
Rabindranath Tagore (1861 – 1941)
Scrive il poeta indiano Tagore: “Sulle spiagge di mondi senza fine i bambini s’incontrano. Il cielo infinito è fermo sui loro capi, l’acqua senza quiete è turbolenta. Sulle spiagge di mondi senza fine i bambini s’incontrano gridando e danzando”.
Questi versi piacevano molto a Donald Winnicott, uno dei più importanti psicoanalisti infantili del secolo scorso, autore di un libro straordinario sul gioco e sul rapporto tra gioco e realtà. Questi versi li riprendo oggi dopo l’ennesima violenza in un asilo nido, quello del CEP di Pisa. L’ennesima, sì, perché, la mente è corsa subito al famigerato Cip e Ciop di Pistoia, ma corre anche ad altri episodi di violenza da lager verso gli inermi come sono i bambini, ma anche i disabili e gli anziani.
Come possiamo con arroganza dare lezione di civiltà ad altri paesi e ad altre cultura, mi è difficile immaginare, quando lo spettro del lager che determinò la ferocia dei nazisti su ebrei, comunisti e zingari, continua ad aggirarsi nei luoghi chiusi in cui teniamo con apparenti scopi educativi o di assistenza coloro che dovrebbero essere protetti dalla giungla sociale, il mondo del fuori, quello del lavoro, del commercio, della concorrenza, del successo, della sconfitta, delle auto, delle moto, delle strade, delle strisce pedonali, in una parola, nel mondo vorticoso che accompagna la nostra vita quotidiana, fatta di un continuo, ansioso riempimento di vuoti che chiamiamo pause. Pausa pranzo, pausa caffè. Forse arriveremo alla pausa amore.
Lo stesso tempo libero è diventato una pausa che, man mano che siamo diventati mediamente più ricchi, si è sempre più allungata, ma appunto come un insonne vuoto, colmato forse illusoriamente da alcool e da droghe piuttosto che come un pieno da vivere. Quel che ci dice Tagore è un’altra cosa. È il tempo libero dei bambini che giocano, un tempo che non è pausa, ma vita che si distende nell’infinità di mondi tra il mare e il cielo. È questo il tempo dell’apprendere perché il vero apprendere sta nella capacità di entrare e di uscire dai mondi, nella fantasia di immaginarne nuovi, nella felicità di stare insieme e condividerli. Bruciare tutto questo nei bambini è vera violenza. E lo si brucia non soltanto con le sberle e gli schiaffi, ma anche con le parole dure e le minacce. Parole che entrano nella testa dei bambini, la maggior parte dei quali non parlano per paura, una paura che si porteranno dentro e che è uno degli effetti peggiore di questa violenza.
Arriveranno videocamere e cose simili, ma il punto è la distruzione del rapporto di fiducia tra genitori, bambini e insegnanti, che a causa di questi episodi, rischia di diventare una relazione di controllo e di diffidenza. La violenza delle maestre non ha giustificazione alcuna. Il danno che produce ai bambini è incalcolabile. Qui non si tratta di invocare come attenuante il disagio del modo di lavorare degli insegnanti. Un marito ubriaco che picchia la moglie non ha diritto di giustificarsi con il fatto che è disoccupato o depresso. Se è la moglie a giustificarlo, vuol dire che è ancora di più vittima di violenza. La stessa cosa vale per i bambini, la cui violenza peggiore è il fatto che la introiettano e la portano con sé come se fosse una loro colpa
I bambini non devono subire tutto questo. I bambini devono giocare. La poesia di Tagore continua così: “Costruiscono castelli di sabbia e giocano con conchiglie vuote. Con foglie secche fanno delle barche e con un sorriso le fanno galleggiare sul vasto mare profondo. I bambini giocano sulle spiagge dei mondi”. È questa capacità infantile di saper trasformare con la fantasia delle foglie secche in barche ad annunciare il lato meraviglioso della nostra esistenza in quanto umani. Ogni volta che la umiliamo, commettiamo un crimine.
da IL TIRRENO

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