Nella vicenda ingarbugliata e deprecabile al senato delle unioni civili e delle adozioni, ancora una volta ci si è sorpresi che il movimento 5 stelle abbia spiazzato tutti, contraddicendo se stesso e la parola data. Poteva fare diversamente?
Fondato il 4 ottobre 2009, ma il primo meetup fu nel 2005, il movimento di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio continua a stupire e a sorprendere solo chi – e sono in tanti però e dopo tanti anni ormai – si ostina a volerlo osservare, considerare, trattare non per quello che è ma come una forza che, sotto lo scorza antipolitica, è come le altre, è attiva e reattiva come le altre. Dietro la “stranezza” esteriore si vuole insomma vedere a ogni costo la logica che governa qualsiasi altra organizzazione politica.
Non lo è mai stata, non lo è, non lo sarà, come le altre, non ha mai inteso esserlo una forza come le altre. Soprattutto non può esserlo.
In realtà, però, l’M5S segue l’unica legge logica che qualsiasi forza politica sotto ogni latitudine – non importa se tradizionale, nuova o inedita – è tenuta a osservare, se vuole stare a galla e possibilmente navigare, la legge che impone di ascoltare e dar retta alla propria base elettorale (ancor più che alla propria base militante).
Grillo e Casaleggio hanno acutissima questa sensibilità. Sanno di dover dare conto a un elettorato molto variegato, che non è di sinistra né di centrosinistra (e qui casca l’asino di turno che guida il Pd) né è progressista, e neppure rivoluzionario. Certo, ci sono anche queste componenti nell’elettorato e nella militanza pentastellare, ma non sono le uniche e neppure forse quelle prevalenti, sicuramente non lo sono in tutti i territori. Esse convivono con segmenti elettorali in uscita dalla destra, dalle destre, settori conservatori, cattolici osservanti, benpensanti. Il collante di un elettorato così variegato è stato e continua a essere non l’antipolitica – un altro stereotipo frettoloso – ma la ripulsa di una politica smaccatamente autoreferenziale, autoassolutoria, le cui componenti vanno a braccetto tra loro, al di là dei proclami di ostilità reciproca, nel comune disegno di preservare lo status quo. Vera o falsa, è la percezione prevalente, non solo tra i grillini.
Finché ci sarà materia che alimenti il sacrosanto disgusto di tanti elettori, il movimento cinque stelle avrà carburante a iosa per andare avanti, procedendo come, però? Procedendo prigioniero di un incantamento che non gli consente scelte di campo nette, in un senso o nell’altro, pena la perdita di pezzi consistenti di elettorato. M5S è anche disposto a perdere pezzi lungo la strada, è inevitabile, ma si sente sempre in grado di pagare questo prezzo, con l’idea che successivamente altri saliranno a bordo compensando le perdite. Anche questa volta?
Il tatticismo è dunque il tratto saliente dei cinque stelle, che infatti si definiscono movimento, anche nel senso di un perpetuo cinetismo.
Si può anche sorridere del candore di Paola Taverna e della sua teoria sul “complotto” ordito ai danni del M5S per fargli vincere le elezioni a Roma. Scremata dalla paranoia, la paura di una sfida reale come il governo della capitale è comprensibile. La prova del governo è ovviamente un impatto con il principio di realtà che un movimento come quello di Grillo e Casaleggio non è in grado di reggere.
Anche il Pci visse a lungo una situazione di impossibilità a entrare nella stanza dei bottoni, non solo per un’interdizione internazionale, che naturalmente pesava, ma anche – secondo me – per ragioni eminentemente soggettive. Identitarie. Forza di governo lo era in tante città e nelle regioni rosse, e governava sostanzialmente come un Partito socialdemocratico, eppure la sua trasformazione, anche nel nome, per farla, il Pci ha atteso che cadesse il Muro. Per necessità, non per scelta. E per questo perdendo pezzi consistenti del suo patrimonio, in tutti i sensi.
Si può ridurre a battute una lunga e complicata vicenda, e anche dolorosa? No, ma è lecito farvi riferimento come precedente – in un contesto storico abissalmente distante anche se vicino – per capire il M5S oggi. Come negli anni della prima repubblica anche c’è una forza di opposizione a cui, dal suo stesso Dna, è impedito di entrare nel centro di comando, pena il suo dissolvimento.
