
La grande onda di Kanagawa di Hokusai Katsushika
Il Sol Levante sta per sorgere in Italia. In occasione del 150mo anniversario del Trattato di amicizia tra i due Paesi (1866), il Giappone s’appresta a svelare agli italiani il volto nascosto della sua millenaria storia, della sua raffinata arte e del suo (per noi) criptico, enigmatico teatro.
“L’Onda” di Hokusai, icona e simbolo del Giappone preindustriale del 18mo e 19mo secolo, sarà esposta al Palazzo reale di Milano dal prossimo settembre assieme alla serie completa delle “36 vedute del monte Fuji” e a circa duecento altre opere, per lo più xilografie, di Hiroshige e Utamaro. Altri importanti eventi e mostre (oltre a quella del fotografo Domon Ken, da alcuni definito il Cartier Bresson del Giappone e già inaugurata all’Ara Pacis di Roma) seguiranno nei prossimi mesi a Venezia, Vicenza ed in altre città italiane.
“L’ORIENTE È L’ORIENTE…”
“L’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occidente, e non si incontreranno mai”, diceva Napoleone ai primi dell’Ottocento. Una profezia smentita alcuni decenni dopo dall’improvvisa impennata dei commerci tra Europa e l’Impero del Sol Levante e proseguita poi dopo la Grande guerra (quando Tokyo si schierò con l’Intesa contro gli Imperi centrali) e soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale che vide l’arcipelago risorgere con incredibile celerità dalle ceneri di Tokyo e dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Il miracolo economico nipponico che ne seguì, come tutti ricordiamo, portò l’industria giapponese ai vertici mondiali.

36 vedute del monte Fuji di Hokusai Katsushika
“HIROSHIMA MON AMOUR…”
E di Hiroshima e dei suoi sopravvissuti martoriati dalle radiazioni, quasi per una magica concomitanza con la storica visita di Obama nella città rasa al suolo dal fungo atomico, il 6 agosto del 1945, proprio in questi giorni una drammatica testimonianza ci viene offerta dalla mostra del fotografo Domon Ken all’Ara Pacis di Roma. Maestro del realismo giapponese, attento alle problematiche del mondo del lavoro, il suo obiettivo “frugò” nelle pieghe delle classi sociali meno fortunate, evidenziando le differenze di una società rigida e poco duttile e ponendo una peculiare attenzione e sensibilità verso l’infanzia negata dei bambini nei distretti minerari dell’arcipelago.
- Pescatrici di perle, Domon Ken
- Infermiere militari, Domon Ken
- Cerimonia di diploma corpo della Marina, Domon Ken
- Donne a passeggio, Domon Ken
- Domon Ken
Nel 1958, tredici anni dopo l’esplosione che cambiò il mondo, il fotografo si recò nella città martire per documentarne le ferite e sofferenze con una serie di memorabili scatti dei superstiti e di quanti si erano subito prodigati per aiutarli sfidando le radiazioni. Foto da quell’inferno in terra che diventerà un simbolo dell’inconscio collettivo ed entrerà anche nella storia del cinema grazie al film “Hiroshima mon amour“. Una pellicola di amori e di lutti firmata da Alain Resnais per la sceneggiatura di Marguerite Duras.
IL TEATRO NŌ 能
Gli eventi organizzati in Italia (così come analoghe manifestazioni italiane organizzate dal nostro Paese in Giappone) sembrano essere rivolte anche, se non soprattutto, alle giovani generazioni inclini spesso ad associare l’arcipelago nipponico prevalentemente ai nomi delle grandi industrie dell’auto e dei televisori e a ignorarne invece il luminoso passato nelle arti e nelle lettere. I nomi giapponesi che sentiremo in questi mesi non saranno dunque quelli a tutti ormai familiari (Honda, Kawasaki, Sony e via dicendo), piuttosto quelli del 能, Kabuki e Bunraku, delle stampe e mappe del periodo Edo (1615-1868), della ricchissima letteratura che va dal Genji Monogatari (di Murasaki Shikibo, undicesimo secolo, tradotto per la prima volta in italiano dal giapponese antico dalla professoressa Maria Teresa Orsi, Accademica dei Lincei), fino alla sconvolgente prosa del mistico nazionalista Yukio Mishima e ai due premi Nobel Yasunari Kawabata e Kenzaburo Oe.
- Maschera del teatro nō (能
- Maschera del teatro nō (能
- Maschera del teatro nō (能
Previsti anche spettacoli itineranti (con tappe a Roma, Firenze, Vicenza e Venezia) dedicati al teatro Noh, tra le più antiche forme di recitazione teatrale giapponese, raffinata e colta, basata su testi che riguardano il mondo del soprannaturale o di mitici personaggi leggendari. E poi eventi dedicati all’architettura sia alla Biennale di Venezia che al Maxxi di Roma. Scelte forse elitarie ma dalle quali difficilmente era possibile discostarsi. Si tratta infatti di scelte destinate non a raccontare la storia del Giappone ma l’anima stessa di un popolo.

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