Xiky stava solo, rannicchiato nel suo cantuccio mezz’ oscuro, il volto nascosto sotto le braccia, coperto appena da un paio di vecchi slip sdruciti, che chissà quando furono di colore bianco. Era l’unico, quel giorno, a non avere compagnia. Gli altri erano riuniti per gruppi, o almeno in coppia. Se non lo respingevano, sembravano ignorarlo. In piena selva amazzonica, circondata da una natura selvaggia, la maloca degli yanomami appare una primitiva casa di ringhiera, in cui decine di famiglie, per lo più numerose, ma anche giovani sposi e indios single vivono sotto il medesimo tetto di rami e fogliame. Non necessariamente in reciproca simpatia ma sempre con discrezione e condividendo i beni materiali, cibo e utensili d’uso quotidiano. Lo spirito tribale che li unisce è forte. Serve a fronteggiare l’ostilità dell’ambiente.Gli yanomami, al pari di tutte le altre etnie originarie dell’Amazzonia, non sono culturalmente nostri contemporanei. Sono testimoni di tempi che l’homo occidentalis ha dimenticato, affidando alle scienze il compito di tornare a identificarli. Dunque materia di ricercatori specialisti: antropologi, sociologi, archeologi, patologi forensi. I costumi dei popoli autoctoni più antichi presentano tracce dei percorsi seguiti nei millenni dall’intero arco del genere umano. Anche per questo destano il nostro interesse. Questa popolazione tradizionalmente nomade, ignora a tutt’oggi qualsiasi strumento capace di accumulare, dalla conservazione del cibo a qualsiasi altra forma di risparmio; del processo di accumulazione alla base del nostro modello di sviluppo, essi ignorano anche il concetto.
Hanno una memoria consapevole di loro stessi molto ridotta.
A ogni albeggiare, le luci che li spingono fuori della maloca sono per loro come quelle della prima alba sul nostro pianeta. Gli ricordano immediatamente il bisogno imperioso di procurarsi in fretta da mangiare e da bere, di proteggersi dai pericoli che li insidiano ogni momento. Questo stato di necessità costante ha insegnato loro a essere innanzi tutto pratici. Ma a dimostrazione che giunta a una determinata evoluzione la mente umana non ha minor urgenza di nutrirsi, l’immaginario indigeno è tuttavia affollato di valori simbolici capaci di animare un universo parallelo in cui spiriti d’ogni tipo affrontano diversità e avversità non così dissimili dalle nostre. Quasi come se la rigogliosissima biodiversità di piante e animali della selva si estendesse anche agli esseri umani, nell’ aspetto e negli istinti. Ed è qui che le storie divaricate delle nostre civiltà tornano a incrociarsi.Mia moglie, Alicia (che questi indios chiamano napanhoma, donna straniera bianca, ma con toni e sguardi amabili e curiosi) ed io riusciamo a capire infine che Xiky se ne stava rintanato perché non aveva saputo controllare la sua pexi, una forte eccitazione sessuale. La donna con la quale si era accompagnato è sposata, e a sua volta non aveva avuto l’accortezza di provvedersi per tempo dell’ararixapo, l’anticoncezionale, senza il quale è rimasta incinta. Molti dei conciliaboli che abbiamo osservato a distanza nella maloca, trattavano il da farsi.
A spiegarcelo è Florence, una meticcia segaligna che fa la spola tra gli indios e Guglielmo, il sacerdote d’una vicina missione della Consolata. Xiky è stato punito con qualche bastonata dal marito tradito, al quale hanno dato man forte un paio di familiari. Nonostante ciò non ne è risultato un episodio particolarmente cruento. La donna non esclude di abortire. Se invece terrà il figlio, molte famiglie della tribù si sono offerte di adottarlo, un’adozione collettiva. In ogni caso non c’è scandalo.Ne parlano solo in termini concreti: chi, come e quando deve occuparsene concretamente. Non che qui i mariti non siano davvero gelosi. Al contrario, tanto più che tra gli yanomami di Roraima, nel Brasile che confina con il Venezuela, gli uomini sono più numerosi delle donne che perciò hanno maggiore possibilità di scelta. Ma come ricorda Lyotard, la geografia e la storia cambiano semantica e grammatica. E questi indios hanno rinunciato da tempo al machismo primordiale. A tal punto che se dopo qualche tempo dell’unione non appaiono figli, il marito viene tacitamente ritenuto sterile. E la moglie può procurarsi un altro uomo, decidendo poi se mantenere vincoli anche con il primo. Non si tratta di poliandria, ma di certo la poligamia è stata sotterrata. Per spiegarlo (senza sembrarne loro stessi convinti), i maschi si riferiscono con malizia al suwe, che è un modo per nominare la donna soprattutto sotto l’aspetto del suo potere incantatore.
Nell’ intera Amazzonia, i comportamenti sessuali sono notoriamente più eterogenei e con maggiori sfumature che nel resto del Sudamerica. Non mancano storici e antropologi che attribuiscono tale particolarità al più ampio margine di caos primigenio che persiste nella regione in conseguenza della sua assai scarsa accessibilità, sebbene ormai non più assoluta. I territori selvaggi e semi-inesplorati restano giganteschi. Le tribù primitive sono varie decine e sommano molte migliaia di individui. È noto tuttavia, per esempio, che tra i waimiri-atroaris, superbi guerrieri nomadi e combattivi, l’omosessualità è accettata normalmente. Così come le famiglie promiscue. È comune che tanto nel giudizio dei capi tribù chiamati a dirimere vertenze familiari quanto nel senso comune, prevalgano considerazioni fondate sul valore dei legami affettivi ed emozionali.
Isolato dalla modernità, rifugiato precariamente nella penombra della maloca, questo mondo non ancora raggiunto dalle più recenti tecnologie che annullano le distanze e riassumono l’intera vita planetaria nelle immagini riflesse di un touch-screen, mostra invece l’autonomia di una civiltà capace di sostenere un’etica personale e collettiva costruita tanto sui diritti quanto sui doveri. Conosce conflitti, violenze e angosce anche a noi ben noti. Non pretende di sopprimerli né li nasconde, al contrario li nomina e li affronta. Continuamente li riordina. Esalta la vita, senza infatuarsene, con gratitudine e misura. Affronta la morte con semplicità e coerenza. Si contamina progressivamente con frammenti via via più consistenti della nostra opulenza merceologica. Non perde tuttavia i propri caratteri originari, la sua potenza biologica e creativa. Permane come testimonianza di possibile diversità.

Livio Zanotti

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