Il mondo contemporaneo è sempre più complesso e interrelato, su qualsiasi tema, sia questo economico, sociale, etico ma anche scientifico. Dare risposte “semplici” seguendo strade ben battute e conosciute è sempre più difficile.
Un’altra caratteristica del mondo in cui viviamo è la sua globalità mista a frammentarietà e scollamento.
Chi riesce a cavalcare la nuova contemporaneità, persone, organizzazioni, Paesi, non fa molta differenza, innova, è creativo, apolide, cittadino del mondo, fortemente acculturato, riesce a connettere produttivamente più esperienze, poco gerarchico, capace di collaborare come di competere o anche di fare allo stesso tempo le due cose, di reinventarsi, sessualmente disinibito, dai rapporti personali e sentimentali molteplici, accetta tutte le diversità. Queste caratteristiche, è questa la novità, sono le stesse sia per le persone che per le organizzazioni vincenti (pubbliche o private, imprese o Stati).
Il rovescio della medaglia è che, così come chi ce la fa è al top, chi non ce la fa è ai margini, percepisce sempre di più la nuova contemporaneità come “ansiogena”, perdita e liquefazione di certezze, instabilità, a volte solitudine ed assenza di valori a cui aggrapparsi. Per le organizzazioni perdenti il destino è quello dell’irrigidimento della autoreferenzialità, dell’isolamento, e, alla fine, dell’espulsione o implosione, sia che siano aziende od organizzazioni statali o politiche.
Tutto questo ormai è abbastanza risaputo e ovvio e le nuove tendenze dell’innovazione, soprattutto tecnologica ma non solo, penso a internet applicata sempre più pervasivamente, ma anche alle nuove frontiere della biologia e delle neuroscienze, accentueranno queste caratteristiche.
Se questa è la situazione cosa fare per evitare un mondo sempre più polarizzato fra chi è dentro e chi è fuori (parlo sempre non solo di persone e di singoli esseri umani, ma di organizzazioni, istituzioni, Stati, culture).
Alcune strategie di sopravvivenza:
Prima strategia, come persone e singoli individui: prendere atto dei limiti del nostro cervello, della nostra intelligenza e tenere conto della nostra affettività e delle nostre emozioni soprattutto dove queste ci condizionano, ci fanno reagire impulsivamente e prendere decisioni sbagliate.
Dobbiamo imparare ad applicare una “logica euristica”, aperta a valutare più soluzioni possibili e ad una valutazione attenta dei pro e contro di ciascuna, senza manicheismi e pregiudizi.
Tutto questo significa riuscire a convivere ed accettare una certa instabilità delle soluzioni, anche a livello personale e riuscire a gestire l’ansia che tutto questo comporta.
Seconda strategia, come organizzazioni pubbliche e private: pensare come gli ingegneri, simulare, fare test, sperimentare prima di attuare completamente, non applicare leggi, regole o ricette al buio ma cercare sempre di simularne gli effetti, non dimenticare mai, anche quando i problemi sono tecnici, la dimensione culturale storica dell’ambiente dove siamo e dove operiamo. Così come nelle scelte personali è bene contenere a volte l’emotività, in quelle tecniche ed organizzative non bisogna mai dimenticare che le soluzioni per funzionare devono essere fatte proprie da uomini e donne che hanno certe abitudini, culture, storie ed affetti.
Per le aziende riaprire i centri studi mettendoci dentro capacità e risorse interdisciplinari capaci di pensare la complessità di vedere il presente e capirlo nelle sue sfaccettature ed immaginare il futuro (non solo informatici, ma neuroscienziati, filosofi, tecnologi ma anche umanisti).
C’è assolutamente bisogno di visioni di lungo periodo e di idee-guida anche se la realizzazione e l’implementazione deve essere sempre “sperimentale”, adattiva. Ci vuole pianificazione e strategia di medio-lungo e tattica ed implementazione flessibile.
Terza strategia: Stati, Nazioni, politiche nazionali, Paesi: dotarsi delle organizzazioni e delle persone giuste per cavalcare la novità. Questo significa investire nella scuola nella università nei centri di ricerca. Pensare in grande, fare politica industriale, della ricerca, pensare politiche sociali inclusive.
Anche qui non c’è cosa più sbagliata che ritenere che la pianificazione, la politica industriale di medio-lungo periodo, gli indirizzi forti e ponderati della mano pubblica siano l’anticamera del dirigismo antimercato e dell’illegittima intrusione della politica nell’economia.
Al contrario la globalizzazione, l’innovazione tecnologica e non, i nuovi modelli di business e di competizione vincenti, così come la frammentazione, divisione ed instabilità sociale richiedono sempre più pensiero ed indirizzo anche da parte di Stati e Governi. Più il panorama si complica, più c’è bisogno di politiche pubbliche adeguate. Una delle conseguenze peggiori del mondo contemporaneo è che, con la complessità e globalità delle soluzioni, i centri di potere nazionali e non solo perdono di ruolo, la politica perde ruolo. Chi è vincente in questo modello è creativo, molto intelligente, ha studiato molto, sostanzialmente apolide, benestante e disinibito (lo stesso per le organizzazioni), tende a sottrarsi in generale a regole e controlli.
