Nord-Sud: l’enorme divario non è solo economico e sociale, ma anche infrastrutturale. Non è la scoperta dell’acqua calda: se si mettono a raffronto il piano di investimenti sulla rete elaborato tra ministeri e Ferrovie (la ennesima “cura del ferro”) e il dossier di Legambiente Pendolaria, c’è ancora materia per far rizzare i capelli anche a un calvo.
In breve, gli investimenti sarebbero dell’ordine di nove miliardi destinati (manco a dirlo) anzitutto all’alta velocità ma poi anche a migliorare le tecnologie, a incrementare il traffico alternativo alla gomma, allo sviluppo dei cosiddetti corridoi (Scandinavia-Mediterraneo, Baltico-Adriatico, Reno-Alpi) e relative tratte di accesso.
Se non che, si scopre appunto l’acqua calda: che i maggiori investimenti si concentrano al Centro-Nord, e sin qui niente di male ché lì sono concentrati i maggiori complessi industriali, i più intensi traffici commerciali, i più grandi agglomerati metropolitani, i più massicci trasferimenti di manodopera pendolare. Ma gli interventi programmati per il Mezzogiorno non è che siano relativamente più modesti: no, sono addirittura le briciole, meno di un decimo di quelli previsti nel resto del Paese. (Per non parlare della cifra stanziata per i treni dei pendolari: quattrocento milioni suddivisi tra Roma, Firenze, Milano, Torino e Bologna.)
Di più: la maggior parte – meglio, la quasi totalità – dei chilometri a binario unico sono in quel Sud che per giunta conta ancora il 41 per cento di rete non elettrificata. E di peggio: in alcuni territori sono letteralmente scomparsi i treni, visto che in questi ultimi anni sono stati dismessi ben 1.189 chilometri di linee, quelle che si stanno trasformando in piste per il mountain bike, in sentieri per camminatori e via dicendo. Anche di conseguenza sono i drastici tagli al servizio ferroviario regionale: – 26,4 per cento in Calabria, – 18,9 per cento in Basilicata, – 15,1 per cento in Campania, e persino al Nord, in Liguria, dove Legambiente ha contato un 13,8 per cento in meno di tratte. Per intenderci, i treni regionali che circolano tra Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna sono complessivamente meno di quelli della sola Lombardia (1.738 contro 2.300), e i convogli sono più vecchi al Sud che al Nord (20,4 anni di media contro 16,6) e naturalmente più lenti per mancanza spesso del doppio binario e della elettrificazione delle linee.
Capitolo a parte, e ancora più preoccupante è quello dell’alta velocità, il settore più redditizio tanto per Ferrovie quanto per Italo. La situazione a oggi: c’è l’asse Milano-Bologna-Firenze-Roma (+ 370 per cento in otto anni, contro un calo del 22,7 degli intercity e dei treni a lunga percorrenza) con due appendici: a Torino e a Napoli. Attivi i collegamenti Milano-Treviglio e Padova-Mestre. In più circa trecento chilometri di nuove linee risultano in fieri: la Milano-Verona-Venezia e il terzo valico tra Milano e Genova, in costruzione tra Treviglio e Brescia, e tra Genova e Tortona. Daccapo: e il Sud? Allo stato non si hanno notizie certe sull’avvio dei cantieri nella mitica tratta Napoli-Foggia-Bari, e ancor meno sull’apertura di due cantieri-chiave: la Salerno-Gioia Tauro-Reggio Calabria, e la Palermo-Catania-Messina (quest’ultima, almeno sul versante tirrenico, quasi tutta a binario unico).
Eppure un sistema ferroviario più equilibrato potrebbe essere una risorsa preziosa per tutto il Paese, non solo sul piano strettamente economico…

Giorgio Frasca Polara

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