Quella storia dei ladri che Sciascia non potè leggere

GIORGIO FRASCA POLARA
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Il permanente e anzi sempre più invadente clima di corruzioni, di tangenti, di evasioni fiscali m’intriga a raccontare di una singolare iniziativa di Guido Carli, governatore della Banca d’Italia negli Anni Sessanta. Voleva essere, il suo gesto, un chiaro monito, e si tradusse comunque in un atto di significativa preveggenza. Per comprendere la portata dell’iniziativa di Carli (abbiate pazienza, e nutrite curiosità, tra un paio di capoversi spiegherò tutto) è necessario tuttavia fare un lungo passo indietro, esattamente di un secolo e mezzo, anzi di più.

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Perché nel 1869, con un aggiornamento tre anni dopo a Unità d’Italia compiuta, Felice Borri, “libraio-editore in Torino”, diede alle stampe una Storia Dei Ladri Nel Regno D’Italia. Anonimo l’autore, che di certo avea a gran dispitto non solo i Savoia ma anche Garibaldi, e che rimpiangeva non solo il granducato di Toscana ma persino i Borboni. Insomma, avete capito: il libro – anzi il libello, come dissero inorriditi nei palazzi del nuovo potere sabaudo – citava “fatti, cifre, documenti” del ladrocinii e delle corruzioni del tempo in cui si faceva l’Italia o s’era appena fatta.

Nelle centosettantasei pagina del libro, non c’era che da scegliere tra “l’uso fraudolento di biglietti di ferrovia appartenenti a deputati”, e “il processo alla Camera contro l’ex ministro Bastogi” (poi destituito anche da deputato per lo scandalo delle Ferrovie Meridionali, ndr), tra “i manchi di cassa ammessi dal ministro delle Finanze Quintino Sella” e persino “il furto della bandiera nazionale in Torino, nel palazzo del Re”, e via elencando minuziosamente furti e nequizie d’ogni genere: corruzioni e concussioni, tangenti o “commissioni”, come le avrebbe ipocritamente definite tanto più tardi un cavaliere fortunatamente disarcionato.

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Guido Carli

Bene. Un secolo dopo, nell’inverno del 1966, il governatore di Bankitalia ripesca questa “Storia” e ne fa fare, alla vigilia di Natale, una riproduzione anastatica in cinquanta copie. Perché la ristampa? Perché Guido Carli aveva con tutta evidenza cognizione diretta di altre e più recenti ruberìe. E allora l’iniziativa suggerisce altri interrogativi: chi erano i destinatari dell’insolito dono? e perché proprio cinquanta destinatari? Probabilmente l’elenco dei beneficiati (o perfidamente intimiditi) salterà fuori solo in una ancora lontana stagione di questo nuovo millennio, se e quando le carte dell’Istituto di emissione saranno acquisite dall’Archivio di Stato. Ammesso pure che la spedizione sia stata registrata.

Fatto sta che una delle cinquanta copie, esattamente quella che reca il numero diciotto, viene ritrovata intatta su una bancarella in piazza Fontanella Borghese – un topos per il bibliofili romani – da Giovanni Ventucci, altro libraio-editore, ma stavolta a Genzano, sui Castelli. E, zàcchete, nel 1993 Ventucci ri-stampa l’anastatica fatta fare da Guido Carli “non potendo prestare, ai tanti che ne fanno richiesta al banco della mia libreria, la sua unica e forse sola copia rimasta”.

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Piazza Fontanella Borghese, Roma

Ora attenzione alle date. Carli commissiona le sue cinquanta copie nel ’66, in epoca di grandi ruberie e di scandali clamorosi. Per esempio proprio nel luglio di quell’anno era esploso quello della enorme frana di Agrigento, città massacrata dai costruttori ammanigliati con uno dei peggiori gruppi di potere della Dc, con la magistratura, con tutti gli altri centri di potere non solo locali. Il governatore aveva insomma prove o sospetti gravi e motivati. E Ventucci lo imita quasi trent’anni dopo – con un naso per gli affari pari a quello del suo antico collega torinese – quando il turbine di Tangentopoli è appena esploso, e quasi a dire: nulla di nuovo sotto il cielo d’Italia. E tutto e di più sarà alle viste, da allora e sino a oggi.

P.S. Mi resta un rammarico: che questa storia non sia stata conosciuta per tempo da Leonardo Sciascia. Pensate che cosa non avrebbe potuto raccontarci/inventarci/ricamarci sopra il volterriano scrittore siciliano troppo presto scomparso, su quella diciottesima copia della “Storia dei ladri”. Copia di cui l’anonimo destinatario si era voluto frettolosamente disfare…

Quella storia dei ladri che Sciascia non potè leggere ultima modifica: 2016-02-09T12:53:47+01:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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