Ha fatto e fa discutere la scelta de il Giornale di allegare, con l’edizione del quotidiano dell’11 giugno scorso, il Mein Kampf di Adolf Hitler, con una prefazione dello storico Francesco Perfetti. Molto vicino ai governi del centro destra negli anni novanta ai quali ha fornito più di qualche stampella ideologica allo sdoganamento dei nipotini del fascismo, Perfetti è stato anche l’artefice delle teorie neorevisioniste che hanno impegnato il dibattito politico di quegli anni di berlusconismo strabordante. Trovando a volte sponde inusitate persino in alcuni autorevoli esponenti della sinistra, a partire dall’ex presidente della camera Luciano Violante.
Se l’iniziativa del quotidiano milanese ha suscitato una marea di giudizi negativi in campo politico – il presidente del consiglio Matteo Renzi l’ha definita “squallida” – essa ha sollevato pure le critiche della comunità ebraica ed è rimbalzata con rilievo sulla stampa internazionale, messa in allarme da un’operazione che è stata lungi dall’esser considerata come il direttore de il Giornale Alessandro Sallusti avrebbe probabilmente, ma forse anche no, voluto.
Quanto al campo della storiografia, cui a tutti gli effetti spetta il giudizio più ponderato su un fenomeno come quello del nazionalsocialismo, innumerevoli sono state gli accenti critici anche da parte di personalità di orientamento differente. Come, per fare solo qualche nome, Alessandro Campi, Mario Isnenghi e Franco Cardini.
E proprio con lo storico contemporaneo Simon Levis Sullam abbiamo voluto cercare di arrivare ad un punto in grado di dare aria e luce a una vicenda che sembra si sia voluto far nascere, da parte di chi l’ha concepita, con troppe sfumature di pericolosa ambiguità.
Perché se è vero, come si potrà leggere nel resoconto della conversazione che con Levis Sullam abbiamo avuto, che la potenziale minaccia dell’operazione di Sallusti non sembra voler colpire coloro che sono stati storicamente le principali vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, gli ebrei, essa potrebbe invero cercare di gettare le proprie reti pescando in quel torbido mare di ignoranze, di paure e di chiusure all’altro da sé che sta alla base di ogni atteggiamento discriminatorio. Sia esso esercitato nei confronti degli ebrei, dei profughi o degli omosessuali.
Con le quali la destra va a nozze e le quali sempre alimenta, con ciò alimentando i serbatoi dei propri voti ad ogni latitudine. La qual cosa confermerebbe, checché ne dica l’ineffabile direttore de Il Giornale, la natura squisitamente politica e di “servizio” dell’operazione cui si è prestato. Tutto il contrario quindi di quello che dovrebbe essere buon giornalismo o una corretta messa in guardia dai pericoli di ripercorrere tragici errori.
Ma di seguito l’intervista.

Simon Levis Sullam
Qualche giorno fa Amos Luzzatto, in un’intervista all’Unità, ha sostenuto che nel nostro paese esiste il desiderio di tornare al pensiero del Mein Kampf e che si annunciano tempi bui.
Io credo si tratti di una valutazione eccessivamente pessimistica. Va per altro detto che l’operazione de il Giornale ha anche un significato politico. E tenuto conto che quel quotidiano spesso veicola messaggi di odio, pregiudizio e stereotipo verso gli stranieri, i diversi, gli altri, il fatto che unisca a questi suoi messaggi uno dei testi più odiosi del ventesimo secolo mi pare particolarmente inquietante. In sostanza credo sia difficile non considerare l’operazione come non politica e come una vera operazione di conoscenza e approfondimento. Così ci è stata presentata da il Giornale ma in realtà l’immaginario che agita è ben più complesso, più ambiguo e di certo più pericoloso.
Sallusti nel fondo con cui spiega la sua operazione pare allinearsi alle tesi neorevisioniste di Francesco Perfetti. In sostanza la pubblicazione del Mein Kampf e la conseguente lettura da parte del pubblico dovrebbe metterlo al riparo dalle tossine ideologiche del nazionalsocialismo.
