È di pochi giorni fa la notizia che una delle prime copie a stampa della lettera di Cristoforo Colombo sul suo celebre viaggio del 1492-93 ritroverà posto nella sua collocazione originaria, all’interno della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Colombo redasse il documento in larga parte in mare il 14 febbraio 1493 (e forse nei giorni immediatamente successivi), per poi completarlo all’arrivo a Lisbona, circa un mese dopo.
Se l’originale manoscritto è purtroppo andato perduto, esistono invece vari incunaboli (edizioni a stampa quattrocentesche) e pubblicazioni successive. Già nell’aprile del 1493 fu edita a Barcellona quella che può considerarsi la versione originale, in spagnolo. Una traduzione in latino fu invece data alle stampe a Roma, ad opera del tipografo tedesco Stephan Plannck, presumibilmente nel maggio dello stesso anno (e fu successivamente ristampata sia nell’Urbe che all’estero).

Biblioteca Riccardiana di Firenze
Quella ritrovata è proprio una di queste copie. Il raro documento – valutato dagli esperti un milione di euro – era stato sottratto in un momento imprecisato (forse negli anni Cinquanta) da un volume miscellaneo contenente una quarantina di testi. Giunto dopo vari passaggi alla Library of Congress di Washington, esso tornerà come detto nella sua collocazione originaria, anche se questa volta verrà esposto in una teca. Purtroppo allo stesso lieto fine non è ancora giunta la vicenda di un’altra versione della stessa lettera, sottratta questa dalla Biblioteca Nazionale di Roma e non ancora ritrovata. In entrambi i casi il documento è stato sostituito con una copia contraffatta moderna (stampata però su carta antica), dissimulando in questo modo la mancanza dell’originale.
Come evidenziato dal rapporto sull’attività del 2015 dei Carabinieri che si occupano della Tutela del Patrimonio Culturale, i furti di oggetti librari/archivistici sono stati lo scorso anno i più numerosi tra le varie categorie di loro competenza anche se molto consistenti sono stati – per fortuna – pure i recuperi. E infatti le indagini che hanno portato al ritrovamento dell’incunabolo sottratto alla Biblioteca Riccardiana sono partite proprio da un furto di volumi antichi denunciato dalla Biblioteca Nazionale di Roma.
Se è forse superfluo celebrare l’importanza della lettera colombiana, bisogna tuttavia fare attenzione a definirne bene il contenuto. In questi giorni si è infatti letto da molte parti che il documento è quello in cui Colombo annunciava la “scoperta dell’America” o “del Nuovo Mondo”. Come noto, al ritorno dal primo viaggio il navigatore genovese pensava che le terre da lui trovate altro non fossero che le propaggini orientali dell’Asia. E infatti il breve paragrafo che – nell’edizione appena ritrovata – introduce la lettera parla di “insulis Indie supra Gangem nuper inventis” (“le isole dell’India appena trovate al di là del Gange”, ovvero in Asia orientale) e lo stesso Colombo si dichiarava convinto di essere arrivato “in mare Indicum” e di avervi trovato “insulas innumeris”. La lettera trascura quasi totalmente i particolari del viaggio, concentrandosi sulla descrizione delle isole appena trovate, sulla popolazione locale e sui loro usi e costumi.

Ritratto postumo presumibilmente di Cristoforo Colombo di Sebastiano del Piombo, 1519
In essa Colombo guarda anche alle prospettive future (in vista di un’eventuale colonizzazione), non mancando di riportare alcuni racconti degli indigeni relativamente a isole che gli spagnoli non avevano ancora visitato: sia aspetti negativi, come la descrizione di “mostri” che si cibavano di carni umane, che positivi, come gli immensi quantitativi di oro che si sarebbero trovati in una grande isola vicina.
Se la notizia del primo viaggio colombiano ebbe una così ampia e rapida diffusione in tutta Europa, lo si deve anche allo stesso navigatore genovese, il quale aveva certo interesse a che la sua impresa fosse conosciuta e i suoi privilegi confermati, e fu quindi molto sollecito nell’inviare notizie delle proprie avventure; ma certamente anche molti altri – parenti, amici, mercanti, uomini di Stato, ecc. – contribuirono a copiare e divulgare le notizie che ricevevano.
Pochi anni dopo la morte di Colombo, avvenuta nel 1506, se pure l’interesse per i viaggi transoceanici continuò a mantenersi molto vivo, la figura del navigatore genovese scomparve dall’immaginario collettivo, fino a cadere quasi nel dimenticatoio.

Francobollo commemorativo delle poste USA del 1892
Soltanto a fine Settecento, a seguito dell’indipendenza degli Stati Uniti (1776), Colombo tornò ad essere celebrato: gli Stati Uniti infatti cercavano – per la loro nuova nazione – dei simboli totalmente slegati dalla Gran Bretagna e Colombo, che aveva lasciato il vecchio mondo per il nuovo e che da un certo momento era stato anche bistrattato dal sovrano spagnolo (così come gli americani si sentivano bistrattati dal sovrano inglese), era molto adatto a riempire tale narrazione. A partire dal terzo centenario della scoperta, dunque, le celebrazioni e i riconoscimenti si sono diffusi un po’ dovunque; e ovviamente la fama di Colombo e l’importanza delle sue scoperte hanno anche stimolato l’avidità (e la fantasia) di truffatori e falsari di vario genere, come dimostra la vicenda che si è appena conclusa felicemente. Ma molti altri tentativi – alcuni ben più goffi – erano stati effettuati nel corso del tempo.
Per ricordarne uno, piuttosto divertente, dobbiamo però fare un passo indietro, fino a tornare al Colombo navigatore che veleggiava verso le coste europee, di rientro dal primo viaggio. Nella notte fra il 13 e il 14 febbraio 1493, non lontano dalle isole Azzorre, la Niña e la Pinta furono colte da una terribile tempesta. Colombo, preoccupato che notizie del viaggio non arrivassero ai sovrani (“affinché sapessero le Loro Altezze come Nostro Signore gli avesse concesso il trionfo in tutto quanto bramava alle Indie”) o che arrivassero loro narrate da altri, scrisse loro una lettera e poi, avvoltala in una tela incerata, la infilò in un barile che poi gettò a mare. Tante precauzioni, tuttavia, non bastarono, dato che di questa lettera si è persa traccia (anche se è presumibile che il suo contenuto si discostasse poco da quanto scritto in seguito). Maggior fortuna ebbero le due navi, che sarebbero giunte in salvo a Lisbona.
Ebbene, nel 1892, evidentemente allettato dalle celebrazioni del quarto centenario della scoperta, un editore londinese dichiarò di esser venuto in possesso di tale prezioso documento ritrovato – a suo dire – al largo delle coste gallesi: ne predispose così un’edizione in facsimile, che poi commercializzò. Incauti acquirenti non si insospettirono neppure per il fatto che la missiva era scritta in inglese (“My Secrete Log Boke”), scelta che il truffatore legava al desiderio di Colombo di esprimersi nella “lingua universale della marineria” (sic!).
Con il ritorno alla Biblioteca Riccardina finisce dunque il lungo periplo della prima lettera colombiana. Un viaggio che – iniziato forse nei primi anni Cinquanta del Novecento e transitato nel 1990 dalla Svizzera, prima del volo Oltreoceano – è stato assai più lungo e assai meno documentato di quello del suo autore.
facsimile della lettera in latino, preceduto dalla traduzione in inglese

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