L’Europa dopo Brexit, un puzzle da rifare

FRANCESCO MOROSINI
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Nel Regno Unito, la petizione popolare per ripetere il referendum (un milione e mezzo di firme) potrebbe cambiare l’accaduto? Difficile; ma procediamo con ordine. Stante la vittoria del Brexit, il da farsi pare semplice visto che il Trattato sull’Unione europea (UE) disciplina il recesso unilaterale di un suo membro (art. 50). Ma è una procedura mal definita, perfetta solo per produrre trattative defatiganti sull’exit tra Londra e Bruxelles. E anche dure dato che le leadership europee, pressate nei loro mercati politico-elettorali interni da analoghe sfide anti euro e anti UE, saranno rigide per istinto d’autodifesa.

Poi è la stessa logica dei fatti, essendo questa per Bruxelles la prima partita diplomatica avendo il Regno Unito come controparte, a spingere in questa direzione. Conseguentemente i mercati, pur se grazie alle Autorità monetarie avremo periodi di bonaccia, resteranno in allerta. Cosa succederà ora? Tocca al governo di Sua Maestà, attivando l’art. 50, azionare il meccanismo di separazione; di lì scatteranno i due anni necessari per formalizzare l’accordo di divorzio GB/UE. Tuttavia, se allo scadere del tempo previsto, l’accordo mancherà, allora la Gran Bretagna cesserà di essere parte dell’UE salvo – ma serve l’unanimità dei membri residui dell’UE – una proroga per le trattative. Inoltre Londra, differentemente dall’UE, potrebbe avere l’interesse a spalmare il leave (l’uscita) nel tempo per allentarne l’impatto.

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D’altronde, tornando alla petizione prima richiamata, va considerato che il referendum sul Brexit, essendo l’Inghilterra la madre della democrazia rappresentativa (cioè allergica ai plebisciti), è consultivo: ovvero, dovrà essere convalidato dal Parlamento britannico, che di suo ha una maggioranza contraria al Brexit medesimo. Pertanto in teoria (ma è una caso di scuola, però coerente con la tradizione costituzionale della democrazia britannica) esso potrebbe respingere il referendum convocandone (ecco il significato politico della petizione) un altro.

Possibile in teoria, difficile in pratica; anche perché a facilitare la strada dell’exit vi sono, dando valore (quasi) vincolante al voto, le dimissioni del premier Cameron. Tra l’altro, queste potrebbero allungare i tempi delle trattative sebbene Bruxelles prema per la rapida attivazione dell’art. 50. Insomma, il via potrebbe dover aspettare l’assemblea del Partito conservatore (a cui, essendo maggioritario in Parlamento, è affidata la scelta del nuovo leader nonché premier di GB) prevista per il dopo estate.

Comunque, nei fatti toccherà al nuovo premier gestire la trattativa. Nondimeno, pur dopo il suo avvio, la procedura presenta molte altre incertezze. Per questo i mercati finanziari sono in tensione: perché, in fondo, gli elettori britannici hanno votato per un evento futuribile; e di cui è poco nota la modalità per arrivarci.

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Ad esempio, chi tratterà questo dossier per l’UE? La Commissione europea, cioè la sua tecnostruttura? Verosimile; ma potrebbe pure volerlo fare direttamente il Consiglio (suo vertice politico). Poi, è ovvio, sarà il Parlamento europeo ad approvare o meno l’accordo. Ebbene, queste sono carenze normative comprensibili se si considera che l’UE considerava le secessioni ipotesi di scuola. Ciò non toglie che esse producano incertezze politiche ed economiche.

In ultimo, due ulteriori quesiti. Il primo riguarda i membri inglesi al Parlamento europeo. Resteranno in carica in quanto, oltre ad essere “voce” dei loro elettori, sono costituzionalmente espressione di un organo legislativo sovrano. Tuttavia, politicamente, dovranno sempre più assumere il ruolo più di osservatori, specie in materia di Brexit, che di parlamentari in senso proprio.

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Una situazione paradossale rimediabile, a fil di logica, con lo scioglimento anticipato del Parlamento europeo e un’elezione che riservasse i seggi ai 27 rimasti. Tuttavia, tra le stranezze della “democrazia” europea manca la procedura di suo scioglimento anticipato. Infine, senza la Gran Bretagna qual è l’equilibrio strategico dell’UE? Difatti Londra faceva da contraltare sia al peso geopolitico di Berlino sia alle mitologie del super Stato di Bruxelles, oggi in evidente affanno. E ora? Resterebbe la NATO, cioè gli USA: in sostanza, una sconfitta per l’idea di un Vecchio continente attrezzato a navigare tra i marosi della globalizzazione.

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Francesco Morosini

da IL MATTINO di Padova

L’Europa dopo Brexit, un puzzle da rifare ultima modifica: 2016-06-26T17:06:13+02:00 da FRANCESCO MOROSINI
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