Una Chiesa che dice la verità e che non fa mancare la sua vicinanza al peccatore e alle debolezze umane. Ma dove il peccato rimane pur sempre peccato. E che scommette sulla solidarietà e la giustizia sociale nell’epoca dei disastri della globalizzazione. I rischi cui pare esposto l’apostolato di papa Bergoglio di ridurre il cristianesimo a religione sociale, e il suo sforzo immane di riformare la Chiesa. L’incontro con Barack Obama in Vaticano. I viaggi a Cuba e in Corea del Sud.I viaggi a Cuba e in Corea del Sud. Questi alcuni dei temi toccati con Riccardo Cristiano, vaticanista del GR Rai, il cui libro “Bergoglio, sfida globale” è uscito in libreria a novembre per Castelvecchi Editore.
Papa Francesco, nell’indire l’anno giubilare, sostiene che la Chiesa forse per tanto tempo ha dimenticato di indicare di vivere la via della misericordia, tema dell’anno santo. Potresti spiegare cosa è la misericordia per Francesco? È corretto affermare che nella visione del Papa essa non è semplice declamazione passiva, ma la leva che scardina la percezione di una Chiesa silente in tema di giustizia sociale e lontana dalle sofferenze umane? Un mezzo capace di tutto rimettere in discussione grazie al quale la Chiesa viene ricollocata al centro di un dialogo con la modernità e con i suoi concreti problemi?
Recentemente, in un pubblico incontro, il Preposito Generale dei Gesuiti, padre Nicolàs, ha detto che il mondo guarda con diversi ordini di priorità alla famosa triade “via, verità, vita”. L’oriente antepone la via (la meditazione, lo yoga). L’Africa e l’America danno peso ai valori della vita, l’Europa e gli Stati Uniti alla verità. Ecco, papa Francesco forse è il primo papa non europeo anche in questo senso. La sua priorità sembra stare nella via. L’ha fatto capire anche con i suoi riferimenti al cammino, all’impossibilità di restare fermi. Che anche l’acqua ferma non è più acqua limpida. Questa priorità, chiaramente, riduce il peso del “dottrinalismo”, non certo della dottrina.
Ma il dottrinalismo è tendenzialmente fermo e finisce con l’essere rigido, severo. Il papa, ricordando la categoria antichissima della Misericordia di Dio, prospetta una Chiesa che dice la verità. Un peccato è peccato, ma è vicina al peccatore, alle sue debolezze, alle sue paure. Questa della vicinanza alle paure dell’uomo mi sembra una chiave importantissima. Più che un giudice, l’uomo della modernità liquida si trova vicino un amico, che lo capisce e lo aiuta a rialzarsi in un mondo sempre più veloce e incapace di guardare l’altro. Dove molti hanno fretta sapendo che se si fermano cadranno, non si affermeranno in questa globalizzazione irriguardosa delle diversità e delle difficoltà. Individuali, ma non solo. Sono anche le difficoltà delle periferie dimenticate, sfruttate, abusate. Così la risposta al malgoverno della globalizzazione non è l’isolamento rancoroso, che in molte realtà ha prodotto fondamentalismo. Ma solidarietà e giustizia sociale. La Misericordia è la risposta alle sfide dell’oggi. La vera alternativa alla deriva odierna.