Perfetti è uno storico di destra, allievo di De Felice, con simpatie monarchiche e in passato anche con tendenze neofasciste. Ciò detto personalmente non sono contrario a una lettura del Mein Kampf, e credo che una lettura contestualizzata e critica possa essere utile. Non sono per una distribuzione di massa del libro, perché è un oggetto complesso e difficile, e il cui messaggio può essere frainteso. Sono a tal punto favorevole alla lettura del Mein Kampf che, dopo che è uscita l’edizione critica tedesca corredata da centinaia di note redatte da un gruppo di storici tedeschi che lavoravano da anni a questo progetto, ho proposto a un editore italiano di centro sinistra mesi fa di fare un’edizione critica più alleggerita rispetto a quella uscita in Germania che è in due volumi ed è solo per le biblioteche.
In sostanza credo utile che questo testo sia conosciuto e studiato con un adeguato corredo critico che si avvalga anche del lavoro svolto dai colleghi tedeschi. Aggiungo anche che a mio parere se ne possono leggere degli estratti pure nelle scuole, ma sono contrario a una sua diffusione di massa, soprattutto da parte di un giornale di destra che sta chiaramente veicolando un messaggio ambiguo.
Un altro storico che al mondo della destra in qualche modo appartiene, mi riferisco a Franco Cardini, pur considerando utile la lettura del libro, ha liquidato tutta questa operazione come inopportuna abbassandola a pura strategia di marketing.
Cardini ha una passato di giovane con simpatie naziste anche se nel frattempo è diventato uno storico di vaglia che è in grado di criticare. Certamente conosce a fondo gli strumenti della critica storica. Se consiglia una lettura critica del libro io penso che sia sincero.
Qualcuno ha osservato che la pubblicazione de il Giornale cade nel mezzo di una campagna elettorale difficile per il rinnovo del sindaco di Milano, i cui risultati si ripercuoteranno inevitabilmente sugli equilibri politici del paese segnando i destini dell’immediato futuro. A molti non è sfuggita la coincidenza temporale con la recente approvazione della legge sul negazionismo. Sallusti, respingendo qualsiasi intento di incidere sull’attualità, ha perfino dichiarato che queste operazioni non possono essere improvvisate e richiedono un tempo lungo.
In molti infatti hanno notato la coincidenza, che potrebbe sembrare una sorta di rigurgito di simpatie per il nazismo nel momento in cui le tesi più abbiette di negazione dell’olocausto sono state messe al bando per legge. Non ho idea se la coincidenza sia casuale. Sembrerebbe di no. Non si capisce altrimenti perché proprio in questo momento il Giornale proporrebbe questo testo, che certo non è più sotto diritti ed è stato reso disponibile, ma che non credo abbia richiesto particolari operazioni perché viene riproposta l’edizione degli anni Trenta con la semplice prefazione di Francesco Perfetti.
È stata presentata come un’edizione critica e non lo è affatto, perché un’edizione critica richiederebbe un apparato di note e di strumenti critici di contestualizzazione. Questa è invece una ristampa di un’edizione anni Trenta con una mera prefazione piuttosto sbrigativa.
Sulla legge contro il negazionismo io nutro delle riserve. Con altri storici ho promosso ripetutamente un appello al parlamento italiano affinché la legge non venisse approvata. Credo che il negazionismo non debba essere riconosciuto come un reato penale perché questo gli dà solo pubblicità e crea uno spazio pubblico per la difesa delle tesi di coloro che lo sostengono. Io penso che la storia non si può scrivere in tribunale.
Credo che le tesi dei negazionisti siano abiette e che non abbiano alcun fondamento scientifico e culturale e che siano da combattere. Ma con gli strumenti della ricerca, dell’educazione, dell’insegnamento nelle scuole e nelle università e non con degli strumenti giudiziari che non fanno altro che dare risalto a quelle tesi. La storia non si scrive nei tribunali, ma nei libri di storia e con gli strumenti della ricerca.
C’è un passaggio nell’intervista di Amos Luzzatto che ho prima richiamato, che vorrei porre alla tua attenzione. Ovvero quando egli afferma che stiamo vivendo tempi di intolleranza “dove l’altro da sé, il ‘diverso’, viene concepito come un intruso, come qualcuno che vuole rubare il lavoro o delinquere”. E mi spiego meglio. Non è che poi il vero target di Sallusti non sono tanto gli ebrei e lo Stato di Israele, ma il diverso per eccellenza nella nostra contemporaneità, il rifugiato e il profugo?
