Dopo Morando Morandini e Callisto Cosulich, la critica cinematografica italiana perde un altro dei propri, ormai rari, punti di riferimento. A 83 anni, nella sua Torino, se n’è infatti andato Gianni Rondolino, critico per decenni de La Stampa ma anche eminente storico della settima arte, saggista, organizzatore lungimirante (il Torino Film Festival è una sua creatura), docente universitario e punto di riferimento per due generazioni di cinefili che sui suoi libri hanno studiato e si sono formati.
Gentiluomo piemontese d’altri tempi, spirito ironico e garbato, affabile quanto diretto e semplice sia nell’eloquio che nella scrittura, Gianni Rondolino era un critico “puro”, non prestato cioè al cinema da altre sfere d’interesse ma fermamente, fideisticamente convinto che il cinema fosse uno straordinario mezzo di espressione artistica del nostro tempo e di sviluppo dell’immaginario collettivo, indipendente ed anzi totalmente affrancato da qualsiasi sudditanza nei confronti di altre discipline quali ad esempio la letteratura, la pittura o il teatro.
Caso più unico che raro nell’ambiente, Rondolino riuniva in sé la capacità di sintesi e l’agilità di pensiero del critico quotidianista, abituato a scrivere a caldo e in fretta, con la pazienza, il rigore e gli strumenti di approfondimento dello studioso accademico, e ciò in un’epoca (prima dell’homevideo, del digitale e del web) in cui le ricerche sul campo andavano obbligatoriamente svolte sporcandosi letteralmente le mani, girando per cineteche polverose, sale affollate e ingombranti moviole, maneggiando pesanti “pizze” di pellicola alla ricerca delle connessioni, delle conferme, delle presenze autoriali e dei volti necessari a mettere insieme quel percorso di ombre ultracentenario che chiamiamo storia del cinema.
Ed è così che nasce appunto la sua monumentale Storia del cinema, tre imponenti tomi editi da Utet nel 1988, frutto di una vita di ricerche e manifesto di una passione critica e analitica che, pur dichiarando apertamente alcune predilezioni (il cinema hollywoodiano a cavallo tra le due guerre, il cinema sovietico, il neorealismo italiano) palesava una curiosità inesausta, una vastità di orizzonti intellettuali, un approccio culturale cosmopolita che lo rendeva curioso di tutto e aperto ad ogni innovazione, tecnica o linguistica.
Nascono così altre sue opere fondamentali come il “Dizionario del cinema italiano 1945-1969” (Einaudi, 1969) o il “Manuale del film: linguaggio, racconto, analisi” scritto insieme a Dario Tomasi (Utet, 1995), testo ancor oggi di basilare riferimento.
Ma a chi qui scrive piace in particolare ricordare una passione in comune, che ci legava in una forma di amicizia coltivata in incontri non frequentissimi ma intensi: la musica per film. In tempi non sospetti, infatti, Rondolino fu tra i pochissimi critici e studiosi di cinema a rompere l’assordante, desertico silenzio dei suoi colleghi in materia e a dedicare, sulla scia pionieristica di Ermanno Comuzio, interesse e approfondimento e attenzione non superficiale alla sfera della musica per immagini: convogliati in un volumetto tanto scorrevole e piacevole quanto acuto e partecipe, “Cinema e musica – Breve storia della musica cinematografica” (Utet, 1991), esemplare per l’approccio storicistico e l’entusiastica competenza dimostrata.
Un’altra testimonianza dello sguardo (e dell’ascolto) “lungo”, penetrante e curioso che ha caratterizzato in Gianni Rondolino tutta la sua opera di esploratore del mondo delle immagini.

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