Ma lo sviluppo economico, scientifico, tecnologico, umano in generale per essere sostenibile, è una vecchia idea liberale, deve essere armonizzato in una società dove i vantaggi arrivano complessivamente e in modo ragionevolmente bilanciato a tutti, pena la tenuta sociale. Per fare questo serve la politica e anche gli Stati. Per avere una politica e delle istituzioni in grado di stimolare ed allo stesso tempo governare questi sviluppi servono persone ed organizzazioni vincenti. Paradossalmente, l’unico modo per governare oggi il mondo contemporaneo è fare propria anche a livello di organizzazioni e politiche statali la ricetta di chi ha successo nell’ attuale mondo globalizzato. Ministeri con personale competitivo e con le stesse caratteristiche dei vincenti di mercato, pianificazione, organizzazione e strategie competitive e di successo adeguate ad un mondo globale. Cambia l’obiettivo ed il punto di vista: non solo il profitto privato, ma anche l’inclusione e la crescita collettiva. Ancora una volta per fare tutto questo non bisogna essere socialisti ma solo dei buoni liberali.
Quarta strategia: l’Italia. Rilanciare gli investimenti e le politiche per la ricerca, ripensare la politica industriale, rivoltare da cima a fondo i Ministeri e le organizzazioni che dovrebbero indirizzare le politiche pubbliche, selezionare e rendere più meritocratiche la Università. Investire e riabilitare la tradizioni scientifiche ed umanistiche.
Recuperare le eccellenze nella fisica (Istituto di Fisica Nucleare, CNR, ENEA ed altro) e nella matematica. Recuperare, con forti iniezioni di meritocrazia e di selezione, la cultura umanistica, anche la tradizione storicista, buon antidoto contro il riduttivismo scientifico: non sto dicendo di riprendere la critica crociana alle ”pseudoscienze”, ma di calmierare l’atteggiamento “scientista” quando non capisce e non vede che tutte le soluzioni tecniche per essere efficaci devono essere calate nella storia e nella cultura degli uomini, sperimentate, adattate.
Recuperare la scuola: non è solo un problema di soldi ma anche di indirizzi intelligenti e sensati. Per inseguire il modernismo e una contemporaneità non compresa, oggi la scuola soffre di un guazzabuglio di indirizzi pedagogici “moderni e politicamente corretti” ed ha perso di vista la propria funzione di strumento per creare un Paese con cittadini attrezzati culturalmente per vincere le sfide della contemporaneità. Che sono sempre quelle che abbiamo detto: capacità di ragionare criticamente per pro e contro senza slogan, di individuare soluzioni creative ed allo stesso tempo concrete, di essere capaci di sperimentare, di adattare, di trovare soluzioni e di accettare anche un minimo di instabilità. Tutte caratteristiche che si insegnano anche facendo leva e capitalizzando su quello che di buono la tradizione italiana ha sviluppato, la sua tradizione scientifica ed umanistica. In sintesi, si tratta di intervenire ancora una volta “senza gettare il bambino con l’acqua sporca”, più che abolire od annacquare il liceo si tratta di farlo evolvere e rafforzarlo.
Pianificazione: pianificare il lungo per vedere meglio il breve. Anche qui non c’è nulla di cui aver paura. Bisogna ritornare a fare progetti di medio-lungo periodo, reinventare la politica industriale e gli attori che devono realizzarla.
Non tutto si potrà fare ma almeno incominciamo a capire dove stiamo andando e rimbocchiamoci le maniche per iniziare almeno con qualcosa, sia nel nostro modo di pensare e agire personalmente che in quello che dobbiamo pretendere da noi stessi come collettività.
Piccola bibliografia:
- Legrenzi ,“6 esercizi facili per allenare la mente”, Raffaello Cortina , 2015.
- Legrenzi, A. Massarenti,”La buona logica”, Raffaello Cortina 2015.
- Pani, G. Corbellini, “Imperfezioni Umane”, Rubettino 2015.
- Madhavan, “Come pensano gli ingegneri”, Raffaello Cortina 2015.
- Attali, “Breve storia del futuro, rivista e aggiornata a dieci anni dalla crisi” , Fazi 2016.
- Ridderstrale & K. Nordstrom, “Funky business”, FT Prentice Hall 2008.
- Naim, “La fine del potere”, Mondadori 2013.
- Berlin, “Un messaggio al ventunesimo secolo”. Adelphi 2015.
- Silvestrini, B. Bartoli, “La grande avventura della fisica”, Carocci , 2015.
- Tonelli, “La nascita imperfetta delle cose”, Rizzoli, 2016.
Paolo Luca Stanzani Ghedini

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