il manifesto. 45 anni di eresia

GUIDO MOLTEDO
Condividi
PDF

Il 28 aprile scorso, il manifesto ha compiuto quarantacinque anni. Per l’occasione il quotidiano è uscito in edicola con un supplemento, “Padroni dello spazio” che ripercorre le fasi e le vicende più significative del giornale. Riproponiamo ai lettori di ytali. l’editoriale della direttora Norma Rangeri, 1971-2016. Nel mezzo del camin, e uno degli articoli, a firma di Guido Moltedo, L’epopea dei bottegologi.
0000-copertina3

NORMA RANGERI

A 45 anni i comuni mortali si ritrovano «nel mezzo del cammin» della propria vita, quando molte stagioni sono alle spalle ma altrettante se ne aprono davanti. Nella biografia di un giornale è diverso. Nei nostri 45 anni si addensano alcune ere geologiche, è sparito un mondo e ne è comparso un altro.

Abbiamo cercato di non smarrire la diritta via delle origini. E pur tra mille difficoltà, quell’eresia originaria con la radice forte dello spirito critico, offre ancora oggi una solida bussola. Che usiamo nella quotidianità del giornale, sopravvissuto a tempeste politiche che hanno sbriciolato le forze della sinistra italiana per come l’abbiamo conosciuta.

Il numero speciale in edicola oggi, da acquistare insieme al quotidiano (e ancora in edicola anche nei prossimi giorni), è il dovuto omaggio alle nostre quarantacinque primavere e insieme anche l’occasione propizia per dire che speriamo di poter annunciare molto presto l’acquisto della testata e dunque la fine della Liquidazione amministrativa.

Se, come speriamo, torneremo «Padroni dello spazio», il titolo beneaugurante dello Speciale, potremo mettere in campo i progetti a cui stiamo lavorando per offrire ai lettori un giornale più ricco. Ovviamente non di mezzi, non li abbiamo mai avuti, ma di battaglie e campagne, di sì e di no, come accadrà con i prossimi scontri referendari e elettorali.

Battaglie e campagne culturali, sociali, politiche, per avere un ruolo nella ricostruzione della dispersa sinistra italiana e tenere aperta la porta di una voce libera, autonoma, indipendente.

Navighiamo in un mare insidioso, con progressive concentrazioni editoriali, dominato dai conflitti di interessi tra banche e imprenditori, con i quotidiani usati per opache battaglie di potere.

Alla comunità dei nostri lettori, una specie coriacea, affettuosa e generosa, che ci sostiene e ci legge ogni giorno, rivolgiamo l’invito a festeggiare con noi. In edicola.

13103287_10209437781128412_49809921181940495_nGUIDO MOLTEDO
La domanda più frequentemente rivolta a un redattore del manifesto, ma anche a qualsiasi compagno della vasta comunità cresciuta insieme e intorno al giornale, è perché quel “quotidiano comunista” accanto alla testata. Quanto e quante volte se n’è discusso, all’interno del collettivo, specie nei tornanti in cui si è cambiato formato e grafica. Nel contesto d’adesso, quella testatina ha un senso profondo, è tutt’altro che un vezzo retrò, o nostalgico, essendo anzi un’autodefinizione che indica un orizzonte oggi perfino più plausibile che ieri.

Ma quando c’era il Partito comunista italiano, ed era il più importante partito comunista dell’Occidente, quella testatina aveva anche il significato di una sfida permanente al Pci, il partito che aveva espulso il gruppo del manifesto, la rivista da cui sarebbe poi nato il quotidiano omonimo. Una sfida che non era né estremista né massimalista né tanto meno distruttiva ma era interna a quel mondo, dal quale i fondatori provenivano. Tomacelli e Botteghe Oscure erano due vie che un giorno, probabilmente, si sarebbero ricongiunte.

Intervistato da Minoli, a Mixer, Enrico Berlinguer, il Berlinguer che aveva ormai rotto con Mosca, alla domanda su chi fosse il suo giornalista preferito, rispose senza esitazioni: «Luigi Pintor, dal punto di vista delle qualità giornalistiche». E spiegò: «Perché mi pare che abbia veramente la stoffa del giornalista di alta qualità». E quando il segretario del Pci morì, Pintor ricambiò con queste parole: «È come se quest’uomo integro, verso il quale ho sempre provato un’istintiva amicizia, che in qualche modo sentivo ricambiata, fosse caduto vittima di uno sforzo troppo grande».

Forse non sarebbe mai avvenuto, il ricongiungimento con il Pci, ma in fondo questo stava per accadere, quando, dopo la Bolognina di Achille Occhetto, la direzione del manifesto prese apertamente le parti del fronte del no alla svolta e successivamente sostenne la scissione. Non ne divenne però l’organo né il fiancheggiatore privilegiato. Non tutto il collettivo redazionale condivideva una simile prospettiva, anche se fosse stata perseguita in modo informale. Una parte del collettivo, anzi, seppure con diverse sfumature e distinguo al suo interno, era a favore della svolta, un’altra parte, forse anche più consistente, vedeva con favore la dissoluzione del Pci. Queste due parti, insieme, erano in realtà prevalenti.

