Quando parla un papa il termine “monito” è d’obbligo. E non riguarda certo solo, o soprattutto, papa Francesco. Ma nel caso del suo discorso d’apertura dei lavori dell’assemblea dei vescovi spiccano non soltanto i moniti, ma anche gli argomenti ignorati. Non ha parlato di politica né ha citato la nuova legge sulle unioni civili. Non è tornato neanche sull’immigrazione, visto che l’aveva posta al centro del discorso pronunciato ricevendo il premio Carlo Magno. All’ordine del giorno c’era “il rinnovamento del clero” e lui di quello ha parlato. Possibile dedurne che l’argomento gli è piaciuto, gli sta a cuore.
Come sovente accade a Bergoglio, ne ha parlato in termini di identikit, partendo da una parola: servizio. È sempre il Vangelo il punto di partenza di Bergoglio. Ecco che spicca quel che il prete è e quel che non deve essere. Non sorprende tanto che il papa abbia tenuto a precisare che non è un burocrate o un anonimo funzionario, non mira all’efficienza né si scandalizza per le fragilità dell’animo umano.
Ma questo viene solo dopo un’affermazione importantissima: è un modello di vita “alternativa”. Alternativa a quello centrata su di sé, dove l’individuo diviene misura di tutto. Ma in questo mondo ci sono tante relazioni ferite, tante persone senza bussola, è a loro che bisogna guardare per rendere l’alternativa affascinante. L’impressione è che siamo al capovolgimento del modello costantiniano: il lusso e lo sfarzo non servono più per imporre dall’alto il potere della Chiesa, il suo “ruolo guida”, la povertà e l’umiltà renderanno invece credibile questa alternativa che vuole emergere dal basso, facendosi ricca della frequentazione dei poveri.
La Chiesa dunque non è più un giudice al di sopra e al di là della storia, è nella storia, con noi, interprete dei segni dei tempi, delle difficoltà, delle drammaticità che ciascuno vive nell’oggi. Appartiene a un altro ordine, alternativo a quello della globalizzazione dell’indifferenza.
Questo pone indubitabilmente la questione della Chiesa dei poveri in termini spirituali: la Chiesa dei poveri non è una Chiesa chiusa a chi abbia il 730 sopra una soglia massima. Ma è una Chiesa di vicinanza, di partecipazione alle sofferenze. Fisiche, economiche, e spirituali. Non pone al centro la legge, o la verità, ma il cammino, cioè la via.
Questa Chiesa non ha una visione diversa del matrimonio, del divorzio, delle unioni civili, dell’aborto: ma guarda il divorziato, lo sposato, l’unito civilmente, la donna ferita dall’aborto. In questo senso, credo, che si sia potuto autorevolmente scrivere che non è pro-life né pro-choice. È per l’uomo, con le sue verità ma testimone delle Misericordia del padre, e quindi attentata più a far rialzare chi è caduto che a lodare chi è rimasto in piedi. Ecco perché arriva a raccomandare di «mantenere soltanto ciò che serve per l’esperienza di fede e carità del popolo di Dio».
Franco Cardini ha scritto che questa Chiesa appare a due velocità, e probabilmente è così. L’utopia di Francesco è di superare la priorità della verità, che rimane tale, con la priorità della via, che cambia per ciascuno sulla base delle sue esperienze, delle sue debolezze, delle sue difficoltà. In questo senso la velocità del papa sembra andare verso una Chiesa di popolo, non più verso una Chiesa ecclesiastica.
Non credo a contrapposizioni dottrinali, credo a diverse priorità, e la priorità della via porta alla priorità della strada, ai preti callejeros, come si è detto, alla priorità delle periferie. Per questo il suo clero, in una Chiesa che fa ancora molti piani pastorali e disamine legislative, fa soprattutto servizio alle persone; ci parla, li conosce, stabilisce con loro una relazione “affettuosa”. In questo senso credo vada interpretato il piccolo esercizio di stile, a braccio, che il papa si è consentito in apertura dei lavori.
Prima di cominciare il suo discorso, papa Francesco infatti ha cominciato scherzando: «Quest’anno ci sono tanti nuovi, tu non hai fatto 24 ore», alludendo a un vescovo appena ordinato. «Quanti nuovi ci sono?», ha poi chiesto. «Non li abbiamo contati», ha risposto il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, mentre dalla platea si levavano cifre, 36, 38. «Un po’ meno di quaranta», ha concluso Bagnasco. “Tanti, no?”, ha detto sorridendo Francesco.

Riccardo Cristiano

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