La differenza di contesto, ovviamente, non è solo un fattore di contorno. Nella situazione presente la fluidità è tale e le stesse categorie di destra e sinistra talmente labili e messe in discussione che nessuna delle forze in campo è in grado di determinare i propri confini, come invece era molto chiaro in passato. E sempre per stare nell’ardita analogia tra i grillini di oggi e il Pci di ieri, non si dimentichi che l’inizio della fine del Partito comunista italiano – nella fisionomia disegnata da Togliatti – inizia con le vicende del divorzio e dell’aborto. Anche il Pci evitava battaglie sui diritti, sapendo che sono temi divisivi. Divisivi non solo nel paese e nello stesso Pci (è talmente dentro quella storia questa convinzione che personaggi come Vacca “aprono” al family day e come Napolitano si adoperano per annacquare le misure per l’adozione). Oggi nei calcoli di Grillo e Casaleggio si avverte la stessa preoccupazione.
Tutti i grandi partiti sono mosaici di elettorati con sensibilità diverse. Un leader non può stare in continuo equilibrio tra le diverse anime, capisce dove spinge il vento prevalente, in quale direzione spira e deve scegliere, e deve scegliere nei tempi giusti. Il Pci recuperò con affanno il vento a favore del divorzio e dell’aborto e infatti, nel ricordo successivo di quelle vicende, le sue prime resistenze prevalgono sul grande impegno profuso per far vincere il divorzio e poi l’aborto in Italia.
Sarà interessante vedere ora se il comportamento del M5S produrrà ferite, e di quale entità e conseguenza, nel suo elettorato sensibile a questi temi, ma soprattutto, nell’elettorato mobile che in un periodo di identità deboli e di fastidio per il renzismo potrebbe anche mollare il Pd. Ma certo non lo farà per finire in un partito che dà retta ai retrogradi della Cei che il democristiano Renzi ha sonoramente messo in riga invitando perentoriamente Bagnasco a non interferire nelle decisioni del nostro parlamento sovrano. Chi l’aveva fatto prima di lui?

Guido Moltedo

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2 commenti
Purtroppo nel PD c’è troppa gente che pensa a se stessa come a Rommel, mentre è in realtà molto più simile a Schettino.
Il no al “canguro” del Movimento 5 Stelle non è affatto il no al voto favorevole al testo del disegno di legge così com’è.
Ma la maggioranza non è in grado di affrontare un dibattito parlamentare su una legge così importante, perché la maggioranza di governo su quella legge non c’è.
Il ricorso al “canguro” in tema di diritti civili è un abominio (come lo è stato per l’approvazione dell’Italikum), perché serve solo a impedire che il Parlamento possa fare il Parlamento, il che significa trasformare una Repubblica parlamentare in una specie di dittatura dell’esecutivo, con una rottura di democrazia, che non può essere giustificata dalla convinzione di agire per il meglio.
I 500 emendamenti rimasti non sono certo un numero spropositato e non avrebbero certamente impedito di procedere in tempi accettabili e, soprattutto, non avrebbero messo a rischio l’esito del voto, perché la maggioranza PD (anche al netto delle fronde interne e degli alleati renitenti) e M5S sarebbe stata solidissima.
Il vero problema è che, in un voto analitico, conseguito ad un dibattito democratico, il PD non sarebbe stato in grado di far votare alcuni articoli chiave ai propri parlamentari e, ancor meno, alla propria maggioranza di governo e avrebbe dovuto accettare l’approvazione grazie ai voti del M5S, il quale sarebbe diventato determinante, lasciando al PD la gatta da pelare dei cattolici e prendendosi per sé il merito.
Ciò avrebbe danneggiato la maggioranza e ancor più il PD, rafforzando invece il M5S e rischiando di aprire una crisi.
Un sedicente Rommel, andando ben oltre la storiella zen, ha sognato di sfruttare lo scorpione, per guidarlo a piacimento, senza pagare dazio.
E si è risvegliato rana sullo scoglio del Giglio.
Beh, che adesso tentino di dare la colpa al M5S per gli scivoloni del PD mi pare piuttosto grottesco! I primi a non sapere dove andare sono proprio le molteplici correnti del PD visto che i 5 stelle hanno sempre detto che avrebbero votato la legge, così com’era.
Chi ha partorito tutti gli emendamenti, se non proprio il PD stesso? I piddini son caduti sulla buccia di banana, mi domando perchè non abbiano sfoltito tutti gli emendamenti, visto che i 5 stelle non ne avevano prodotto manco uno. Forse perchè sapevano che molti di questi emendamenti non sarebbero stati votati nemmeno dai piddini stessi? Dunque è più facile e comodo far ricadere la colpa sul M5S, piuttosto che ammettere che la responsabilità del mancato accordo sul testo, nella sua versione integrale, è tutta interna al PD.