Il logo del prossimo viaggio apostolico, in Messico, dal 12 al 17 febbraio
Francesco ci ha messo in guardia dal pericolo di considerarci a posto o meglio degli altri per il solo fatto che rispettiamo le regole. Nei suoi discorsi spesso il papa si scusa per l’operato della Chiesa e per gli errori commessi. Francesco è arrivato a chiedersi: chi sono io per giudicare. Come si concilia il rispetto della dottrina e il riconoscimento della modernità e dei suoi conflitti? Non affrontando la verità in termini teorici ma dal versante dell’uomo, non corre il rischio di arrivare a un indistinto umanesimo in cui i principi cristiani siano annacquati dal relativismo?
Io credo che il rischio non sia l’umanesimo, sempre meno presente, ma la riduzione del cristianesimo a religione sociale. Nel suo libro “Il nome di Dio è Misericordia” papa Francesco lo dice chiaramente: basta un passo verso Dio, o l’intenzione di farlo. Questo non serve a relativizzare il peccato, anzi. Serve a farcelo capire. A farcelo vedere. Ma anche a farci capire che i tempi cambiano e la Chiesa deve seguire l’uomo in questi cambiamenti. La Chiesa di Bergoglio non è un autovelox della moralità. È una Chiesa “affettuosa” verso l’uomo moderno, con le sue problematiche figlie dell’oggi. Non è un giudice al di sopra della storia e del tempo.
Fin dalle sue prime scelte più personali come, vorrei perfino dire, quella di abitare a Casa Santa Marta, Bergoglio si è manifestato come papa delle periferie urbane e anche umane. Con i suoi tratti di semplicità ha restituito al pontificato e all’azione della Chiesa una centralità impensabile fino a prima della sua ascesa al soglio pontificio. Questa è anche la spiegazione della sua capacità di dialogare con il mondo, e dell’attenzione e anche dell’amore con cui il mondo sembra ricambiarlo. Tu affermi che la sua modernità sta in una figura, il poliedro, dove tutti i punti sono equidistanti e soprattutto uguali. Una modernità che si oppone al pensiero unico, quello della tecno-finanza. È un caso se Francesco compare sempre più nei ragionamenti della politica? Mi riferisco, per fare qualche esempio, all’ultimo discorso alla nazione pronunciato da Obama, o al riconoscimento da parte del mondo laico e di sinistra del nostro paese di una valenza progressista, perfino gioiosamente e francescanamente rivoluzionaria in Bergoglio in quanto attinente alle verità dimenticate sui temi ambientali, sui diritti e sulla dignità della persona insite nel suo messaggio. Sta forse accadendo che il logos di Francesco ha saputo mettere in crisi il logos della politica, svelandone l’unidimensionalita’ e l’incapacità di dare risposte credibili al mondo contemporaneo?
Bergoglio ha più volte invocato la politica, il ritorno della politica, cioè dell’attenzione al bene comune. Quando Obama l’ha visitato in Vaticano, Papa Francesco gli avrebbe detto: se lei vuole risolvere il problema della qualità della relazione tra il suo paese e quelli latinoamericani risolva il problema di Cuba. Così Papa Francesco ha invitato Obama a “fare politica”, a sapere vedere il bene comune concreto. Lo stesso è accaduto con la vicenda dei migranti in Europa. Non ha invocato un semplice buonismo, ha ricordato all’Europa che il mondo è “mondo” e non una sommatoria di culture, e che quindi i migranti sono una risorsa, economica e culturale.
L’azione riformatrice della Chiesa avviata da Francesco appare come un’opera titanica. Alla sua nomina a papa ha ereditato una chiesa divisa e percorsa da scandali. I suoi detrattori in vista del Sinodo sulla famiglia hanno perfino messo in giro la voce che era affetto da un tumore alla testa, benigno s’intende. Ma capace di spiegare la “bizzarria” delle sue scelte, nel tentativo di minare la sua autorevolezza. Sta di fatto che l’azione apostolica di Francesco sembra scatenare reazioni prima mai viste e forti opposizioni proprio in quegli ambienti che per primi dovrebbero sorreggerlo. Ce la farà Francesco, non dico a portare a termine, ma almeno a mettere su un binario sicuro la Chiesa salvandola dall’estraneità dal mondo contemporaneo e dalla Storia cui sembrava altrimenti destinata? Chi sono gli amici di Francesco, “su quante divisioni” può contare il papa nella sua azione riformatrice?
Non so se siano reazioni mai viste. Ricordo che anche Giovanni Paolo II ai tempi dei grandi “Mea Culpa” della Chiesa fu accusato di essere un “eretico”. Paolo VI, poi, con il quale Bergoglio ha in comune la grande capacità di lettura delle metropoli e molta ecclesiologia, fu chiamato dai suoi avversari “Maolo VI”, o “Paolo mesto”. Bergoglio comunque non è “una meteora” come qualcuno vorrebbe far credere. Ha detto che il Concilio ha tirato la Chiesa dalle “secche” e ora il problema è rivitalizzare, rinfrescare la base più che il vertice. Alcune recenti nomine a livello di grandi città hanno indicato la strada pastorale che il papa vorrebbe per la “Chiesa dei poveri”, la “Chiesa aperta”. Questa mi sembra un’indicazione chiara. Noi guardiamo tutto da Roma, e forse non è del tutto sbagliato. Ma guardare al cattolicesimo che si forma in giro per il mondo mi sembra il sistema migliore per vedere quanto la Chiesa aperta di Francesco riesca a essere viva.

I logo dei viaggi apostolici a Cuba e negli Usa nel 2015
Riccardo, tu hai avuto la sorte di poter seguire papa Francesco in alcuni suoi viaggi intercontinentali come inviato del GR Rai. Tra tutti, come ha vissuto Cuba la visita di un papa che tanto ha fatto per il ristabilimento di normali relazioni diplomatiche con gli USA? È forse questo il viaggio che ti ha toccato di più?
Certamente tra i viaggi che ho potuto fare al seguito del papa, Bergoglio mi ha colpito moltissimo sia nella tappa cubana sia in quella statunitense. A Cuba il Papa avrà invocato la riconciliazione almeno venti volte, anche nella preghiera nel santuario mariano. Non credo sia stato colto appieno il senso del suo appello alla riconciliazione. Ai giovani ha detto di apprezzare il loro ardore, ma li ha anche invitati a non prendere come modello “perfetto” paesi dove la disoccupazione giovanile è al cinquanta per cento o giù di lì. Riconciliazione, riconciliazione, ha ribadito, donando a Fidel i libri del suo insegnante gesuita, padre Llorente, morto in esilio a Miami. Indubbiamente ha dato una prospettiva a Cuba, e lo stesso Raúl Castro lo ha ammesso. Il regime, ansioso di una certa resa dalla visita del Papa, ha voluto che l’altare della grande messa fosse posto sotto la grande effige di Che Guevara. E da lì lui, il latinoamericano Bergoglio, ha detto che si serve l’uomo, non ci si serve di lui.

La messa del papa al Daejeon World Cup Stadium di Seul, 15 agosto 2014
Ma se devo dire quale viaggio mi abbia colpito di più, direi quello in Corea. Lì papa Francesco ha dimostrato l’enorme capacità di comunicare con un popolo così distante, portando in piazza a Seul più persone di quanti siano i cattolici lì residenti. C’era, allora, il caso del traghetto affondato a scuotere i coreani, e in quella società confuciana la protesta dei familiari dei tantissimi giovani morti in quella sciagura aveva ottenuto solo silenzio, da tutti. Anche la Conferenza Episcopale aveva detto poco. Si denunciava che il traghetto aveva avuto un’improvvisa autorizzazione a trasportare tantissime persone senza adeguate verifiche. Si parlava di corruzione. Il papa vide i parenti delle vittime, poi si mise il loro simbolo, un fiocco giallo, sulla tonaca. E il viaggio è diventato un trionfo.

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