Sì, io credo in effetti che questa operazione de Il Giornale agita acque torbide del risentimento, dell’intolleranza e della xenofobia. Credo che tu abbia detto una cosa giusta. Tutto ciò non riguarda tanto gli ebrei ma altri “diversi”. Soprattutto siamo in una fase di crescente islamofobia in parte scatenata dal contesto geopolitico internazionale. E in una fase di intolleranza e di rigurgito religioso intollerante, come si vede anche alla base della recente strage di Orlando, di marca omofoba e a quanto pare con rivendicazioni di stampo religioso.
Quindi credo che questa operazione faccia leva sulle tendenze intolleranti, xenofobe più odiose che le nostre società possano esprimere.
Da questo punto di vista, siccome spesso Il Giornale veicola questo tipo di opinioni, e ancora peggio forse Libero e La Padania fin quando è esistita, credo sia stato irresponsabile riproporre un testo che è uno dei fondamenti di quel tipo di interpretazione e di lettura della storia fondata sull’odio e sull’intolleranza. Questo rischio è sempre presente in Europa, in forme diverse nei differenti paesi europei. In alcuni casi c’è anche un rischio di antisemitismo, come abbiamo visto in Francia, in Ungheria o in Polonia. Nelle città del nostro paese riguarda più altri “diversi”, come gli immigrati, il mondo islamico. Ci sono pure dei rischi di omofobia, anche se ci sono stati dei segnali importanti con la legge sulle unioni civili. Penso ci siano dei segnali su cui dobbiamo continuare a vigilare.
Secondo Emanuele Fiano ci si deve preoccupare per il livello di ignoranza devastante al quale sembra essere arrivata l’ideologia discriminatoria. Alcune tendenze attualmente in atto, le spinte discriminatorie e xenofobe, le tendenze disgreganti dello stesso tessuto di convivenza europea sembrano prospettare scenari in cui l’ideologia della discriminazione sembra crescere e diffondersi.
Esistono delle tendenze inquietanti alla frammentazione, a ciò che con un’espressione poco politicamente corretta si potrebbe definire la balcanizzazione, a uno scontro e a una fuga dalla responsabilità. Ciò detto, non mi sembra che siamo in un contesto paragonabile a quello degli anni trenta. Ci sono altre forme di radicalizzazione. Penso alla guerra civile e ai genocidi in Medio Oriente, all’atteggiamento particolarmente aggressivo del governo turco nei confronti delle minoranze kurde e verso la libertà di opinione. Ci sono degli Stati che fanno parte dell’Unione Europea con tendenze autoritarie, come appunto l’Ungheria e la Polonia. Tendenze parzialmente intolleranti come quelle presenti nella Brexit che coagulano risentimenti di stampo anche antidemocratico e certamente conservatore. Non farei di ogni erba un fascio. Bisogna vigilare su ogni singolo fenomeno cercando di contestualizzarlo. Che poi è quello che si deve riproporre uno storico, sapendo che la storia non è magistra vitae perché poco abbiamo imparato da essa.
Ma come fai a tenere a freno e contrastare il diffondersi dei sentimenti di paura e di autodifesa su cui allignano le xenofobie, le divisioni, le discriminazioni, impedendo loro di ricreare quei drammi che abbiamo già vissuto in passato e che spesso siamo così solleciti a dimenticare?
La risposta è difficile. Io credo che l’Europa deve servire a unire e unirci nelle diversità. Il messaggio che deve passare è quello del federalismo di padri fondatori, di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi. Di quelli che hanno pensato l’Europa come Unione delle diversità. Di un’Europa unita non per omologare e per cancellare le diversità. Quindi da un lato la celebrazione delle diversità nell’unità europea, dall’altro campagne di conoscenza dell’altro e di approfondimento culturale della diversità dell’altro, dei suoi retaggi culturali. Una campagna anche perché l’altro sia accolto nel momento in cui viene riconosciuta e valorizzata la sua diversità. Per esempio attraverso la laicità dello Stato, lasciando uno spazio perché questa diversità si esprima e non sia imposta sugli altri. Ma sia riconosciuta all’interno delle regole dello stato democratico e laico.
