Un nuovo Fantasma si aggira per l’Europa. Non ha un aspetto minaccioso né suscita paure, non costringe ma vorrebbe persuadere, non promette ma lusinga, però già mostra una caratteristica che fa tremare: racconta palle spaventose.
Sospetti del genere, diciamocelo, erano affiorati già in passato, però una serie di eventi che ci sono messi in fila negli ultimi giorni sembrano dimostrare che quel fantasma ha preso forza e ormai si aggira indisturbato fra i nostri media, detta legge, immagina costruzioni che riesce a contrabbandare per frammenti di realtà, e soprattutto non c’è nessuno che possa scacciarlo, dunque la situazione diventa sempre più seria, quasi tragica, poiché se andremo avanti così di quel famoso feticcio che si chiamava informazione resterà, appunto, soltanto un simulacro. E, cosa ancora più desolante, ormai quella della propaganda sembra essere diventata la sola arma a cui i diversi poteri sono in grado di ricorrere.
Prendiamo un Paese di sui ormai si parla solo marginalmente, ovvero la Serbia, e partiamo da quel che sta accadendo a Belgrado, poi passeremo ad Ankara, Tirana e ci fermeremo a Londra. Allora, domenica 24 aprile al centro dei Balcani si svolgono ancora una volta elezioni politiche: sono “eccezionali” perché il primo ministro Aleksandar Vučić non era soddisfatto di guidare il Paese con la maggioranza assoluta (53 per cento),ma irritato per i fischi ricevuti in un palasport, voleva ancora di più per poter guidare il suo Paese verso l’Europa senza il minimo dissenso.
Immagini di Aleksandar Vučić dal suo account twitter @avucic
Risultato: perde la maggioranza (adesso è al 47 per cento) e inoltre permette il ritorno in Parlamento dei radicali anti-occidentali e nazionalisti di Vojislav Šešelj, che diventano il secondo partito del Paese, e quasi dei conservatori del DSS, questione di un voto. Questo si può considerare un successo?
Qualsiasi persona dotata di raziocinio direbbe che inseguendo la sua smania di potere Vučić ha finito con tagliarsi l’erba da sotto i piedi, ma la versione della storia che appare sui media internazionali è del tutto opposta: “In Serbia vincono i filo europei”, titola Reuters, tutti i quotidiani le vanno dietro e fine della storia.
Adesso a Belgrado stanno succedendo cose che neanche ai tempi di Milošević: il DSS in coalizione con Dveri ha toccato il cinque per cento che gli consentirebbe di entrare in Parlamento ma la conta dei pochi voti raggranellati fra i serbi del Kosovo può far diventare quella percentuale un 4,9, tenendolo ancora fuori. Tutte le opposizioni hanno gridato ai brogli chiedendo il riconteggio dei voti, in Kosovo si sono seggi con duecento iscritti nei quali risulta abbiamo votato in mille, le destre già minacciano proteste di piazza. E cosa sa di tutto questo il pubblico occidentale? Che in Serbia avrebbero vinto i “filo europei”.
Spostiamoci un po’ più a Sud, in un Paese che è più difficile trascurare: la Turchia da circa un mese ha cominciato a frenare l’afflusso dei profughi e aspetta dall’Unione europea la prima “tranche” dei tre miliardi promessi per quest’anno, però il primo ministro Davutoğlu ha già rammentato a Bruxelles un altro importante impegno: la libera circolazione in Europa dei cittadini turchi. Ankara si aspetta una decisione entro giugno, la UE risponde che prima bisognerà soddisfare “alcuni requisiti”: insomma, si sta giocano con un ordigno esplosivo che rischia di deflagrare presto riaprendo le porte all’ondata dei migranti.
- Ahmet_Davutoğlu con il leader di Hamas Khaled Mashaal in Doha
- Ahmet Davutoğlu con Angela Merkel nella sua recente visita in Turchia
Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno già fatto sapere che non hanno alcuna intenzione di aprire le porte ai sudditi di Erdoğan, specie in tempi come questi, e come se non bastasse pochi giorni fa la signora Theresa May, che è ministro dell’Interno e una delle figure di maggior spicco del Partito conservatore britannico, se n’è uscita in una dichiarazione che taglia la testa al toro: “Non vediamo alcuna ragione per cui l’Unione dovrebbe allargarsi ancora includendo Paesi come Albania, Serbia e Turchia che sono affetti da gravi problemi”, ha detto. Qualche tempo fa la signora aveva dato un sofferto assenso al progetto di mantenere la Gran Bretagna nell’Unione, anche se l’accordo che prevede una certa indipendenza per Londra a suo giudizio “è ben lungi dall’essere perfetto e va considerato come parte di un progetto di cambiamento”. Comunque la posizione è inglese come sempre è pragmatica e chiara: niente Serbia, Albania o altri oppure avrete la “Brexit”.

“Albania, Macedonia, Montenegro, Serbia e Turchia stanno per entrare nella UE. Davvero”. Da un poster per il sì al referendum Brexit
C’è bisogno d’altro?
In una situazione del genere l’unica soluzione che si sia riusciti a concepire è far ancora ricorso al Fantasma contapalle, ed ecco che della visita di Davutoğlu ai supremi reggitori delle sorti europee anziché come un mezzo ultimatum viene fatta passare come “momento di intesa e collaborazione”. In Serbia l’imbarazzo è tale che la proclamazione ufficiale dei risultati elettorali è stata rinviata alla settimana prossima, le opposizioni minacciano proteste di piazza e la situazione torna a ribollire in modo pericoloso. Se poi volessimo dare una rapida occhiata alla situazione albanese, il tremore non può che accentuarsi: tutti i rapporti delle organizzazioni internazionali continuano a collocare il Paese al fondo delle classifiche del benessere, della sicurezza, della giustizia e il governo socialista di Edi Rama rimane al potere solo sventolando una bandiera europea sempre più stracciata.
Dunque, la questione si può porre in modi diversi però a ben vedere si riconduce una domanda molto semplice: fino a che punto credono che il Fantasma contapalle potrà bastare?

Giuseppe Zaccaria

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