Riforma costituzionale. Quell’appunto preveggente di Nilde Iotti

GIORGIO FRASCA POLARA
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Le travagliate vicende politico-istituzionali che per un quarantennio hanno segnato il dibattito sulle riforme costituzionali e da cui è finalmente scaturito il testo che in autunno verrà sottoposto a referendum, queste vicende dunque non sarebbero complete se non si ricordasse una improvvisa sortita della neo-presidente della Camera, Nilde Iotti, nell’autunno del 1979, appena qualche mese dopo la sua elezione. Posso darne personale testimonianza non dal momento che avevo appena assunto l’incarico di suo portavoce e sapevo da tempo (durante la fase della solidarietà democratica ella era presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio) delle sue preoccupazioni per un assetto istituzionale che già mostrava seri difetti.

Voglio dire che Iotti non perse tempo a far capire che intendeva considerare la presidenza della Camera non come un trampolino ma come un fine: per portare avanti vecchie e nuove battaglie, da una posizione di assoluto rilievo e quindi di sicuro ascolto. Così, alle viste di una delle prime uscite ufficiali – a Piombino per la consegna di una medaglia d’oro al Comune per i meriti nella Resistenza –, riunì i più stretti collaboratori e disse: “È ora di affrontare il problema delle riforme costituzionali”. Sorpresa tra noi per l’inedito tema, preoccupazione per gli echi, qualche angoscia per le ricerche. E invece Nilde prese un foglio e – con l’esperienza mai dimenticata di costituente e con il piglio nuovo di presidente – vergò sicura alcuni punti con la sua grafia ampia:

Basta con questo assurdo bicameralismo perfetto unico nel mondo e causa di ritardi. Basta con mille parlamentari, quanti ne ha la Cina, ma loro sono un miliardo e trecento milioni. Più penetranti poteri di controllo del Parlamento. Federalismo istituzionalizzato, trasformando il Senato in Camera delle regioni e dei poteri locali: perché il Senato non potrebbe essere come il Bundesrat tedesco?.

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Nilde Iotti e Giorgio Frasca Polara, foto l’Unità Archivio Storico

Che questo delle riforme, anche dei regolamenti parlamentari, fosse e sarebbe stato un continuum nelle tre legislature in cui fu presidente della Camera, Iotti aveva affermato, con qualche solennità, ma senza ancora entrare nel merito, già nel discorso di insediamento, il 20 giugno 1979:

Affrontare quelle parti della Costituzione che il tempo e l’esperienza hanno dimostrato inadeguate (…) Tutelare in primo luogo i diritti delle minoranze ma anche il diritto-dovere della maggioranza, qualunque essa sia, di legiferare.

Colpì nel segno quel discorso a Piombino proprio per la concretezza delle enunciazioni, per la fisicità delle rappresentazioni, per la semplicità nel porgerle. E per averlo fatto ben prima che Craxi lanciasse la sua Grande Riforma e con largo anticipo sulla vana catena di bicamerali. E colpì proprio perché colse alcune questioni che già allora erano nel comune sentire ma che si esitava a gettare sul tavolo della revisione di una struttura statuale oramai vecchia e non al passo coi tempi, con le esigenze di decisioni rapide e non paralizzate dalla macchinosità di procedure superate, ma che avessero sempre il suo fulcro nel Parlamento. Sulla sua centralità Iotti comunque non mollò mai, figuriamoci se la vita le avesse consentito di confrontarsi con Berlusconi… Che poi trascorressero non gli anni ma i decenni senza frutti concreti, di questo non si poté fare il minimo carico su Iotti che pure, come vedremo, presiedette, lasciato il vertice della Camera, la penultima delle commissioni parlamentari costituite “per le riforme”. La proposta lanciata a Piombino fu ripresa, discussa, infine cadde nel vuoto anche per la gelosia manifesta dei vertici del Senato. Ma gettò un seme che si ritrova (pur con qualche pasticcio) nella riforma che ha appena superato il duplice voto delle Camere.

