“Le cose”, la nostra storia. A proposito de “L’orologio di Orfeo”

Nel libro di Simon Goodman sono raccontate le straordinarie e terribili vicende della famiglia Gutmann (questo il cognome originario dell’autore), fino a quando ai due fratelli Goodman, in California, non arrivò una gran quantità di scatoloni...
FRANCA SEMI
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Eugen Gutmann (fondatore della Dresdner Bank), seduto al centro, con la sua famiglia nel 1913, prima che i tragici eventi del nazionalsocialismo sconvolgessero le loro vite.

Un’amica, piccola collezionista, mi ha fatto vedere con entusiasmo la sua raccolta di cose varie: dipinti, disegni, sculture, e curiosità di vario tipo. Era entusiasta di poter far vedere a qualcuno quanto aveva raccolto in diversi anni, assieme a suo marito. Non era in verità una gran collezione: un po’ disordinata, senza un ordine preciso e, direi, improvvisata da persone che amavano circondarsi da oggetti più o meno belli, trovati qua e là.

Però quello che mi colpì era la storia che per ognuno di essi lei mi raccontava, con grande affetto per la sua raccolta.

Avevo già letto un grande libro, a mio parere, di Edmund de Waal, Un’eredità di avorio e d’ambra, e la storia di una grande famiglia ebrea, originaria di Odessa, con tutte le vicissitudini vissute dalla famiglia da Odessa, appunto, a Vienna, Parigi e Tokyo fino a ritrovare una bella collezione di netsuke, attraverso la quale de Waal, discendente della grande famiglia ricostruì la sua storia passata.

Quel libro mi aprì un mondo: non tanto di memorie, e di note storie terribili di persecuzioni naziste, quanto di affetti, del valore delle “cose” per la nostra memoria.

Al seguito di una interessante recensione, mi sono poi incuriosita ad un altro libro, che sembrava raccontare con grande passione, ricordo ed affetto del valore delle “cose” scomparse (e parzialmente ritrovate).

Si tratta di L’orologio di Orfeo, di Simon Goodman (Mondadori Electa 2015).

Devo dire che questo libro mi ha affascinato quanto il primo: del quale in verità non ho letto molte recensioni, ma che ha avuto molte edizioni con un curioso “passa parola”.

Attraverso il cinquecentesco Orologio di Orfeo, che dà il titolo a questo libro, sono raccontate le straordinarie e terribili vicende della famiglia Gutmann (questo il cognome originario dell’autore), fino a quando ai due fratelli Goodman, in California, non arrivò una gran quantità di scatoloni. Arrivavano, cosa di per sé particolare, dalla Germania e contenevano una enorme quantità di carte, documenti, diari raccolti dal padre che non aveva mai voluto condividere con i figli le sue vicende e le sue ricerche nascoste del patrimonio di famiglia.

Così Simon Goodman ci racconta questa storia di famiglia, da lui scoperta attraverso quelle carte, che scorre dal primo al secondo dopoguerra, proseguendo fino al 2010.

Di eccezionale la famiglia ha molti fatti: frequentavano nel primo dopoguerra e nella loro casa la famiglia reale tedesca, olandese e irachena, egiziana, afghana attraverso le relazioni stabilite dalla banca da loro fondata, la Dresdner Bank, all’epoca più importante della Deutsche Bank.

Attraverso quegli scatoloni e a quelle vecchie carte Goodman verrà a sapere che i Gutmann erano tra le più potenti famiglie di banchieri della Germania e che raccolsero nel tempo una magnifica collezione d’arte, che annoverava opere di Degas, Renoir, Botticelli, Guardi, Bosch, Signorelli, Veronese e diversi altri, soprattutto grandi maestri tedeschi. Ed anche una straordinaria collezione di argenti – della quale faceva parte un pezzo unico nel suo genere, un orologio d’oro rubato da Göring, l’orologio di Orfeo – che fu causa della scomparsa dei suoi nonni Gutmann (la cui famiglia è ebrea) morti in un campo di concentramento.

Questa è l’unica cosa che Simon Goodman sa di loro fino a quando suo padre muore e scopre, studiando le carte, come il regime nazista tolse tutto (compresa la vita) alla sua famiglia.

Raccoglierà indizi chiari sull’eredità trafugata e soprattutto sulla macchina infernale pensata e messa in atto dai nazisti. Scoprirà come gran parte della collezione finì nelle mani di Hitler e Göring, ma anche come diverse opere furono portate in Svizzera per essere vendute a collezionisti o a mercanti; di come molte finirono in importanti musei e come altre vennero recuperate dalle forze alleate (speciale persona, con i Monuments Men, è da ricordare Rose Valland) poi nuovamente rubate in modo apparentemente “pulito”.

Così come non è da ricordare come un “furto pulito” le tasse che il governo dei Paesi Bassi, nel dopoguerra – anni cinquanta – chiese ai Goodman (che perciò dovettero vendere) per la grande residenza di Bosbeek, ad ovest di Amsterdam, per gli anni dell’occupazione nazista del Paese, periodo nel quale i proprietari Gutmann morirono in un campo di concentramento ?

Rispetto ai de Wall (storia tremenda anch’essa) la vicenda dei Gutmann mi ha colpito perché, sebbene ebrei si tratta di “tedeschi, tedeschi”, nati e cresciuti da generazioni in Germania, Paese che contribuirono a costruire alla grande. E rispetto ai de Wall colpisce la lettura di Simon Goodman anche la tenacia nella ricerca di affetti legati alla storia della famiglia, al di là del valore venale degli oggetti.

Difficile paragonare “la mia amica piccola collezionista” a questi grandi collezionisti, ma non ho potuto fare a meno di considerare quanto le cose possono raccontare di noi, della nostra storia e soprattutto dei nostri affetti.

“Le cose”, la nostra storia. A proposito de “L’orologio di Orfeo” ultima modifica: 2016-03-04T12:27:23+01:00 da FRANCA SEMI
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1 commento

ytali 4 Marzo 2016 a 12:51

Mi fai venire in mente questa poesia, secondo me fantastica, di Jorge Luis Borges, Le cose

Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchiera,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.

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