Giorni fa il Giornale ha fatto scrivere a Fiamma Nierenstein un articolo che avrebbe dovuto giustificare, provenendo da un’ebrea, la bontà della scelta di Sallusti. L’effetto che si è ottenuto è stato quello di mettere a nudo sinistre somiglianze tra la tesi della Nierenstein (fa più male una vignetta della pubblicazione del Mein Kampf) con i massacratori di Charlie Hebdo. Ha anche paragonato il libro di Hitler al libretto rosso di Mao.
Dal mio punto di vista purtroppo la lucidità politica di Fiamma Nierenstein è venuta meno negli anni. Fortunatamente abbiamo scongiurato il pericolo che venisse nominata ambasciatrice dello Stato di Israele in Italia. Io penso che non si possa difendere l’operazione di Mein Kampf appiattendo il tutto con paragoni spericolati o con una omologazione di diversi percorsi ideologici, diverse forme di totalitarismo. Ognuna odiosa, ma con caratteristiche diverse. Non credo che l’operazione de il Giornale sia difendibile. La libertà di stampa si deve esprimere attraverso l’espressione di opinioni comunque rispettose. La proposizione del Mein Kampf è solo una operazione nostalgica e revisionista di rivalutazione.
La comunità ebraica come ha reagito?
La comunità è stata ferma nel condannare e nel non accettare questa operazione. Si sono elevate giustamente delle voci a favore dell’approfondimento e della conoscenza. Gli ebrei sono i primi a chiedere di studiare il fascismo e il nazismo, e se il Mein Kempf deve essere conosciuto, ciò va fatto nelle sedi editoriali, universitarie e anche scolastiche. Gli strumenti adeguati non sono quelli della diffusione di massa che va anzi limitata e criticata soprattutto quando è assolta da soggetti politici e giornalistici particolarmente ambigui, che flirtano con idee simpatetiche al nazismo.
Per non parlare della qualità del testo in sé…
È illeggibile. È un testo che non può essere dato in pasto al grande pubblico, anche perché va assimilato attraverso una lettura molto attenta, molto lenta. Però va studiato, e soprattutto va studiata anche la vicenda della sua diffusione in Italia. C’è uno studio di Giorgio Fabre che si chiama “Il contratto” che ha dimostrato come nel 1934 l’edizione italiana venne promossa da Mussolini per far conoscere le idee dell’alleato senza affatto criticarle e che per paradosso della storia il traduttore era un ebreo. Un certo Treves, un giornalista. Che evidentemente non colse le complete implicazioni di questa operazione. Del resto il nazismo stava andando al potere ed era ancora poco conosciuto soprattutto in Italia, e forse non si potevano nemmeno capire quali sarebbero stati gli sviluppi estremi del nazismo, a cinque anni dello scoppio della guerra mondiale e a sei dall’inizio della Shoah. Altro dato interessante è studiare la storia della circolazione clandestina dagli anni Settanta in poi in Italia da parte di editori di estrema destra che l’hanno ripubblicato come un’operazione nostalgica e di rivalutazione.
Io ricordo anche l’edizione che ne fece Kaos…
Sì, quella è stata un’operazione secondo me più adeguata, con l’introduzione e le note di un politologo come Carlo Galli. Non era ancora uno strumento critico condotto con tutti i criteri e i crismi della critica e forse le competenze richieste di inquadramento vanno oltre quelle della mera politologia. Dato che va conosciuto il contesto ideologico, storico e culturale tedesco. Forse è un lavoro di equipe che deve stare dietro a un’edizione critica del Mein Kempf come è avvenuto in Germania e non ci si può affidare a un singolo studioso. Però quella di Kaos era già un’operazione che poteva avvicinare il pubblico universitario e più colto alla lettura di un testo che è un testo demoniaco ma che non va demonizzato. Perché la storia non va demonizzata, va conosciuta, va capita e va contestualizzata. La mera demonizzazione significherebbe la censura e quindi la non conoscenza.

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