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Questo impegno costante per le riforme divenne, infatti, per Iotti un assillo quando assunse nel 1993, la presidenza della commissione parlamentare per la riforma della seconda parte della Costituzione, quella relativa alla forma di stato e di governo. Prima che scadesse un anno, la commissione consegnava alle presidenze di Camera e Senato un progetto, organico ma non compiuto: si profilava, come avvenne, la fine anticipata della legislatura causa Tangentopoli. Il progetto prevedeva un’ampia ampia riforma del rapporto Stato-Regioni; nuove regole in materia di formazione del governo con la creazione della figura del primo ministro eletto a maggioranza assoluta del Parlamento e l’accentuazione del suo ruolo di guida dell’esecutivo; l’istituzione della sfiducia costruttiva; nuove regole in materia di bilanci, contro l’abuso della decretazione d’urgenza; delegificazione e potere regolamentare del governo, organizzazione della pubblica amministrazione, ampliamento del potere d’inchiesta e di controllo delle Camere.

Progetto organico ma non compiuto, dicevo: Iotti rimetteva alle Camere i nodi insoluti della riduzione del numero dei parlamentari (“si era vicini ad un accordo per la diminuzione dei deputati da 630 a 400, e dei senatori da 315 a 200”), della distinzione dei compiti tra le due Camere, della composizione del Senato, rappresentativa di regioni e poteri locali. Ma, concludeva la relazione alle Camere di una Nilde Iotti assai preveggente,

l’atmosfera inquieta e carica di minacce, il sempre maggior numero di inquisiti che ha tolto prestigio al Parlamento, le sempre più accentuate incertezze della situazione politica, ci hanno indotto a presentare il progetto al punto in cui esso è giunto, perché possa restare come documento per il futuro lavoro.

Tutto infatti precipitò nel volgere di poche settimane. Ma ancora nel 2008, nel discorso celebrativo del 60. della Costituzione, Giorgio Napolitano ricorderà come “risulta ancor oggi indicativo il progetto presentato nel 1994 dalla Commissione bicamerale allora presieduta dall’on. Iotti”. Della quale il presidente emerito della Repubblica valorizzava

il convinto e sapiente sforzo, pur nella così critica legislatura, per condurre la commissione verso conclusioni ponderate e innovative che avrebbero potuto essere sviluppare e arricchite durante l’esame delle assemblee se non se ne fosse reso inevitabile lo scioglimento.

Non ho certo titolo per rivendicare la primazia di Nilde Iotti ma mi ispira un debito (non credo solo mio) di riconoscenza politica e civile per il suo intuito le la sua tenacia. Ora siamo a un passo…

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Riforma costituzionale. Quell’appunto preveggente di Nilde Iotti ultima modifica: 2016-05-18T20:05:01+02:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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4 commenti

Paolo Marini 19 Maggio 2016 a 15:14

Testimonianza importante e di grande interesse. Solo un punto mi lascia perplesso: in Cina nel 1979 erano già un miliardo e trecento milioni?

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Saverio Di Benedetto 4 Novembre 2016 a 13:27

In Cina erano meno di un miliardo, in questo decennio sono un miliardo e trecento milioni … possibile che la Iotti abbia fatto un errore del genere? Eppure la citazione è virgolettata …

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Riforma costituzionale. Quell’appunto preveggente di Nilde Iotti | etarozzi 21 Maggio 2016 a 0:02

[…] Sorgente: Riforma costituzionale. Quell’appunto preveggente di Nilde Iotti […]

Reply
Storia e dibattito pubblico | il Mondo Contemporaneo 28 Maggio 2016 a 17:55

[…] più si avvicina all’attuale riforma. La presidente della camera proponeva già dal 1979 di superare il bicameralismo perfetto e la trasformazione del Senato in un Senato delle Regioni. Anche in questo caso però […]

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