Al netto dei momenti di più aspro confronto tra le diverse posizioni, quest’articolazione si rivelò ancora una volta una ricchezza del manifesto, la sua forza, come è sempre stato nel corso degli anni, essendo questo il suo dna, un giornale profondamente autonomo e libero, e dunque anche “indisciplinato” diversamente dall’organo di una forza politica (fosse pure, appunto, quella che andavano costituendo gli antagonisti della svolta).

Finché è stato in vita il Partito comunista italiano, con la sua sede emblematica di via delle Botteghe Oscure e le sue sedi di federazione altrettanto iconiche nei centri delle città italiane, l’esistenza stessa di un “quotidiano comunista”, che non fosse il suo organo, che non fosse l’Unità, ne fosse anzi il concorrente, era una sorta di anomalia irrisolta che incombeva sui gruppi dirigenti del Pci. Era il ricordo costante della ferita mai rimarginata della radiazione del 1968 (sia negli ingraiani sia anche in chi l’aveva direttamente gestita: si pensi ad Alessandro Natta, che successivamente, anche prima della svolta, avrebbe avuto un rapporto più che cordiale con il manifesto). Ma l’anomalia era soprattutto nella condizione di “internità esterna” del manifesto rispetto al partito che ne aveva radiato i fondatori.

A Botteghe oscure, i cronisti politici del manifesto, che pure in molti casi non provenivano dalle file del Pci, erano considerati come parte del mondo rappresentato da quel palazzone, erano degli insider, diversamente da tutti gli altri giornalisti. E anche diversamente dai cronisti dell’Unità, che avevano accesso ai corridoi e alle stanze del bottegone, ed erano presenti alle riunioni del comitato centrale e della direzione, ma anche per questo erano considerati parte integrante del partito e non potevano discostarsi più di tanto dall’ufficialità. I giornalisti del manifesto erano tra i bottegologi quelli che riuscivano a cogliere quel che succedeva lì dentro, disponevano non si sa come di notizie e indiscrezioni dall’interno, anche quando il Pci era davvero un partito vero, bocche cucite, solo chi doveva parlare parlava. Sapevano dove e come cercarle, le notizie.

L’errore più comune tra i giornalisti che si occupavano del Pci era quello di applicare a quel partito una lettura delle sue dinamiche interne del tutto simile a quella applicata alla Dc o al Psi, partiti di correnti riconosciute e di lotte interne che si svolgevano abbastanza alla luce del sole.

Sì, per sapere che succedeva nel Pci, dove andava il Pci, bisognava leggere il manifesto, i corsivi e gli editoriali di Pintor, gli articoli di Rossana Rossanda, di Michelangelo Notarianni, penne temute e rispettate, la cui critica verso il Pci era considerata dagli osservatori e dai politologi come parte del dibattito nel e sul Partito comunista, uno stare dentro da fuori che suscitava interesse. Potevano essere definiti, e lo erano, “eretici”, ma non potevano essere considerati alla stregua dei “dissidenti” dei regimi dell’est. Per questo il loro punto di vista pesava, era ritenuto utile, e non poteva essere liquidato come la rivalsa di intellettuali rancorosi.

Ma anche gli articoli di resoconto erano letti con considerazione da chi seguiva le vicende dei comunisti italiani (lo stesso va detto a proposito del mondo sindacale, e in particolare della Cgil, anche quello un mondo nel quale c’era un dentro/fuori del manifesto).

La fine del Pci segnò anche la fine della bottegologia. Lo scontro divenne aperto, l’abilità giornalistica e politica d’un tempo nel decifrare le alchimie nel Pci si trasferì nella lettura delle vicende dentro gli schieramenti che si contendevano l’eredità del Pci. Non era la stessa cosa. All’interno di entrambi gli schieramenti, c’erano sensibilità diverse in competizione tra loro, e anche manovre, che molto spesso erano fin troppo evidenti. Nulla di paragonabile all’incredibile discrezione e riservatezza che coprivano le lotte all’interno del Pci.

La verità è che, con la fine del Pci, e della prima repubblica, si apriva una fase storica nuova, per molti aspetti inedita, un periodo di transizione che ancora dura, nel quale la trasformazione della politica partitica che ne è seguita ha prodotto un’omologazione completa alle altre forze politiche di quel che proviene dalle ceneri del Pci, nei comportamenti, nei valori, anche nelle relazioni tra compagni dello stesso gruppo.

Il giornalismo politico italiano ha continuato imperterrito – con lo stile della prima repubblica – nella seconda e in quella attuale, salvo che non c’è più sulla scena il gigante comunista, con i suoi codici complicati e indecifrabili per chi non è comunista. E in questo lungo passaggio, il manifesto ha dimostrato che la sua esistenza non era legata a quella del Pci: essere sua coscienza interna/esterna non era certo la sua unica missione, non significava esserne l’“organo”, sia pure critico, in contrasto con l’acritica Unità. Se lo fosse stato e se si fosse conseguentemente trasformato nel foglio di chi poi prese la strada di Rifondazione, non sarebbe andato lontano, non sarebbe arrivato fino a oggi. Fino al lungo domani che l’attende.

guido

@GuidoMoltedo

supplemento

il manifesto. 45 anni di eresia ultima modifica: 2016-05-02T16:32:02+02:00 da GUIDO MOLTEDO
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

VAI AL PROSSIMO ARTICOLO:

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento