Sul Brexit, ormai, è conto alla rovescia: giovedì, infatti, si saprà se l’isola Gran Bretagna (GB), sciogliendo gli ormeggi che l’ancorano all’Unione europea (UE), rincorrerà il sogno dell’Inghilterra imperiale, nondimeno svanita quando la sterlina cedette al dollaro il ruolo di moneta di riferimento nei mercati monetari e finanziari globali; oppure se, invece che prendere il largo in Atlantico, continuerà a guardare oltre la Manica.
È complicato dire cosa deciderà il Regno di Sua Maestà Elisabetta; ed a rendere vani i prognostici vi è la difficoltà di valutare (e, comunque, ora i sondaggi della City in materia sono segretati) se l’omicidio della deputata Cox inciderà, e come, sul voto britannico. Ovviamente, se vincerà il leave (l’abbandono) vi saranno delle conseguenze sia oltre Manica che nel Vecchio continente. Analisi di economisti ve ne sono già, e assai preoccupate; tuttavia, il problema potrebbe essere prima politico che economico.
Nel senso che si potrebbe innestare un effetto domino sia in GB (fuga in senso opposto – verso l’Europa – della Scozia) che nell’UE dove, dato il diffuso antieuropeismo e la forza dei partiti che lo rappresentano, questa stessa potrebbe sfilacciarsi e collassare. Quali, quindi, le ipotesi possibili in caso di vittoria del leave? Per capirci qualcosa è meglio ragionare sul medio periodo; al di là, pertanto, delle prime reazioni dei mercati.
Guardando da Londra, molto dipenderà dal “chi” (l’attuale governo politicamente affondato dal leave? Difficile) e dal “come” verrà affrontata la trattativa con l’UE. La meno traumatica sarebbe la cosiddetta “via norvegese”: perché, di fatto, i mercati europei resterebbero aperti per la GB; tuttavia, sarebbe onerosa per Londra. La ragione è che perderebbe il potere (fin qui abbondantemente usato) di scrivere le regole di questo spazio economico mercantile; oltre a ciò, dovrebbe pagare più di oggi per parteciparvi. Sarebbe un risultato negativo – tutto come prima ma a costi politici e finanziari maggiori – difficilmente vendibile all’opinione pubblica britannica.
Conseguentemente, la ratio politica (opposta all’economica) potrebbe spingere Londra, nel caso del leave, all’azzeramento delle attuali normative sulla libera circolazione (dai beni ai capitali) per ritrattare tutto da capo. Nel caso, i costi sarebbero assai maggiori; e questo per il numero di accordi da fare, per di più con l’UE meno disposta a concessioni migliori di quelle cui oggi la GB gode.
È quello che teme soprattutto la City di Londra che, oggi, di fatto, è la porta della finanza USA e globale in Europa: anche perché, perdendo la City questo ruolo, le banche d’affari statunitensi potrebbero cercare altre piazze finanziarie per operare: magari anche Milano potrebbe esserne interessata. Infine, come già detto, si riaprirebbe, sebbene la caduta del prezzo del petrolio (sua fonde di reddito) potrebbe averne un po’ raffreddato gli entusiasmi indipendentisti, la “questione Scozia”. Un guaio, perché un Regno fuori dall’UE e che perde pezzi, rischierebbe di contare poco anche verso il mondo atlantico: in primis, verso gli USA. Tuttavia, il Brexit interroga anche sulla tenuta dell’Unione europea.
Difatti, col leave cadrebbe l’ideologia della irreversibilità dell’Unione e, per un’area più ristretta, quella della moneta unica. Le conseguenze – partendo dall’Austria e dalla Spagna per arrivare a Francia, Germania ed Italia (considerandone gli andamenti elettorali recenti ed ipotizzabili per il prossimo futuro) – lasciano presagire un effetto domino che potrebbe balcanizzare il Vecchio continente; nel caso l’area latina sarebbe quella che rischia di più. Non a caso, nonostante la rete di sicurezza della BCE sui debiti sovrani di quest’area, già vi sono tensioni sui relativi spread: insomma, basta poco per incendiare le praterie dell’economia e della politica europea.
Insomma, il Brexit aprirebbe ferite nell’UE, già di suo malandata, difficili da rattoppare. A soffrirne in particolare sarebbe l’Italia, a causa del suo debito pubblico e delle sue frontiere (in caso di forti shock migratori) porose in quanto marittime. Ecco perché giovedì prossimo i britannici, oltre che decidere per sé, col voto influenzeranno il destino di tutti: infatti votano e decidono un po’ per tutta Europa.

Francesco Morosini
ARTICOLO APPARSO SU IL MATTINO DI PADOVA

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