Porto Marghera, il futuro che gli è negato

ROBERTO D’AGOSTINO
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Pare che sia in pericolo il passaggio al Comune e alla Regione dei 107 ettari di ENI a Porto Marghera e dei 38 milioni di euro per le bonifiche. Si legge sui giornali che il preliminare, già prorogato, che regola il passaggio di proprietà scade l’11 aprile e né Comune né Regione stanno procedendo a perfezionarlo.

Sarebbe una cosa molto grave perché si perderebbe un’occasione unica di rilancio della zona industriale di cui si parla da anni, purtroppo molto a sproposito visto che alle affermazioni non seguono né idee né, tantomeno, fatti.

L’occasione che si perde non è tuttavia quella che è stata finora dichiarata dalle amministrazioni Comunale e Regionale, vale a dire di acquisire le aree, bonificarle e venderle.
Questa procedura è destinata a un fallimento certo: chi verrebbe, oggi come oggi, a comprare aree a Porto Marghera, per quanto bonificate, e a impiantare fantomatiche aziende? Ovviamente nessuno, anche se fossero vendute al di sotto dei valori di mercato, come è stato detto, danneggiando il patrimonio collettivo.

Per avviare un progetto di reindustrializzazione capace di incidere sugli assetti complessivi di Porto Marghera occorre che la società costituita per gestire quelle aree diventi una vera e propria società di sviluppo con un programma e un progetto di successo e di valore strategico. Vale a dire impostando una nuova politica produttiva per Porto Marghera.

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Il parco scientifico tecnologico VEGA

All’interno del complesso VEGA, realizzato al posto di strutture abbandonate e inquinate che ospitavano impianti di fertilizzanti, lavorano circa duemila persone non perché quelle aree sono state rese disponibili al mercato, ma perché c’era l’idea di un certo tipo di riconversione desiderata e un progetto conseguente: la realizzazione di un Parco Scientifico, che, sia pure tra molte difficoltà e contraddizioni, ha avuto successo. E perché sono state messe in campo delle procedure – dalle forme societarie, alle linee di finanziamento, alle procedure urbanistiche – adeguate agli obiettivi che si volevano raggiungere.

Anche per i centodieci ettari che potrebbero essere acquisiti non si tratta di cercare compratori attraverso una efficace politica di marketing, ma di utilizzare questa opportunità per proporre un nuovo progetto corrispondente alle necessità attuali e dunque capace di avere successo.

Questo progetto esiste nelle cose: la realizzazione di un parco industriale esclusivamente dedicato alla green economy.
In Veneto vi è la ricchezza scientifico/culturale e imprenditoriale che può costituire l’indispensabile back ground di un progetto di questo tipo. Non solo. Venezia, che nella sua storia ha saputo mirabilmente tenere insieme la salvaguardia dell’ambiente naturale (da cui dipendevano la vita e le fortune della città) con la crescita urbana e l’antropizzazione dei suoi luoghi di fondazione, oggi e per il futuro può aspirare a riprendere la leadership nella conservazione creativa degli equilibri ambientali. Può costituire un fattore irresistibile di richiamo per chi vuole operare in questo campo, ponendosi al centro di grandi progetti europei ed internazionali e facendo diventare l’ambiente il motore nuovo delle politiche urbane e il principale fattore innovativo di sviluppo della città.

Un progetto di questo genere, oltre alla forza attrattiva rappresentato dai luoghi e dal brand veneziano che lo dovrebbe caratterizzare, deve mettere in campo ogni provvedimento utile ad offrire le migliori condizioni di insediamento alle imprese.
Concretamente: il nuovo parco industriale deve essere concepito come un grande incubatore dove le imprese hanno dei vantaggi anche economici ad iniziare la propria attività. Pertanto le aree non vanno vendute, ma date in concessione gratuita, per un congruo periodo di tempo; debbono essere aboliti o sospesi gli oneri urbanistici e edilizi; debbono essere introdotti vantaggi finanziari, eventualmente attraverso la società di sviluppo regionale, e così via. Dal punto di vista della governance, occorre un soggetto unico capace di decidere chi può insediarsi (e chi nel tempo dovrà essere sostituito), di rilasciare in tempo reale tutte le autorizzazioni necessarie, di gestire la formazione del nuovo insediamento e di realizzare tutte le opere generali necessarie (dalle reti, alle infrastrutture ai servizi e gli spazi verdi), di promuovere una adeguata politica di marketing in cui il prodotto “green” viene legato al luogo – Venezia – dove si produce.

Si tratta di un progetto complesso che non sembra essere nell’orizzonte e probabilmente nelle capacità del sistema di governo veneto e veneziano: ed è forse per queso che stiamo per perdere l’occasione di acquisire i 107 ettari dall’ENI.

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Roberto D’Agostino

Porto Marghera, il futuro che gli è negato ultima modifica: 2016-04-10T16:57:46+02:00 da ROBERTO D’AGOSTINO
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