vien fatta passare come una pandemia, del tutto organica al sistema. E perché si lancia il messaggio che, se le cause si concludono con l’assoluzione per il medico, la giustizia non è in grado di rispondere alle istanze dei cittadini.
E infine: si concorre ad aumentare in modo talora considerevole il carico di lavoro del sistema giudiziario.
Il più delle volte i così detti “atti ispettivi” su questa vicenda, in discussione in Parlamento, erano rimasti senza risposta.Ma, finalmente, ora, la ministra della Salute Beatrice Lorenzin ha fornito, per iscritto, una risposta in qualche misura convincente.
La premessa: “Fermo restando che non è possibile impedire alle associazioni professionali di pubblicizzare la propria attività finalizzata ad assistere coloro che lamentano di aver subito un danno derivante da malpractice” è però “sicuramente importante assicurare una corretta informazione istituzionale ai cittadini, affinché comprendano che le conseguenze avverse di un intervento sanitario non sempre ascrivibili a negligenza, imprudenza o imperizia del professionista ma, al contrario, derivano dal fatto che la medicina non è una scienza esatta, e nonostante i progressi della scienza, purtroppo non tutte le patologie sono oggi curabili”.

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E allora? Qui l’annuncio della ministra Beatrice Lorenzin che già a fine marzo aveva firmato il decreto istitutivo di “una commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale, con il compito di approfondire le diverse questioni connesse alla medicina difensiva e alla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
Perché siano chiare le molteplici implicazioni del lavoro della commissione, Lorenzin si è premurata di precisare che, “proprio perché il tema è molto complesso, esso necessita di un intervento a tutto tondo“.
Insomma il lavoro della commissione investe anche la natura, spesso incerta, gli scopi (talora strumentali) e spesso gli eccessi del lavoro di associazioni e onlus che sostengono di operare sempre e solo a difesa delle vittime della “malasanità”. Chissà che certe paginate pubblicitarie non tendano a scomparire…

Giorgio Frasca Polara

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