A che punto è la nostra democrazia? È una democrazia? E se lo è, che cosa è diventata? Di sicuro non è più quella di una volta. Soprattutto sono mutati i partiti e il loro ruolo; è mutata la politica, che sempre più si avvicina all’amministrazione del potere e sempre meno alla progettualità.
Perché stupirsi che il PD, compromesso dopo compromesso, fiducia dopo fiducia, accetta di voti di Verdini? Qualcuno ha più visto i confini oltre i quali la sinistra non è più sinistra? In un tempo lontano, Socrate chiese a Trasimaco di dargli una definizione di giustizia, e quest’ultimo la definì in questo modo: “la giustizia è l’utile del più forte”. Socrate, nonostante la sua grande ironia e la sua superiorità dialettica, non riuscì a controbattere. Questa storia la racconto da anni nelle scuole, perché sembra parlare di noi qui e ora. Una definizione come quella di Trasimaco si attaglia ad ogni forma di sistema politico, a cominciare da quello democratico.
Se la maggioranza è più forte, fa il suo utile e il suo vantaggio. Ma allora la domanda è: se questo è lo scopo della maggioranza, con quali mezzi e come si può ottenere una maggioranza? Socrate e Trasimaco parlano di giustizia e il punto è proprio questo: il rapporto tra politica e giustizia. In una democrazia che voglia essere degna di questo nome e dunque capace di collegare la politica con la giustizia, le maggioranze dovrebbero formarsi tra eguali, ma noi stiamo vivendo nella diseguaglianza più profonda fra ricchi e poveri, fra donne e uomini, perfino tra corrotti e giusti.
- Trasimaco
- Socrate
In un contesto quale è quello attuale del nostro paese, una definizione realistica come quella di Trasimaco secondo cui “la giustizia è l’utile del più forte” porta a pensare che la giustizia sia la cosa più ingiusta del mondo, dato che si basa sull’utile, sulla forza e sul consenso. Ma, si obietterà, se vi è consenso e se il consenso è maggioritario, vi è democrazia. Non è così perché sappiamo che il consenso, senza regole e senza principi, senza garanzie e senza limiti, non porta alla democrazia ma al totalitarismo e al dispotismo.
Al di là di un’immagine di comodo, i totalitarismi e i dispotismi si sono alimentati e si alimentano del consenso. Non siamo in un’epoca di totalitarismo o di dispotismo, ma dobbiamo chiederci quanto sia cambiata negli ultimi anni una democrazia in cui è mutata la natura della politica e dei partiti e dove ci porterà. Intanto nel nostro paese la corruzione dilaga, l’economia ristagna, il divario tra Nord e Sud è diventato ormai un abisso. Il capo del governo si inventa un fantomatico centro di ricerca privato dove mettere un sacco di soldi, mentre la ricerca pubblica, che ha ancora grandi eccellenze, affonda nella miseria, quando tutti sanno nel mondo che investire davvero nella ricerca e nella conoscenza significa progettare il nostro futuro anche economicamente.
Stiamo vivendo il presente per il presente come drogati, affondando lentamente ma inesorabilmente, mentre ci illudiamo che la prossima dose ci darà un po’ di sollievo e di piacere. Senza quella che Gramsci chiamava una riforma morale e intellettuale, difficilmente ce la caveremo. Forse non ci saranno catastrofi, ma si andrà avanti alla peggio con Trasimaco che la vince su Socrate, realizzando una cosa ingiusta, cioè l’utile del più forte, che si traduce nella ricerca del consenso senza principi, ma per interessi.
Ci troveremo, come ci troviamo, in una democrazia dove, invece di tenere ferme le idee, maggioranze fluttuanti ad ogni occasione faranno sì che la politica applicherà quel metodo in cui siamo campioni da sempre e che è noto come trasformismo. Del resto, nihil novi sub sole, niente di nuovo sotto il sole. E qui sta proprio l’amarezza senza ironia della nostra realtà attuale.

Prof. Alfonso Maurizio Iacono Dipartimento di Civiltà e Forme del sapere, Università di Pisa
da IL TIRRENO

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