Servirà, e se, quando, la “provocazione” lanciata da italiadecide – l’associazione per la qualità delle politiche pubbliche presieduta da Luciano Violante – con la presentazione [alla camera dei deputati, 21 marzo], del suo Rapporto 2016 dedicato quest’anno all’innovazione e la crescita intelligente?
C’è un punto-chiave tra le otto proposte formulate in chiusura del dossier: l’istituzione di un ministero dedicato all’innovazione e alla promozione della società digitale con una forte proiezione verso l’esterno (attraverso l’attivazione di una sede permanente di consultazione degli attori sociali e dei portatori di interesse, sul modello tedesco); e la parallela istituzione di una Commissione parlamentare con competenza sullo sviluppo della società digitale e per la verifica dell’attuazione delle norme varate, per esempio il monitoraggio permanente dell’attuazione del Codice dell’amministrazione digitale.
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Attenzione, ora. Il tema è la digitalizzazione, una delle grandi frontiere per la modernità e la competizione. Cruciale è la definizione dei compiti dello Stato, che devono essere svolti in modo flessibile, come esigono i caratteri della materia trattata. Né la digitalizzazione, per essere efficace, può fermarsi alla pubblica amministrazione ma deve investire anche il mondo produttivo, la scuola, l’intera società: deve essere totale (e questo, come vedremo subito, è il corollario del punto-chiave appena accennato). Una digitalizzazione parziale accrescerebbe l’incertezza e la confusione, ma soprattutto i costi. Vero è che l’Italia parte in pauroso ritardo, ma da questo ritardo potrebbe trarre vantaggio, evitando di cadere negli errori che hanno caratterizzato gli inizi della digitalizzazione in altri paesi e facendo tesoro delle migliori realizzazioni.
A sentire il polso dei tanti – dal presidente della Repubblica, ai ministri e commis d’état, ai parlamentari, ai tecnici – che affollavano la Sala della Regina della Camera dove il Rapporto è stato illustrato, c’è un grande consenso intorno a questa e alle altre tesi: riformare la tutela della privacy e della cyber security; legare il tema delle rete in fibra ottica con quello del mobile e delle frequenze; formare nella pubblica amministrazione nuove figure professionali sulle aree della gestione avanzata e sull’impiego delle opportunità digitali; sbloccare le procedure, oggi incagliate, del decreto legge “Crescita 2.0”; valorizzare il tema digitale nell’attuazione delle nuove norme sull’alternanza scuola-lavoro; regolare in modo esplicito i criteri di autenticazione all’accesso dei servizi on-line al cittadini. Già, e lo stesso polso s’è avvertito nell’informazione: a parlare del Rapporto sono stati tutti i tg, un centinaio di lanci d’agenzie, tutti i giornali, i siti on line, gli specializzati.
Il punto è un altro: quanto durerà quest’interesse così diffuso soprattutto intorno alla consapevolezza dei nostri ritardi e degli strumenti per superarli? Chi, come, quando raccoglierà quella che ho (impropriamente?) chiamato una provocazione? Chi, intanto, per costituire un ministero ad hoc, sarà disposto a cedere ad esso una parte non irrilevante del proprio potere (pardon: delle proprie competenze)? E dal canto suo la Camera (la cui presidente Boldrini ha accolto calorosamente la proposta della costituzione di un’apposita commissione sul digitale) quanto tempo metterà a concretare l’idea del Rapporto? E i ministeri dell’Istruzione e del Lavoro a valorizzare il tema digitale nel processo, oggi così zoppicante, di alternanza scuola-lavoro? Gli interrogativi potrebbero continuare a lungo. Ma oggi deve prevalere non dico l’ottimismo, ma la consapevolezza che non si può sfuggire alla necessità e all’urgenza di metter mano alle proposte o quanto meno alle idee che esso propone.
A proposito del Rapporto, ancora un’osservazione, non più di merito ma ora di metodo. Quanti sono gli organismi autonomi di ricerca capaci, come italiadecide, di stendere, anno per anno, un programma di così vasto respiro, ogni volta su un diverso aspetto della realtà del Paese? C’è da riflettere, appunto, sul metodo di lavoro che produce questi studi. Si comincia già alla conclusione del dossier precedente con una conferenza di impostazione tematica che fissa anche le relazioni: vi partecipano una cinquantina tra ordinari universitari delle discipline più chiamate in causa, presidenti o alti dirigenti di Istat, Authority, enti pubblici e imprese private, funzionari ministeriali, giuristi, analisti, giornalisti.
Il percorso è tracciato. Poi gli incontri di approfondimento dei vari temi in alcuni workshop: incontri a cui hanno partecipato un’altra ventina di specialisti (docenti universitari, ricercatori, dirigenti ministeriali, tecnici). Infine ad un gruppo di lavoro, guidato dal direttore scientifico di italiadecide e costituito da una decina di personalità scientifiche è affidato il compito dell’elaborazione delle tesi e del coordinamento del Rapporto. Insomma, una “massa critica” straordinaria che si mette a disposizione come intellettuale collettivo. Nell’interesse esclusivo del Paese. Lasciamo cadere questo sforzo enorme?

Giorgio Frasca Polara

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